I titoli di debito europei possono essere utili per finanziare spesa comune o creare strumenti finanziari sicuri, ma richiedono riforme complesse e accordi politici ancora lontani. Senza un bilancio condiviso e un mercato unificato, l’idea resta poco concreta
Periodicamente gli Eurobond – i titoli di debito europeo – vengono riproposti come panacea di tutti i problemi europei. Creando molta confusione. Gli Eurobond possono servire sostanzialmente per due motivi. Il primo è quello di reperire risorse per finanziare spesa pubblica, a livello nazionale o europeo. Il secondo è quello di creare un’attività finanziaria denominata in euro, a basso rischio, liquida e disponibile in quantità sufficiente da svolgere il ruolo di benchmark per il mercato finanziario europeo, che possa competere a livello globale con il dollaro. Questi due obiettivi richiedono scelte e strumenti diversi.
Il primo obiettivo, che mira ad ampliare la capacità di finanziare beni comuni come la difesa, la transizione ecologica o la digitalizzazione, richiede la creazione di un bilancio europeo di dimensioni ragguardevoli. Ciò richiede tuttavia il trasferimento di poteri decisionali dal livello nazionale a quello comunitario, che pochi paesi sono oggi disposti ad accettare. In alternativa, si può seguire l’esempio del Next Generation Eu, che finanzia con debito comune programmi di spesa nazionali, come il Pnrr, controllati dalle istituzioni europee. Anche in questo caso, tuttavia, si devono trasferire risorse fiscali a livello europeo, in particolare per pagare gli interessi sui titoli pubblici. La Commissione europea ha avanzato una proposta per aumentare le risorse proprie, in particolare attraverso tre nuove entrate (basate sulla tassazione delle imprese e delle emissioni CO2) per finanziare il Next Gen Eu, ma il Consiglio europeo non ha ancora deciso. Fin quando non si troveranno le risorse per garantire il debito fatto in passato, è del tutto illusorio pensare che se ne possa fare dell’altro.
Il secondo motivo per emettere Eurobond è quello di creare uno strumento finanziario “sicuro” – cosiddetto safe asset – che rappresenti le fondamenta di un mercato europeo integrato, alternativo al dollaro. Ciò consentirebbe di ridurre il rischio su tutti i titoli europei e di proteggere meglio l’Europa dagli shock esterni. In questo modo si rafforzerebbe l’autonomia strategica del continente. Il problema, come ha ricordato recentemente la presidente della Bce, Cristine Lagarde, è che l’Europa dispone di una quantità limitata di titoli pubblici considerati sicuri, che abbiano un rating pari o superiore alla doppia A (il rating massimo è la tripla A). Quelli europei rappresentano circa il 50 per cento del Pil, contro più del doppio per gli Stati Uniti. Tuttavia, ciò che rileva non è solo la quantità di titoli pubblici sicuri. Anche quando il debito americano era inferiore al 60 per cento del Pil, oltre venticinque anni fa, i Treasuries in dollari rappresenta il benchmark mondiale. Il vero problema dell’Europa è la frammentazione del mercato. I titoli di stato dei vari paesi sono poco liquidi, emessi con modalità e tempistiche scollegate e non facilmente scambiabili. Peraltro, un nuovo programma europeo di spesa, finanziato con debito comune, non risolverebbe il problema della frammentazione.
C’è bisogno di un nuovo titolo europeo, per almeno cinquemila miliardi di euro (circa un terzo del Pil della zona euro). L’unico modo di crearlo è quello di emetterlo in sostituzione di parte dei titoli pubblici esistenti, emessi dai paesi membri. Due economisti, Olivier Blanchard e Ángel Ubide, hanno recentemente proposto che la Commissione europea emetta nuovi Eurobond e, con i proventi di tali emissioni, acquisti sul mercato titoli dei paesi membri. Ciò non comporterebbe trasferimenti di risorse tra paesi perché, anche in caso di default di uno di essi, la Commissione europea sarebbe protetta da eventuali perdite, dato il suo status di creditore privilegiato. In questo caso, il costo di un eventuale default viene scaricato sugli altri creditori, il che potrebbe aumentare il premio di rischio sui titoli di alcuni paesi.
Una soluzione alternativa è che sia il Mes – il Meccanismo europeo per la stabilità – a emettere gli Eurobond. Il Mes dispone infatti di un’ampia dotazione di capitale – fino a oltre seicento miliardi – che consentirebbe di emettere una quantità significativa di titoli con rating elevato. Con i fondi ricavati, il Mes acquisterebbe titoli emessi dai paesi membri dell’area euro. In caso di default di un emittente, il Mes verrebbe ricapitalizzato da quel paese, che si potrebbe finanziare direttamente con un prestito del Mes stesso. Per poter operare come sopra, gli statuti e le funzioni del Mes devono essere rivisti. Questa potrebbe essere l’occasione per uscire dallo stallo che si è venuto a creare dopo il veto italiano posto alla precedente modifica, e per aprire una nuova discussione su come questo strumento possa essere messo pienamente al servizio della sovranità strategica dell’Europa.
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