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Aiuti Alle Imprese In Difficoltà 2025: La Guida


Hai un’impresa in difficoltà nel 2025 e ti stai chiedendo quali aiuti concreti puoi ottenere per ripartire? Hai debiti con banche, fornitori o l’Agenzia delle Entrate, oppure stai affrontando un calo di fatturato che mette a rischio la sopravvivenza della tua attività?

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Il 2025 ha confermato – e in parte rinnovato – una serie di strumenti e misure pubbliche pensate per sostenere le imprese in crisi. Dai fondi garantiti alla possibilità di ristrutturare il debito legalmente, passando per i bonus fiscali e le procedure per evitare il fallimento, esistono soluzioni reali per non chiudere e ricominciare.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto dell’impresa, risanamento e procedure di tutela per imprenditori – ti spiega quali sono gli aiuti attivi nel 2025, chi può beneficiarne e come richiederli anche in presenza di debiti o segnalazioni.

Alla fine della guida puoi richiedere una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo, per analizzare la situazione della tua impresa, verificare quali aiuti e procedure sono attivabili nel tuo caso, e costruire un piano concreto per uscire dalla crisi, tutelare la tua attività e ripartire nel pieno rispetto della legge.

Introduzione

Le imprese italiane attraversano una fase complessa: dopo la pandemia, la crisi energetica e le incertezze geopolitiche, molte aziende si trovano in condizioni di difficoltà economico-finanziaria. Questa guida di Studio Monardo offre un panorama approfondito e aggiornato a maggio 2025 di tutti gli strumenti di aiuto e le procedure pensate per sostenere le imprese in crisi.

Cosa troverete in questa guida? Esamineremo dapprima i settori economici coinvolti, evidenziando le misure specifiche per industria, commercio, turismo, servizi e agricoltura. Passeremo poi in rassegna tutte le misure di sostegno disponibili nel 2025, a livello statale, regionale e comunitario (UE). Approfondiremo gli aiuti pubblici – contributi a fondo perduto, crediti d’imposta, garanzie pubbliche, moratorie fiscali, strumenti del PNRR e fondi europei – e i principali strumenti privatistici di ristrutturazione aziendale (piani attestati, accordi di ristrutturazione ex art.182-bis, transazioni fiscali e previdenziali). Verranno poi illustrate le procedure concorsuali previste dal nuovo Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII): composizione negoziata, concordato preventivo (ordinario e “semplificato”) e liquidazione giudiziale. Ogni sezione include riferimenti normativi aggiornati (leggi italiane, regolamenti UE, sentenze rilevanti di Cassazione, TAR e Corte di Giustizia UE). Troverete inoltre tabelle comparative che sintetizzano le caratteristiche dei vari strumenti, simulazioni pratiche (come accedere a un aiuto pubblico, come negoziare con le banche, come predisporre un piano attestato, ecc.), una sezione di FAQ con le risposte alle domande più frequenti e, in chiusura, tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate.

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Come leggere questa guida? Il contenuto è organizzato in maniera modulare: potete consultare singole sezioni per approfondire uno specifico strumento (ad esempio il funzionamento di un concordato preventivo o i dettagli di un fondo perduto) oppure leggere l’intera guida per avere una visione integrata. Il linguaggio utilizzato, pur mantenendo il rigore giuridico, è il più possibile chiaro e orientato alla soluzione dei problemi pratici. In un contesto normativo in continua evoluzione, questa guida è aggiornata agli ultimi interventi legislativi – inclusa la Legge di Bilancio 2025 (L. 207/2024) e il “Correttivo ter” al Codice della Crisi (D.Lgs. 136/2024) – fornendo così uno strumento al passo coi tempi.

Iniziamo identificando i settori economici più coinvolti e le loro esigenze specifiche, per poi analizzare in dettaglio gli aiuti e le procedure disponibili nel 2025 per prevenire il dissesto, supportare la continuità aziendale o gestire nel modo migliore una crisi conclamata.

Settori economici coinvolti

Le difficoltà finanziarie possono colpire aziende di ogni settore produttivo, ma l’impatto e le misure di sostegno possono variare a seconda del comparto. Di seguito esaminiamo i principali settori economici – industria, commercio, turismo, servizi e agricoltura – evidenziando le criticità tipiche e gli aiuti specifici attivati per ciascuno di essi nel 2025.

Industria e Artigianato

Il settore industriale (manifatturiero e artigianale) è il motore economico del Paese, ma negli ultimi anni ha affrontato shock senza precedenti: interruzioni nelle catene di fornitura globali, aumenti dei costi energetici e materie prime, calo della domanda in alcuni mercati. Le imprese industriali in difficoltà possono beneficiare di numerose misure di sostegno, sia per il rilancio produttivo sia per la gestione della crisi. Ad esempio, il Piano Transizione 4.0 (evoluzione di Industria 4.0) offre crediti d’imposta per investimenti in beni strumentali innovativi e formazione, con aliquote agevolate anche nel 2025, sebbene decrescenti negli anni. La Nuova Sabatini, rifinanziata dalla Legge di Bilancio 2025, supporta l’acquisto di macchinari e tecnologie attraverso contributi statali in conto interessi e, per le PMI del Sud, persino una quota di contributo a fondo perduto. Per le aree industriali in crisi (ad esempio distretti colpiti da deindustrializzazione), il MiMIT (Ministero delle Imprese e del Made in Italy) promuove bandi ad hoc come i Contratti di Sviluppo e i piani di riconversione, finanziati anche con risorse europee (Fondo Sviluppo e Coesione e PNRR). Le imprese industriali possono accedere al Fondo di Garanzia PMI per ottenere liquidità (anche in presenza di rating bancari non ottimali) e, in casi di crisi più grave, valutare strumenti di ristrutturazione del debito o procedure concorsuali per evitare la liquidazione. Da notare che l’industria, spesso capital-intensive, beneficia molto di garanzie pubbliche e moratorie: ad esempio, durante la pandemia e la successiva crisi energetica, molte aziende manifatturiere hanno usufruito delle garanzie SACE e delle moratorie sui mutui per far fronte a cali di fatturato e costi crescenti. Nel 2025, con la normalizzazione dei mercati energetici, gli aiuti si concentrano più sul rilancio (innovazione e investimenti sostenibili) che sulle sovvenzioni emergenziali, ma restano attivi strumenti di prevenzione della crisi (indicatori di allerta, obblighi di adeguati assetti organizzativi) per agire tempestivamente.

Commercio e Servizi

Il settore del commercio (retail, ingrosso) e quello dei servizi (dai servizi professionali al trasporto, dalla ristorazione non turistica ai servizi alle persone) raggruppano moltissime piccole e medie imprese. Queste attività hanno sofferto in particolare le restrizioni della pandemia (pensiamo ai negozi e ai ristoranti durante i lockdown) e, successivamente, la contrazione dei consumi dovuta all’inflazione. Per il commercio, nel 2020-2021 il governo ha erogato contributi a fondo perduto compensativi delle perdite di fatturato (i cosiddetti “ristori”). Al 2025 quei contributi emergenziali sono conclusi, ma permangono misure di sostegno strutturale: ad esempio bonus fiscali per le botteghe e i negozi storici, incentivi per la digitalizzazione dei punti vendita (voucher per e-commerce, casse telematiche con credito d’imposta) e finanziamenti agevolati per l’innovazione nel retail tradizionale. Importanti associazioni di categoria come Confcommercio segnalano per il 2025 la proroga di alcuni crediti d’imposta su locazioni commerciali (attivati nel periodo Covid) per le imprese del turismo e della ristorazione, mentre per il commercio al dettaglio in generale l’attenzione è rivolta alla riduzione dei costi fissi: la Legge di Bilancio 2025 ha confermato ad esempio l’esenzione del canone RAI speciale per gli esercizi pubblici in difficoltà e incentivi per l’efficientamento energetico delle piccole attività commerciali. Nel settore dei servizi, estremamente eterogeneo, le misure sono trasversali: le imprese di servizi possono accedere al Fondo di Garanzia per finanziare il capitale circolante, usufruire di crediti d’imposta per la formazione del personale (specie in ambito digitale), e beneficare di agevolazioni contributive per nuove assunzioni o per evitare licenziamenti (come il Fondo Nuove Competenze, che rimborsa il costo delle ore di formazione dei dipendenti, rifinanziato e aperto alle domande anche nel 2025). Sia per commercio sia per servizi, giocano un ruolo importante le regioni e i bandi locali: molte regioni finanziano voucher e contributi per l’artigianato, il piccolo commercio e l’imprenditoria giovanile, attingendo a fondi UE (ad esempio programmi POR FESR). Un capitolo particolare va ai servizi di trasporto e logistica, colpiti dall’aumento dei carburanti: nel 2022-2023 lo Stato ha riconosciuto crediti d’imposta sul gasolio per gli autotrasportatori, e nel 2025 continua a sostenere il comparto con esenzioni (come la conferma dell’esclusione dell’autotrasporto dall’obbligo di contributo all’ART, decisa da TAR Piemonte) e con fondi per il rinnovo ecologico dei veicoli.

Turismo e Cultura

Il settore turistico è stato tra i più colpiti dalla crisi pandemica ma anche tra quelli che hanno visto i maggiori aiuti dedicati. Oggi (2025) il turismo sta vivendo una ripresa, ma molte imprese del comparto (hotel, agenzie di viaggio, tour operator, stabilimenti balneari) hanno accumulato debiti negli anni difficili e necessitano di sostegno per investire e rimanere competitive. A tal fine, sono stati attivati strumenti specifici. Un esempio centrale è il programma FRI-Tur (Fondo Rotativo Imprese per il Turismo) gestito da Invitalia: esso combina un finanziamento agevolato con una componente di contributo diretto fino al 35% a fondo perduto per progetti di riqualificazione delle strutture ricettive, focalizzati su digitalizzazione ed efficientamento energetico. Inoltre, tramite il “Decreto PNRR” (D.L. 152/2021) è stata introdotta un’agevolazione mista molto vantaggiosa per le strutture turistico-ricettive: un contributo a fondo perduto fino a 100.000 € (max 50% delle spese) abbinato a un credito d’imposta dell’80% sulle spese residue, per interventi effettuati tra fine 2021 e 2024 su efficientamento energetico, antisismica, eliminazione barriere architettoniche e digitalizzazione. Questa misura (nota come “Bonus alberghi 80%”) ha finanziato migliaia di progetti in tutta Italia, aiutando le imprese turistiche a innovare senza indebitarsi eccessivamente. Nel 2025, benché il periodo di spesa agevolabile di quella misura si sia chiuso, il Ministero del Turismo continua a sostenere il settore con il Fondo Unico Nazionale Turismo, che alimenta bandi annuali per eventi turistici, formazione professionale e promozione del patrimonio locale. Da ricordare che il Jubilee 2025 (Giubileo) a Roma porta investimenti e bandi dedicati alle attività ricettive della capitale e dintorni. Anche la cultura e le industrie creative collegate al turismo (es. organizzazione eventi, spettacolo dal vivo) godono di attenzioni: per il 2025 è rifinanziato il Fondo Cultura per il recupero di beni storici (in partenariato pubblico-privato) e sono attivi crediti d’imposta specifici (come il tax credit librerie o il credito per le produzioni cinematografiche). Le imprese turistiche in crisi possono inoltre accedere, al pari di altri settori, ai meccanismi di ristrutturazione del debito e alle garanzie pubbliche. In particolare, è stata spesso utilizzata la Garanzia Italia SACE – attivata prima per Covid e poi per la crisi Ucraina – anche da catene alberghiere e tour operator, ottenendo prestiti garantiti dallo Stato per sopravvivere alla mancanza di flussi di cassa. Molte PMI del turismo hanno inoltre beneficiato delle moratorie sui mutui (quando previste) e, se in situazione di insolvenza conclamata, hanno potuto ricorrere a strumenti come il concordato preventivo in continuità (ad esempio, alcuni alberghi hanno avviato concordati “in bianco” durante il lockdown per congelare i debiti e poi ristrutturarli con la ripresa dei flussi turistici).

Agricoltura e Agroalimentare

Il settore agricolo presenta peculiarità in tema di aiuti: da un lato beneficia di politiche e fondi europei dedicati (PAC), dall’altro è soggetto a crisi spesso derivanti da calamità naturali o oscillazioni dei prezzi internazionali. Le aziende agricole in difficoltà possono contare su strumenti pubblici specifici. In primo luogo, tramite la PAC 2021-2027 le imprese ricevono pagamenti diretti annuali (il cosiddetto regime di base e greening), che garantiscono liquidità e sostegno al reddito anche in annate avverse. Accanto a ciò, i Programmi di Sviluppo Rurale (PSR) regionali cofinanziano investimenti in agricoltura (es. miglioramento fondiario, agriturismi, filiere corte) spesso con contributi a fondo perduto dal 40% al 60% – utili sia per ammodernare l’azienda che per diversificare le entrate in periodi di crisi. Per affrontare eventi calamitosi (siccità, alluvioni, fitopatie), opera il Fondo di solidarietà nazionale che prevede indennizzi e sospensioni contributive nelle aree colpite, nonché esenzioni fiscali (ad esempio l’esonero IMU per i terreni danneggiati). Sul fronte del credito, l’ISMEA (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare) svolge un ruolo analogo a quello del Fondo PMI per gli altri settori: offre garanzie pubbliche sui prestiti agrari e finanziamenti agevolati per giovani agricoltori o progetti di sviluppo della filiera. Nel 2025 è stato istituito – tramite il “Decreto Agricoltura” convertito nella L. 101/2024 – un Credito d’imposta speciale per le imprese agricole, ittiche e di acquacoltura localizzate nella ZES Unica del Mezzogiorno. Questa misura, legata alla nuova Zona Economica Speciale Unica che accorpa le ZES del Sud Italia, intende rilanciare un settore agricolo che sta attraversando un periodo di difficoltà con incremento costi e calo produttivo: alle imprese agroalimentari del Sud vengono riconosciuti crediti d’imposta sugli investimenti (macchinari, impianti) finanziati con un plafond di 2,2 miliardi di euro. Va anche ricordato che l’agricoltura ha un regime di gestione della crisi diverso per quanto riguarda le procedure concorsuali: gli imprenditori agricoli non sono soggetti a fallimento (art. 1 LF escludeva gli agricoltori), ma dal 2019 possono accedere alle procedure di sovraindebitamento (oggi regolate dal CCII) e ad alcuni strumenti negoziali, come la composizione negoziata, in caso di crisi dell’azienda agricola. In pratica, un’azienda agricola in grave squilibrio può proporre un accordo di ristrutturazione dei debiti con banche e fornitori, o un piano attestato di risanamento, sebbene non sia fallibile: ciò consente anche alle imprese agroalimentari di utilizzare gli strumenti di soluzione della crisi senza passare dalla liquidazione giudiziale, potendo così proseguire l’attività (magari riconvertendosi) e salvaguardare l’occupazione rurale.

(Tabella 1 – Esempi di misure specifiche per settore economico)

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Settore Misure di sostegno dedicate (selezione 2025)
Industria – Crediti d’imposta Transizione 4.0 per investimenti produttivi– Nuova Sabatini (finanziamento + contributo in conto interessi, 10% fondo perduto al Sud)– Contratti di sviluppo e bandi MIMIT per aree industriali in crisi– Fondo di Garanzia PMI per liquidità e investimenti (copertura fino all’80-90%)– Moratorie bancarie (in caso di shock, es. accordi ABI) e rinegoziazione mutui con garanzia statale
Commercio – Contributi a fondo perduto locali (es. bandi regioni per digitalizzazione negozi)– Voucher e crediti d’imposta per registratori telematici, e-commerce e pagamenti digitali– Agevolazioni fiscali su affitti commerciali (crediti d’imposta Covid per locazioni in alcuni settori)– Fondo Nuove Competenze per formare il personale ed evitare licenziamenti
Turismo – FRI-Tur: finanziamenti CDP + contributo 35% per strutture ricettive– Bonus Alberghi: 50% fondo perduto + 80% credito d’imposta per riqualificazione (2021-24)– Fondo Turismo (bandi Ministero Turismo per digitalizzazione, sostenibilità)– SACE Garanzia “SupportItalia” per prestiti a imprese turistiche post-Covid (fino al 90% di garanzia statale)
Servizi – Fondo di Garanzia PMI esteso anche a professionisti e società di servizi per finanziamenti di circolante– Crediti d’imposta formazione 4.0 per aggiornare competenze digitali– Agevolazioni contributive per nuove assunzioni nei servizi (esoneri contributivi giovani/turismo stagionale)– Voucher internazionalizzazione (per servizi alle imprese che vogliono espandersi all’estero)
Agricoltura – Pagamenti diretti PAC (sostegno al reddito annuale per stabilizzare entrate)– PSR: contributi 40-60% su investimenti agricoli (innovazione, agriturismo, filiere)– Credito d’imposta ZES Mezzogiorno per investimenti (fino al 45% al Sud, 30% altrove)– Garanzie ISMEA su mutui agrari e prestiti di conduzione (fino al 70%–80%)– Fondo solidarietà calamità: indennizzi e sospensione mutui/contributi per aziende colpite da eventi eccezionali

Misure di sostegno: livello statale, regionale e UE

Le imprese in difficoltà possono trovare aiuto attraverso misure attivate a diversi livelli di governo: dallo Stato centrale (decreti legge, leggi di bilancio, fondi nazionali) alle Regioni (bandi territoriali finanziati con risorse proprie o europee), fino ai programmi e regolamenti dell’Unione Europea. In questa sezione forniamo una mappa dei principali canali di intervento attivi nel 2025 ai vari livelli istituzionali.

Livello statale (nazionale)

A livello nazionale, il Governo e il Parlamento hanno introdotto negli ultimi anni un insieme molto ampio di misure di sostegno alle imprese, inizialmente per fronteggiare l’emergenza e poi per accompagnare la ripresa. Anche nel 2025 diverse di queste misure continuano ad essere operative o sono state prorogate/rafforzate. Ecco i principali strumenti nazionali:

  • Contributi a fondo perduto nazionali: la Legge di Bilancio 2025 ha rifinanziato numerosi incentivi gestiti dal MiMIT e da altri Ministeri. Ad esempio, il Fondo Impresa Donna e il Fondo Imprese Creative, lanciati nel 2022 con risorse PNRR, proseguono nel 2025 per supportare rispettivamente l’imprenditoria femminile e i progetti del settore creativo, offrendo una combinazione di fondo perduto e finanziamenti agevolati. È stato istituito anche un nuovo “Bando Africa” per incentivare le PMI italiane ad avviare progetti nei mercati africani, con un contributo a fondo perduto del 20% fino a 200.000 € per le imprese del Sud (10% fino a 100.000 € altrove), a cui si aggiunge un finanziamento agevolato per la quota restante. Altri contributi a fondo perduto attivi nel 2025 includono il “Voucher PMI” per consulenze in innovazione, i bandi Macchinari Innovativi per le regioni meno sviluppate, e misure settoriali come il Fondo ristorazione (ristori integrativi per attività di ristorazione che hanno subito cali di fatturato, rifinanziato nel DL “Milleproroghe 2025”). È importante notare che molti contributi a fondo perduto nazionali operano tramite bandi a sportello con risorse limitate: le imprese devono quindi presentare domanda tempestivamente quando si aprono le finestre di candidatura, rispettando requisiti e soglie previsti dai relativi decreti.
  • Crediti d’imposta nazionali: i crediti d’imposta sono stati uno strumento principe per sostenere le imprese, in quanto permettono di compensare debiti fiscali con importi maturati a seguito di spese ammissibili, migliorando la liquidità aziendale. Nel 2025 troviamo:
    • Il Credito d’imposta beni strumentali 4.0, che consente di recuperare una percentuale del costo di nuovi macchinari, impianti e software avanzati acquistati per la trasformazione tecnologica. Le aliquote per il 2025 sono, ad esempio, del 20% per beni materiali 4.0 (entro limiti di spesa) e del 15% per software, con ulteriore riduzione prevista nel 2026. Questa misura, erede dell’iperammortamento, sostiene le imprese manifatturiere e non solo nell’innovazione.
    • I Crediti d’imposta energia: introdotti nel 2022 per mitigare i rincari eccezionali di elettricità e gas (fino al 45% della spesa energetica per imprese energivore nel 4° trim. 2022), sono proseguiti in parte nel 2023 e prorogati nei primi mesi 2024 seppur ridotti (nel 2024 aliquote al 20% per energivore e 10% per altre imprese). Nel 2025, con il calo dei prezzi energetici, tali crediti non sono attivi generalizzati, ma rimane la possibilità per il Governo di reintrodurli qualora si verifichino nuovi shock di prezzo. Inoltre, in alcuni casi specifici (es. imprese di ceramica e vetro ancora in sofferenza) la legge di bilancio ha previsto un prolungamento selettivo dei crediti energetici.
    • Il Credito d’imposta ZES Unica per il Sud Italia: come accennato, le imprese che investono nelle 8 regioni meridionali in zona ZES Unica nel 2025 possono ottenere un credito fiscale fino al 45% sull’investimento (con tetto di 100 milioni € per singolo progetto). Il meccanismo prevede una prenotazione del bonus entro maggio 2025 e una rendicontazione a fine 2025, con riparto delle risorse complessive (2,2 mld €) tra i richiedenti.
    • Altri crediti d’imposta attivi includono: bonus investimenti in beni strumentali al Sud (credito del 10-20% per imprese meridionali fuori ZES), bonus formazione 4.0 (credito fino al 50% sulle spese di formazione dei dipendenti in ambito digitale e verde, con tetti variabili per PMI), tax credit librerie (sostegno ai negozi librari indipendenti), credito d’imposta quotazione PMI (per le spese di IPO delle PMI, prorogato al 2025), nonché i crediti per il settore edilizio (bonus ristrutturazioni, ecobonus) che però attengono più alle filiere dell’edilizia e immobiliare.

    Dal punto di vista normativo, tutti questi crediti d’imposta sono istituiti da leggi statali e devono rispettare i limiti imposti dalla normativa UE sugli aiuti di Stato (spesso infatti rientrano nel regime “de minimis” o in sezioni notificate alla Commissione). Da gennaio 2024, grazie al nuovo regolamento UE, il massimale de minimis per impresa è stato elevato a 300.000 € su tre esercizi (prima era 200.000 €), dando maggior spazio di manovra per concedere piccoli crediti e contributi senza violare la disciplina UE.

  • Garanzie pubbliche sui finanziamenti: lo Stato italiano interviene in maniera determinante agevolando l’accesso al credito attraverso garanzie su prestiti bancari alle imprese. Il pilastro è il Fondo di Garanzia per le PMI, operativo dal 2000 ma potenziato durante l’emergenza Covid. Questo Fondo, gestito da Mediocredito Centrale, garantisce una percentuale (fino all’80% – 90%) dei finanziamenti bancari concessi a PMI e professionisti, abbattendo il rischio per la banca e facilitando l’ottenimento di liquidità. Nel 2020-21 il Fondo, grazie ai vari Decreti “Liquidità” e “Rilancio”, offriva garanzia fino al 100% per prestiti fino a €30.000 e procedure semplificate. Dal 2022 la copertura è tornata a livelli ordinari (80% di norma, 90% per startup o progetti speciali), ma fino a fine 2023 sono rimaste alcune corsie preferenziali PNRR (ad esempio priorità a digitale e green). Nel 2025 il Fondo PMI è rifinanziato e pienamente operativo: le imprese in difficoltà finanziaria ma con prospettive di ripresa possono chiedere alla banca di utilizzare il Fondo come garante su nuovi prestiti o consolidamenti. Ciò può fare la differenza per aziende che, altrimenti, col solo merito di credito non riuscirebbero a ottenere finanziamenti. Oltre al Fondo PMI, lo Stato agisce tramite SACE: la società pubblica assicurativo-finanziaria, già nota per le garanzie all’export, ha gestito negli anni scorsi il programma Garanzia Italia (decreto Liquidità 2020) e poi Garanzia SupportItalia (decreti Aiuti 2022) offrendo garanzie statali su prestiti a imprese medio-grandi colpite dalla crisi pandemica ed energetica. Tali schemi di garanzia straordinaria, legati ai “Quadri Temporanei” UE, scadono a fine 2023, ma SACE nel 2025 continua a offrire supporto tramite garanzie “green” e “digital” (per progetti ambientalmente sostenibili o innovativi, in linea col Green New Deal e col PNRR) e tramite co-garanzie con il Fondo PMI su operazioni di importo elevato. Un ulteriore attore è ISMEA per l’agricoltura, come già detto, che fornisce garanzie fino al 70%-80% sui crediti agrari, con plafond dedicati per giovani under 40 e imprenditrici agricole.
  • Moratorie fiscali e “tregua fiscale”: il governo nazionale può intervenire anche sospendendo o dilazionando obblighi di pagamento tributari e contributivi per dare respiro alle imprese in crisi di liquidità. Negli ultimi anni ciò è avvenuto più volte. Nel 2020, ad esempio, vari decreti (Cura Italia, Rilancio) hanno differito versamenti IVA, ritenute e contributi per i settori più colpiti dal lockdown, e bloccato temporaneamente l’invio di nuove cartelle esattoriali. Nel 2023, la Legge di Bilancio 2023 (L.197/2022) ha varato una vasta “tregua fiscale”, includendo: lo stralcio automatico dei debiti fiscali fino a €1.000 risalenti al 2000-2015; la definizione agevolata (rottamazione-quater) delle cartelle 2000-2017 con abbattimento di sanzioni e interessi; la regolarizzazione di irregolarità formali con sanzione minima. Queste misure hanno aiutato molte PMI a liberarsi di vecchi debiti fiscali non più sostenibili, pagando solo l’imposta dovuta (anche in comode rate fino a 5 anni). Per il 2025 non sono previste nuove rottamazioni generalizzate, ma resta la facoltà per il Governo di adottare sospensioni mirate in caso di eventi straordinari: ad esempio, dopo l’alluvione in Emilia-Romagna di maggio 2023, è stata disposta la sospensione fino a fine anno dei termini di pagamento di imposte e contributi per le imprese delle zone colpite, poi seguita da possibilità di versamento rateizzato. Un’altra forma di sollievo fiscale è la rateizzazione ordinaria dei debiti tributari: Equitalia/Agenzia Riscossione consente piani fino a 6 anni (72 rate) o, su importi rilevanti e comprovata difficoltà, fino a 10 anni (120 rate) per diluire l’impatto sul cash flow dell’azienda. Anche INPS e Agenzia delle Entrate talvolta emanano proroghe di versamenti (come quella, a inizio 2022, delle rate dei contributi sospesi nel 2020 per turismo e trasporti). In sintesi, le moratorie fiscali non “regalano” denaro all’impresa ma posticipano gli esborsi, contribuendo a superare momenti di tensione finanziaria. Nel valutare l’utilizzo di queste opportunità, l’imprenditore deve tuttavia ponderare l’effetto accumulo: troppi rinvii potrebbero portare, alla scadenza, a importi elevati da pagare tutti insieme. È qui che entrano in gioco gli strumenti di transazione fiscale (vedi oltre) per cercare una soluzione strutturale.
  • Strumenti del PNRR: il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (finanziato dall’UE tramite il Recovery Fund) è un protagonista chiave anche nel supporto alle imprese. Molte misure citate (dal Fondo Impresa Donna ai crediti Transizione 4.0) sono alimentate con risorse PNRR. In aggiunta, il PNRR dedica investimenti specifici per filiere strategiche: ad esempio contratti di sviluppo per la filiera agroalimentare, automotive ed energie rinnovabili, con oltre 1 miliardo destinato a ciascuna filiera per progetti di riconversione e crescita. Questi interventi, pur rivolti a investimenti, aiutano indirettamente le imprese in difficoltà a riconvertirsi e quindi a rafforzare la propria situazione finanziaria. Il PNRR sostiene anche la ricapitalizzazione delle PMI: è attivo il programma “Patrimonio PMI” (gestito da CDP e Mediocredito Centrale), che prevede investimenti pubblici temporanei nel capitale di PMI in sviluppo o in transizione (sottoscrizione di obbligazioni convertibili, strumenti partecipativi) al fine di migliorare i loro indicatori patrimoniali e facilitarne l’accesso al credito. Inoltre, grazie al PNRR, è stato istituito il Fondo per l’imprenditorialità giovanile e rafforzato il già esistente Nuovo SELFIEmployment (microcredito fino a 50.000 € a tasso zero per nuove imprese giovani o femminili). Va menzionato che tutte le misure PNRR hanno target di realizzazione entro il 2026: per questo molte agevolazioni per le imprese hanno scadenze ravvicinate e budget da utilizzare velocemente (il che spiega la frequente apertura di bandi con sportelli “click-day”). Per un imprenditore informarsi sulle opportunità PNRR è fondamentale nel 2025, perché alcune di esse sono irripetibili.

Livello regionale

Le Regioni italiane, nell’ambito delle loro competenze in materia di sviluppo economico, hanno sviluppato nel tempo un vasto sistema di incentivi e aiuti alle imprese a livello territoriale. Queste misure integrano e talvolta ampliano quelle statali, adattandole alle specificità dei tessuti produttivi locali. Nel 2025, tutte le Regioni dispongono di fondi (spesso cofinanziati dall’UE attraverso i programmi POR FESR e POR FSE 2021-2027) per sostenere le imprese in difficoltà o favorirne il rilancio.

Quali tipi di aiuti regionali esistono? Principalmente si tratta di bandi o avvisi pubblici rivolti a platee definite di beneficiari (PMI, microimprese, settori strategici regionali). I contributi tipici includono:

  • Contributi a fondo perduto regionali: ad esempio, la Regione Lombardia ha in essere il bando “Investimenti per la ripresa” che concede fino al 50% a fondo perduto per l’acquisto di nuovi macchinari alle PMI manifatturiere lombarde colpite dal calo produttivo. La Toscana eroga contributi a microimprese commerciali e artigiane per la partecipazione a fiere e mercati, al fine di aiutarle a trovare nuovi sbocchi commerciali dopo la crisi. Molte Regioni del Sud (Campania, Puglia, Sicilia) finanziano con risorse del FSC e FESR bonus occupazionali per le imprese che assumono lavoratori provenienti da aziende in crisi, contrastando così la disoccupazione nelle aree svantaggiate.
  • Strumenti finanziari regionali: diverse regioni operano tramite finanziarie regionali o accordi con istituti di credito per offrire prestiti agevolati o fondi di rotazione. Ad esempio, Finpiemonte, Lazio Innova, Puglia Sviluppo ecc., gestiscono fondi che concedono finanziamenti a tassi inferiori di mercato a imprese che vogliono effettuare ristrutturazioni o investimenti post-crisi. Spesso questi prestiti hanno garanzie pubbliche aggiuntive o prevedono una quota a fondo perduto.
  • Garanzie e confidi locali: oltre al Fondo di Garanzia nazionale, esistono consorzi di garanzia fidi regionali (o di settore) che, talora con il sostegno finanziario della regione, facilitano l’accesso al credito delle PMI garantendo parte del finanziamento. Alcune Regioni hanno costituito propri fondi di garanzia: es. la Provincia Autonoma di Trento dispone di un fondo locale che garantisce fino al 70% dei prestiti alle sue imprese, cumulabile con il Fondo PMI nazionale.
  • Interventi per crisi aziendali specifiche: quando si verificano crisi aziendali di rilevanza regionale (fabbriche di grandi dimensioni che rischiano la chiusura, lasciando centinaia di lavoratori senza impiego), le Regioni spesso attivano task force con il MIMIT e il Ministero del Lavoro per trovare soluzioni. Possono includere incentivi ad investitori per la reindustrializzazione di siti produttivi dismessi, cassa integrazione in deroga per i dipendenti per un periodo di transizione, e contributi alla formazione/ricollocazione del personale.
  • Sgravi fiscali regionali/locali: alcune regioni utilizzano la leva fiscale di loro competenza (addizionali IRAP, IMU – quest’ultima con i Comuni) per alleggerire il carico alle imprese in difficoltà. Ad esempio, la Sicilia e la Sardegna hanno previsto esenzioni temporanee dall’IRAP per nuove imprese costituite da lavoratori provenienti da aziende chiuse, e molti Comuni hanno ridotto la TARI per attività costrette a chiudere durante la pandemia.

È importante sottolineare che le misure regionali variano molto da territorio a territorio: un’impresa in Veneto avrà opportunità diverse rispetto a un’impresa in Calabria. Per questo, imprenditori e consulenti devono consultare i siti istituzionali regionali (e delle Camere di Commercio locali) dove vengono pubblicati i bandi e gli avvisi. Inoltre, molti aiuti regionali sono soggetti anch’essi alla normativa UE sugli aiuti di Stato: la maggior parte rientra in esenzioni o regimi approvati (spesso utilizzano il regolamento de minimis o il regolamento GBER – General Block Exemption Regulation – che permette di concedere aiuti per certe finalità senza notifica previa a Bruxelles). Ad esempio, se una regione concede un fondo perduto del 40% per macchinari, probabilmente lo fa in regime “de minimis” (ora elevato a 300k € in 3 anni), mentre un grosso aiuto per salvare una grande azienda potrebbe richiedere notifica e autorizzazione della Commissione.

Infine, le regioni sono protagoniste nell’implementazione sul territorio di programmi comunitari indiretti: hanno sportelli per Erasmus for Young Entrepreneurs, per Horizon Europe (PMI innovative), per Interreg (collaborazioni transfrontaliere). Sebbene questi rientrino più nello sviluppo che nell’“aiuto in difficoltà”, parteciparvi può dare benefici tangibili a imprese stressate finanziariamente (ad esempio finanziando progetti di innovazione che l’impresa non potrebbe permettersi da sola).

Livello comunitario (Unione Europea)

L’Unione Europea interviene a favore delle imprese in due modi: finanziando programmi e fondi di cui le aziende possono direttamente o indirettamente beneficiare, e regolamentando la materia degli aiuti di Stato per assicurare che gli aiuti nazionali/regionali non falsino la concorrenza nel mercato unico. Vediamo entrambi gli aspetti.

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Sul fronte dei finanziamenti UE, oltre al già citato Recovery Plan (Next Generation EU) che alimenta il PNRR italiano, vi sono numerosi programmi europei 2021-2027 cui le imprese possono accedere direttamente:

  • Programma Horizon Europe: finanzia ricerca e innovazione, le PMI possono ottenere grant (sovvenzioni) partecipando a bandi collaborativi o tramite lo European Innovation Council (EIC) che supporta startup e PMI innovative con contributi e investimenti equity. Un’impresa tecnologica in difficoltà può trovare rilancio ottenendo un finanziamento Horizon per sviluppare un nuovo prodotto innovativo.
  • Single Market Programme (SMP): è il programma che ha unificato COSME per le PMI, offrendo fondi per la competitività, l’accesso ai mercati e il miglioramento dell’ambiente imprenditoriale. Ad esempio, tramite SMP l’UE cofinanzia la rete Enterprise Europe Network (EEN) che gratuitamente aiuta le PMI a trovare partner esteri, innovare e accedere a finanziamenti.
  • Fondi strutturali e d’investimento europei: i principali per le imprese sono il FESR (Fondo Europeo di Sviluppo Regionale) e il FSE+ (Fondo Sociale Europeo Plus). Questi fondi però non sono erogati direttamente da Bruxelles alle imprese, ma tramite programmi operativi nazionali e regionali. Li abbiamo difatti già incontrati: quando un’azienda vince un bando regionale FESR per innovazione riceve fondi UE indiretti. A livello nazionale esistono Programmi Operativi dedicati, ad esempio il PN “Imprese e Competitività”, che finanzia contratti di sviluppo, macchinari innovativi e altre misure (ora proseguito come interventi nel PNRR complementare e programmi 21-27).
  • InvestEU: l’UE non dà solo contributi, ma anche garanzie e strumenti finanziari attraverso banche e intermediari. InvestEU, successore del Piano Juncker, permette a BEI (Banca Europea per gli Investimenti) e FEI (Fondo Europeo degli Investimenti) di erogare prestiti e garanzie con copertura UE a favore delle imprese. Ad esempio, la BEI nel 2025 continua a concedere prestiti agevolati alle PMI tramite accordi con banche italiane (la BEI presta alla banca a tasso basso, la banca deve girare il beneficio alle PMI in difficoltà di accesso al credito). Il FEI fornisce controgaranzie ai confidi e al Fondo PMI per aumentare la capacità di garantire prestiti (un effetto moltiplicatore europeo sulle garanzie nazionali).
  • Programma LIFE, Digital Europe, Erasmus+: menzioniamo brevemente che imprese attive in certi settori possono ottenere contributi da programmi specifici (LIFE per progetti ambientali, Digital Europe per progetti di trasformazione digitale, Erasmus+ per formare il personale all’estero, ecc.). Anche questi possono alleviare costi che l’impresa avrebbe difficoltà a sostenere.

Oltre ai finanziamenti, l’UE ha recentemente varato iniziative per rispondere a nuove sfide: la Net-Zero Industry Act e il futuro Clean Tech Fund europeo potrebbero offrire, già dal 2025, opportunità di finanziamento alle imprese che investono in produzioni strategiche “verdi” (batterie, rinnovabili, idrogeno) in risposta all’Inflation Reduction Act USA. Le imprese italiane in quei settori dovranno monitorare questi sviluppi.

Riguardo alla regolamentazione degli aiuti di Stato, per un lettore avvocato è utile uno sguardo di contesto: l’UE generalmente proibisce agli Stati di dare aiuti selettivi alle imprese (Art. 107 TFUE) salvo eccezioni. Per questo, ogni misura di aiuto pubblico citata (nazionale o regionale) deve inquadrarsi in una deroga consentita. Moltissime misure per PMI rientrano nel citato Regolamento Generale di Esenzione (GBER), che autorizza automaticamente aiuti per PMI, ricerca, ambiente, formazione, occupazione entro certe intensità. Altre rientrano nel nuovo Regolamento de minimis (UE) 2023/Rest) che esenta gli aiuti di minore entità (ora <300k € in 3 anni) dal considerarsi aiuto di Stato.

In situazioni di crisi sistemiche, la Commissione Europea adotta quadri temporanei per permettere aiuti straordinari: durante la pandemia abbiamo avuto il Temporary Framework COVID-19 (2020-21) che autorizzò aiuti fino a 800k € per impresa sotto forma di sovvenzioni, garanzie pubbliche al 100%, ricapitalizzazioni statali, ecc. Quel quadro è scaduto nel 2021, ma subito dopo, con la crisi Ucraina ed energetica, la Commissione ha emanato il Temporary Crisis Framework (TCF) 2022, poi ampliato nel 2023 nel Temporary Crisis and Transition Framework (TCTF). Quest’ultimo consente fino al 31 dicembre 2025 agli Stati di dare aiuti per contrastare gli effetti economici della guerra e per accelerare la transizione verde (ad esempio aiuti per compensare prezzi dell’energia elevati, o per sviluppare tecnologie pulite). L’Italia ha fatto ampio uso di questi strumenti: i crediti d’imposta energia 2022-23 citati derivavano proprio dal Temporary Crisis Framework approvato, così come la Garanzia SupportItalia SACE e i contributi straordinari alle imprese gasivore. Al 2025 l’uso del TCTF si concentra sugli incentivi a settori chiave (es. la Commissione ha approvato a maggio 2025 un regime italiano da 5,4 mld per la decarbonizzazione del trasporto marittimo).

In definitiva, il livello comunitario permea l’intero sistema degli aiuti: non solo offre risorse dirette, ma “supervisiona” e abilita quelli nazionali. Per le imprese, potrebbe sembrare secondario, ma in realtà molti vincoli (come il divieto pre-2021 di ridurre l’IVA nei concordati) o opportunità (come i massimali de minimis aumentati) nascono proprio da qui. Nel capitolo normativo finale forniremo i riferimenti essenziali ai regolamenti UE pertinenti.

Aiuti pubblici per le imprese in difficoltà (2025)

Dopo aver delineato i livelli istituzionali, entriamo nel dettaglio delle tipologie di aiuto pubblico disponibili per sostenere la liquidità e il rilancio delle imprese in difficoltà nel 2025. In questa sezione approfondiamo i meccanismi di funzionamento, i requisiti e le opportunità offerte da: contributi a fondo perduto, crediti d’imposta, garanzie pubbliche sui crediti, moratorie e agevolazioni fiscali, nonché alcuni strumenti specifici del PNRR e fondi UE già menzionati.

Contabilità

Buste paga

 

Contributi a fondo perduto

I contributi a fondo perduto sono somme di denaro erogate da un ente pubblico all’impresa senza obbligo di restituzione (a condizione che vengano rispettati i vincoli di utilizzo stabiliti). Per un’azienda in difficoltà di liquidità, ottenere un contributo a fondo perduto può rappresentare una boccata d’ossigeno fondamentale, perché fornisce capitale immediato migliorando il patrimonio netto e senza incrementare l’indebitamento.

Quali sono i principali contributi a fondo perduto disponibili nel 2025? Possiamo distinguerli in due categorie: quelli emergenziali (nati per compensare perdite subite) e quelli strutturali (incentivi per investimenti o progetti). Gli aiuti emergenziali a fondo perduto – come i “ristori” Covid – non sono più in vigore generalizzato al 2025, sebbene il governo li attivi su situazioni particolari (es. contributo una tantum ai settori ancora in sofferenza, come discoteche o fiere internazionali, oppure indennizzi alle imprese dell’Emilia-Romagna colpite dall’alluvione 2023). Per contro, è molto ricca l’offerta di contributi strutturali:

  • Bandi PNRR e ministeriali: il MiMIT tiene aggiornata una lista di incentivi per le imprese (consultabile sul portale “Incentivi.gov.it”), molti dei quali includono quote di fondo perduto. Esempi: Smart&Start Italia (per startup innovative, mix di 30% fondo perduto e 70% finanziamento zero interessi), Fondo Economia Circolare (contributi fino al 40% per progetti “green”), Innovazione digitale filiere (contributi per progetti in filiere tradizionali). Come visto, misure come FRI-Tur e i Contratti di sviluppo offrono anch’essi una parte di contributo a fondo perduto accanto a finanziamenti. La Legge di Bilancio 2025 in particolare ha stanziato ulteriori 400 milioni per contributi diretti a progetti d’investimento delle PMI ad elevato impatto tecnologico, oltre a proseguire con 600 mln il “Fondo IPCEI” per coinvolgere imprese italiane in Progetti di Comune Interesse Europeo (in settori come batterie, microchip), dove le sovvenzioni pubbliche sono ammesse in deroga alle regole ordinarie data la valenza strategica.
  • Contributi per il Mezzogiorno: l’Italia riserva storicamente particolari agevolazioni alle regioni del Sud. Oltre ai crediti d’imposta, ci sono misure come “Resto al Sud” (gestita da Invitalia) che dal 2018 aiuta giovani imprenditori meridionali con un mix 50% contributo e 50% prestito a tasso zero per avviare attività. Nel 2025 Resto al Sud è ancora attivo e molto richiesto. Allo stesso modo, la nuova ZES Unica Sud offre, accanto ai crediti d’imposta, bandi con contributi per infrastrutture nelle aree industriali ZES. Spesso le programmazioni FSC destinano alle regioni meridionali fondi per contratti di sviluppo con percentuali di contributo più alte rispetto al Centro-Nord.
  • Contributi regionali: come già trattato, ciascuna regione pubblica bandi con contributi a fondo perduto per vari scopi (innovazione, internazionalizzazione, efficientamento energetico, ecc.). In genere il massimale copertura è tra il 30% e il 70% del costo del progetto, raramente 100%. Molti di questi bandi sono a sportello finché risorse esaurite, per cui è fondamentale monitorare i siti regionali e agire rapidamente.

Requisiti e modalità: ogni bando stabilisce requisiti precisi (dimensione impresa, settori ammissibili, spese ammissibili, indicatori economici). In linea di massima, anche un’azienda in temporanea crisi può partecipare, purché non sia in stato di fallimento o liquidazione (alcuni bandi escludono le imprese “in difficoltà” ai sensi UE – definizione che include insolvenza conclamata o patrimonio netto negativo). È quindi importante che l’imprenditore verifichi la propria posizione: ad esempio, se l’azienda ha perso oltre metà del capitale per perdite, potrebbe essere formalmente “impresa in difficoltà” e non poter ricevere aiuti finché non ricostituisce il capitale (questo limite è posto dalla normativa UE sugli aiuti di Stato, per evitare di sovvenzionare aziende decotte in concorrenza sleale). A livello pratico, la domanda di contributo di solito si presenta su piattaforme online (es. la piattaforma Invitalia per molte misure nazionali, o portali regionali dedicati), allegando un progetto o una relazione tecnica e documenti amministrativi. Se il bando è a graduatoria, bisogna curare molto la qualità del progetto (es. business plan) per ottenere punteggi alti; se è a sportello, conta la rapidità. Una volta ammessa, l’impresa di solito riceve il fondo perduto a saldo, dopo aver realizzato e pagato le spese previste (talvolta è prevista un’anticipazione parziale su fideiussione). È essenziale poi mantenere i vincoli (per esempio non dismettere i beni acquistati per almeno 3-5 anni, o non delocalizzare la produzione) per non incorrere in revoche del contributo.

In conclusione, i contributi a fondo perduto sono uno strumento potentissimo ma non illimitato: vanno usati come leva per risollevarsi, sapendo che richiedono progettualità e tempi di ottenimento non immediati (mesi se non anno, tra domanda, istruttoria e erogazione). Per emergenze di cassa più immediate, entrano in gioco gli strumenti seguenti: crediti d’imposta e garanzie, che vediamo ora.

Crediti d’imposta

Il credito d’imposta (o bonus fiscale) è un beneficio che consente all’impresa di vantare un credito verso l’erario utilizzabile in compensazione di imposte e contributi dovuti, o in alcuni casi rimborsabile/cedibile. In sostanza è come se lo Stato attribuisse un “buono fiscale” all’azienda, riducendo i suoi esborsi futuri per tasse. Per un’azienda in difficoltà, i crediti d’imposta migliorano la liquidità indirettamente (pagherà meno tasse) e incentivano a compiere spese o attività altrimenti troppo onerose.

Panoramica dei crediti d’imposta rilevanti nel 2025:

  • Investimenti e Innovazione: qui spicca il credito d’imposta “Transizione 4.0” già trattato. Ad esempio, un’impresa che nel 2025 acquista una nuova macchina utensile CNC interconnessa (industria 4.0) da 100.000 € può maturare un credito d’imposta di 20.000 € da usare in compensazione in 3 quote annuali. Questo di fatto le restituisce 1/5 del costo. Allo stesso modo, se sviluppa internamente un progetto di software/algoritmo per migliorare i processi, può rientrare nel credito Ricerca & Sviluppo (aliquota 10% nel 2023, proroghe in discussione per 2024-25) o nel credito Innovazione tecnologica (aliquota 10% o 15% se legata a transizione ecologica/digitale). Anche la Formazione 4.0 permette di recuperare dal 30% al 50% del costo del personale in formazione su tecnologie avanzate. Tutti questi crediti sono cumulabili (nel rispetto di massimali) e rappresentano opportunità per imprese che, pur in difficoltà, investono per uscirne.
  • Sud e ZES: per stimolare l’economia meridionale, è attivo fino al 2023 (in attesa di proroga per 2024-25) il Credito d’imposta per investimenti nel Mezzogiorno (L. 208/2015 e succ. mod.): consente alle imprese in Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Molise, Sardegna, Abruzzo di recuperare il 45% (PMI) o 25% (grandi) degli investimenti in macchinari e impianti nuovi. Si attendeva una proroga nella Legge di Bilancio 2025 ma, in alternativa, la neonata ZES Unica Sud con 2,2 mld € copre analoghe finalità per il solo 2024-25. Dunque nel 2025 le imprese del Sud possono usufruire di un credito d’imposta investimenti ZES con tetto 100 mln, presentando apposita domanda all’Agenzia Entrate entro maggio e poi rendicontando. A ciò si aggiunge un credito d’imposta per l’occupazione nel Sud (decontribuzione Sud): fino al 2029 le imprese del Sud hanno uno sgravio del 30% dei contributi previdenziali per i dipendenti (misura finanziata da UE per contrastare il gap occupazionale).
  • Energia e carburanti: come detto, i crediti emergenziali su acquisto di energia elettrica e gas per le imprese energivore e gasivore sono terminati a fine Q1 2023, ma permangono dei crediti d’imposta più settoriali: ad esempio un credito d’imposta gasolio autotrasportatori strutturale (restituisce parte delle accise), e nel 2023 è stato istituito un credito d’imposta per l’acquisto di GNL per le imprese energivore sprovviste di metanodotto. Il 2025 potrebbe vedere l’introduzione di un credito carburanti agricoli se i prezzi dovessero impennarsi (misura attivata in passato con DL Aiuti).
  • Digitalizzazione e fiere: per favorire la ripartenza post-Covid, erano nati il credito d’imposta canoni di locazione per le imprese dei settori a calo fatturato e il credito d’imposta fiere internazionali (per recuperare il 50% delle spese di partecipazione a fiere estere). Questi bonus, rifinanziati a fasi alterne fino al 2022, non risultano attivi generalizzati nel 2025, se non rifinanziati con eventuali nuovi decreti. Alcune regioni però li replicano su scala locale (es. bonus fiere dalla Regione X).
  • Industria culturale e creativa: ricordiamo i tax credit specifici come il Tax credit cinema (30% sui costi di produzione cinematografica in Italia, per attrarre investimenti esteri e supportare le imprese cinematografiche italiane), il Tax credit musica (per le produzioni discografiche), e bonus per settori come editoria (credito edicole e editori per investimenti digitali) e tessile/moda (bonus per rimanenze di magazzino nel 2020, una tantum).

Utilizzo pratico dei crediti d’imposta: generalmente, l’impresa effettua la spesa agevolata (es. acquisto bene strumentale), poi indica il credito d’imposta spettante in dichiarazione dei redditi e lo utilizza in F24 in compensazione riducendo i versamenti dovuti (IVA, contributi, IRES, ecc.). In alcuni casi il credito è cedibile a terzi: per esempio, i bonus edilizi (Superbonus) sono stati cedibili a banche o fornitori, trasformando il credito in liquidità immediata (ma dal 2023 tale facoltà è stata limitata per i nuovi crediti). Nel contesto della crisi d’impresa, la cedibilità è stata molto utile: pensiamo a imprese edili in difficoltà che hanno potuto cedere i propri crediti per ottenere liquidità. È sempre cruciale rispettare i massimali: con il nuovo de minimis, un’impresa può cumulare fino a 300k € di crediti agevolativi vari in 3 anni senza infrangere le regole UE, ma oltre potrebbe dover rifiutare parte dei bonus. Da un punto di vista contabile, il credito d’imposta viene iscritto come provento (spesso in A5 del conto economico) quando vi è certezza della sua maturazione, aiutando anche l’utile dell’esercizio.

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In sintesi, i crediti d’imposta sono un meccanismo flessibile e mirato: premiano chi investe o sostiene costi strategici, e non pesano sul bilancio statale in modo immediato (sono riduzioni di entrate future). Per l’impresa in difficoltà rappresentano spesso un “tesoretto” invisibile: ad esempio, con un buon consulente fiscale, un’azienda può scoprire di poter recuperare decine di migliaia di euro per spese già fatte (pensiamo al credito R&S per attività svolte in anni precedenti non ancora richiesto). Vale quindi la pena effettuare un check-up fiscale per identificare i bonus retroattivi o in corso di spettanza.

Garanzie pubbliche sui finanziamenti

Quando un’azienda in difficoltà chiede un prestito in banca, l’ostacolo principale è il rischio di credito percepito dall’istituto: se l’impresa ha bilanci negativi o pochi asset da dare in garanzia, la banca teme di non rivedere i soldi e potrebbe negare il finanziamento o concederlo a tassi proibitivi. Le garanzie pubbliche servono proprio a colmare questo gap: un soggetto pubblico garantisce al posto dell’impresa (in tutto o in parte) l’eventuale perdita alla banca, aumentando la fiducia nel concedere credito a realtà altrimenti meritevoli ma fragili.

Abbiamo già trattato diffusamente il Fondo di Garanzia PMI: ricordiamo qui sinteticamente come funziona. Un’impresa (PMI, fino a ~€50 mln di ricavi o 250 dipendenti, ma in alcuni casi anche Mid-cap fino 499 dipendenti) può richiedere al Fondo garanzia su varie tipologie di operazioni finanziarie – prestiti a medio termine, fidi di cassa, leasing, bond – presentando domanda attraverso la banca o confidi. Se l’operazione rientra nei parametri (valutazione del merito di credito e scoring automatico), lo Stato copre una grossa percentuale del rischio. Per il 2025, ad esempio, la garanzia standard è 80% sull’importo (fino a un massimo di 5 milioni garantiti per impresa), elevabile a 90% per startup innovative, per imprenditoria femminile o per interventi PNRR/Green. I costi della garanzia statale sono ridotti (spesso gratuiti per piccole operazioni). In caso di inadempimento dell’impresa, la banca escute la garanzia e ottiene l’80-90% del credito residuo dallo Stato; poi lo Stato (Mediocredito Centrale) subentra nel credito vantato verso l’impresa. Questa garanzia non esonera l’azienda dal rimborso, ma di fatto convince la banca a erogare dove altrimenti non avrebbe fatto nulla. Durante la pandemia il Fondo ha garantito oltre €200 miliardi di finanziamenti, salvando innumerevoli PMI dal collasso.

Oltre al Fondo PMI, altre garanzie pubbliche rilevanti:

  • SACE: per imprese più grandi o esigenze particolari, SACE S.p.A. emette garanzie con copertura statale. La Garanzia SupportItalia (introdotta col DL Aiuti, L. 50/2022) ha consentito a medie-grandi imprese colpite da calo fatturato o caro energia di ottenere prestiti con garanzia statale al 90%. Tale strumento, autorizzato in deroga fino a fine 2023, ha supportato aziende di settori come automotive, moda, ceramica, spesso integrando piani di ristrutturazione. Nel 2025, pur non essendo più attivabile quella garanzia emergenziale, SACE continua col suo mandato di Garanzia Green (copertura 80% su prestiti per progetti di sostenibilità) e Garanzia SupportoMidsize (70% su obbligazioni di MidCap). Inoltre SACE gestisce l’Export Guarantee: se un’impresa in crisi vuole internazionalizzarsi per uscire dalla crisi, SACE può garantire finanziamenti per espansione export o anticipi su contratti esteri.
  • Confidi e sezioni speciali: i consorzi fidi spesso offrono una prima garanzia (es. 50%) e il Fondo PMI copre la tranche ulteriore (fino all’80% totale), generando una doppia garanzia che riduce praticamente a quasi zero il rischio per la banca. Alcuni confidi (soprattutto di settore, es. Confidi Commercio, Artigianato) hanno ottenuto dalle regioni fondi per garantire imprese micro che il Fondo PMI non riesce a servire bene. Quindi, un’impresa artigiana in difficoltà può rivolgersi al confidi locale che, se deliberano positivamente, facilità il credito con questa architettura di garanzie multiple.
  • Moratorie su mutui con garanzia dello Stato: un caso particolare di garanzia pubblica è stato il Fondo Gasparrini per i mutui prima casa, esteso nel 2020-21 anche ai mutui imprese (imprese individuali). Attraverso questo Fondo lo Stato copre le rate sospese nei piani di moratoria (pagando gli interessi alle banche), permettendo alle imprese di saltare rate fino a 12 mesi senza segnalazioni negative. Questo strumento è ora confinato ai mutui privati, ma mostra come la garanzia pubblica può funzionare anche da “ombrello” temporale.

Va evidenziato che accedere alle garanzie non significa abbassare la guardia sul merito creditizio: l’impresa deve comunque presentare un piano di rientro credibile alla banca. Tuttavia, con la garanzia statale, la soglia si abbassa: molte aziende che avrebbero preso un secco “no” dalle banche, possono invece ottenere fiducia. Per questo si dice che le garanzie pubbliche hanno effetto moltiplicatore: con pochi fondi (lo Stato copre solo le insolvenze effettive, non esborsa tutto all’inizio) si mobilitano grandi volumi di credito privato.

Nel contesto normativo UE, le garanzie rientrano negli aiuti di Stato anch’esse, e infatti durante Covid e crisi energia la Commissione ha dovuto autorizzare i massimali e le condizioni (ad esempio, sotto Temporary Framework 2020 lo Stato poteva garantire prestiti per importo fino al 25% del fatturato 2019 dell’impresa, con durata max 6 anni). In situazioni normali, le garanzie Fondo PMI operano sotto un regime notificato in esenzione e non sono considerate aiuto all’impresa (o meglio, sono aiuti “de minimis” in piccola parte). L’importante per l’azienda è che la richiesta di garanzia avvenga prima che la situazione sia irrecuperabile: se l’impresa è già in default o con svariati insoluti, nemmeno il Fondo PMI può intervenire (operazioni a sofferenza sono escluse). Dunque, è uno strumento per imprese in tensione ma ancora vitali – scenario tipico della “crisi reversibile” che questa guida mira a trattare.

Moratorie fiscali e sospensioni di pagamenti

Le moratorie fiscali sono provvedimenti con cui il governo sospende o rinvia la scadenza di taluni pagamenti dovuti dalle imprese al fisco (imposte, ritenute, contributi previdenziali). Sono uno strumento di sollievo immediato per la liquidità: l’azienda temporaneamente trattiene le somme che avrebbe dovuto versare, potendole utilizzare per far fronte ad altre urgenze. Tuttavia, va chiarito che si tratta di dilazioni, non cancellazioni: il debito fiscale rimane e dovrà essere versato più avanti (magari a rate).

Finanziamenti personali e aziendali

Prestiti immediati

 

Nel 2025 non è in vigore alcuna moratoria fiscale generalizzata per tutte le imprese, poiché tali misure si adottano di solito in circostanze straordinarie (calamità, emergenze). Ciononostante, vi sono state di recente situazioni in cui moratorie selettive sono intervenute, e conviene illustrarne il funzionamento e l’impatto:

  • Moratorie COVID (2020): il Decreto “Cura Italia” (DL 18/2020) e successivi stabilirono che, per i mesi del lockdown, le imprese di determinati settori potessero rinviare il pagamento di IVA, contributi e ritenute. Ad esempio, a marzo-aprile 2020 bar, ristoranti, negozi e alberghi non hanno pagato l’IVA né i contributi dipendenti, potendoli differire di alcuni mesi (e poi versare diluiti fino a 24 rate). Anche il versamento del saldo imposte 2019 fu prorogato. Queste sospensioni hanno alleggerito l’emorragia di cassa nel momento peggiore e hanno prevenuto innumerevoli crisi di liquidità immediate.
  • Moratorie post-alluvioni e calamità: meccanismi simili scattano per zone colpite da disastri. Dopo il terremoto del Centro Italia 2016 o l’alluvione Emilia 2023, i decreti emergenza hanno sospeso per 6 mesi o più tutti gli adempimenti e pagamenti fiscali nelle province colpite, con successiva ripresa dei versamenti in modo rateizzato. Anche qui l’idea è che l’impresa utilizzi nell’immediato le risorse per riparare i danni e riprendere l’attività, rimandando i tributi.
  • Moratorie contributive e assicurative: spesso incluse nei provvedimenti sopra, riguardano INPS, INAIL, Casse edili ecc. Ad esempio, nel 2020 turismo e spettacolo ebbero contributi INPS sospesi per alcuni mesi senza sanzioni. Nel 2023, il decreto Lavoro ha previsto la possibilità per aziende in crisi di rateizzare in 60 rate i debiti INAIL per premi assicurativi, in caso di comprovato squilibrio finanziario.

Un concetto collegato è la “pace fiscale”: non è una moratoria pura, ma piuttosto un condono o definizione agevolata di debiti esistenti. La Legge 197/2022, come detto, ha condonato piccoli debiti e permesso di pagare il resto senza sanzioni (rottamazione). Questo alleggerimento permanente può essere visto come un “aiuto pubblico” perché riduce oneri (infatti l’UE lo consente se rientra in certe soglie e condizioni paritetiche).

Un altro tipo di moratoria da menzionare, sebbene non fiscale ma bancaria, è la moratoria sui mutui e leasing per le PMI promossa tramite accordo ABI e Governo. Già nel 2009 (manovra d’estate) fu introdotta una moratoria in accordo con l’ABI per sospendere 12 mesi la quota capitale di mutui e leasing alle PMI in crisi. Questo schema – detto “Piano di sostegno al credito” – si è rinnovato più volte (2012, 2015) e poi potenziato durante il Covid dove è stato addirittura obbligatorio per legge su richiesta dell’impresa (DL Liquidità 23/2020): praticamente, da marzo 2020 a giugno 2021, qualunque PMI poteva chiedere alla banca di congelare la quota capitale dei propri mutui per 6+6 mesi, e la banca doveva accettare automaticamente grazie alla garanzia pubblica sulle quote sospese. Tale moratoria ha riguardato prestiti per oltre 140 miliardi di euro, ed è stata una forma di “aiuto indiretto” gigantesca. Nel 2025 non c’è una moratoria generale attiva, ma l’ABI e le associazioni d’impresa hanno lasciato aperta la possibilità di un nuovo accordo volontario qualora le condizioni economiche peggiorassero (una sorta di paracadute).

Effetti delle moratorie: positivi, come detto, sul cashflow immediato; negativi potenziali, l’accumulo di debiti. Inoltre, non versare tributi può far perdere eventuali durate premiali (es. se non si versano contributi, in caso di richiesta DURC – documento regolarità contributiva – si risulterebbe non in regola, a meno che la moratoria non includa la regolarità automatica). I decreti emergenziali infatti spesso statuivano che la sospensione non pregiudica il DURC o la partecipazione ad appalti, proprio per evitare un paradosso.

In conclusione, le moratorie fiscali sono misure eccezionali, disposte perlopiù dallo Stato. Un imprenditore non può “autonomamente” decidere di non pagare le tasse sperando in un aiuto (salvo accordarsi tramite strumenti come la transazione fiscale di cui diremo). Ma qualora vengano concesse, conviene beneficiarne per mettere in sicurezza la liquidità, pianificando però per tempo il rientro dal debito in modo sostenibile.

Strumenti del PNRR dedicati alle imprese

Il PNRR merita un breve focus specifico sugli strumenti dedicati alle imprese in difficoltà, oltre quelli già menzionati. Il Piano italiano, sotto la Missione “Competitività delle imprese”, ha attivato interventi che, pur se orientati allo sviluppo, vanno a beneficio diretto di imprese che possono trovarsi in situazioni di sofferenza. Abbiamo già parlato di Transizione 4.0, contratti di sviluppo e fondi come Impresa Donna. Aggiungiamo qui:

  • Riforma delle crisi d’impresa (Missione 1): il PNRR ha collegato obiettivi anche a questa materia, ad esempio l’entrata in vigore del Codice della Crisi d’Impresa e l’implementazione della composizione negoziata. Ciò ha portato risorse per formare gli esperti della composizione negoziata, creare la piattaforma telematica nazionale e sensibilizzare le imprese alla pianificazione preventiva. In pratica, c’è stato un rafforzamento degli strumenti di allerta e prevenzione della crisi grazie a fondi del PNRR, che indirettamente aiuta le aziende ad affrontare per tempo le difficoltà.
  • Investimenti su filiere strategiche e crisi industriali complesse: il PNRR complementare (finanziato da fondi nazionali paralleli) ha stanziato 750 milioni per il Fondo salvaguardia imprese (gestito da Invitalia) creato nel 2020. Questo Fondo interviene con ingresso temporaneo nel capitale di aziende in crisi ma di interesse strategico (es. ha operato nei salvataggi di imprese storiche di settori moda e automotive), al fine di mantenerne l’operatività e i livelli occupazionali. Nel 2025 il Fondo continua la sua attività, intervenendo ad esempio in situazioni di crisi dove un investitore privato rileva l’azienda e il Fondo affianca per qualche anno con una quota di minoranza. Questo è uno strumento “di ultima istanza” per evitare chiusure di aziende simbolo o con molti dipendenti.
  • Formazione e lavoro: il citato Fondo Nuove Competenze è finanziato proprio dal PNRR (730 milioni la terza edizione). Esso permette alle imprese in crisi di ridurre temporaneamente l’orario di lavoro dei dipendenti destinando ore a formazione, con lo Stato (ANPAL) che rimborsa l’80% delle retribuzioni di quelle ore. È un’alternativa alla cassa integrazione: invece di lasciare i lavoratori inattivi, li si riqualifica. Nel 2025 è aperta una finestra di domande dal 10 febbraio al 10 aprile e molte aziende in transizione ne approfitteranno per riqualificare il personale evitando esuberi.

In definitiva, il PNRR fornisce strumenti innovativi accanto ai classici incentivi: entra nel capitale (Fondo salvaguardia), finanzia formazione (FNC), incoraggia investimenti green/digital con contributi elevati. Questi interventi, se ben utilizzati, consentono alle imprese di affrontare i nodi strutturali che spesso sono all’origine delle loro difficoltà (scarsa innovazione, bassa capitalizzazione, competenze obsolete).

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Fondi e programmi europei (cenni operativi)

Per concludere la carrellata degli aiuti pubblici, due parole sui fondi europei diretti che un’impresa può cogliere:

  • Partecipare a un progetto Horizon Europe o Life può portare contributi UE spesso al 70%-100% dei costi progettuali, mitigando il rischio finanziario di innovare. Certo, sono bandi competitivi a livello europeo e servono partner di altri Paesi: però abbiamo esempi di PMI italiane che, trovandosi strette sul mercato domestico, hanno reinventato il business attraverso un progetto europeo (ad esempio una PMI meccanica che ha sviluppato un nuovo prodotto eco-friendly con un consorzio internazionale e ha ricevuto €2 milioni di grant UE – soldi che non sarebbe mai riuscita a investire da sola in R&S durante la crisi).
  • Erasmus per Giovani Imprenditori: se un’impresa (o aspirante imprenditore) è in difficoltà di know-how, questo programma UE finanzia scambi formativi (tipo Erasmus) tra nuovi imprenditori e imprese esperte all’estero. Non porta soldi diretti all’azienda ospitante ma copre il costo del giovane: è un modo per acquisire competenze nuove gratuitamente.
  • Appalti e tender europei: l’UE ogni anno pubblica gare per forniture di beni e servizi. Un’azienda può vincere un contratto con la Commissione o agenzie UE, ottenendo flussi di ricavi sicuri (pagati dall’UE). Esiste una piattaforma (TED) dove cercare queste opportunità. Vincerne una può risollevare la situazione finanziaria di un’impresa di servizi in crisi di commesse.
  • Just Transition Fund (JTF): menzioniamo infine questo nuovo fondo UE dedicato alle aree che devono riconvertirsi dalle attività ad alto carbonio. In Italia, ad esempio, l’area del Sulcis in Sardegna (centrale carbone) e Taranto (acciaieria) beneficeranno di progetti JTF. Le PMI locali potranno ottenere contributi per nuovi business “sostenibili”. Questo riduce impatti occupazionali e apre chance imprenditoriali in zone colpite da crisi industriali di transizione energetica.

Riassumendo questa sezione, l’arsenale di aiuti pubblici nel 2025 è vasto e articolato. Ciascuna impresa, in base alla propria situazione (dimensione, ubicazione, settore, natura della difficoltà), può attivare un mix di strumenti: dal semplice bonus fiscale che migliora i conti, al contributo per un macchinario che aumenta produttività, alla garanzia che sblocca un fido bancario, fino alle soluzioni di “peace fiscale” per alleggerire debiti col fisco. Il capitolo seguente passerà dagli aiuti pubblici agli strumenti privatistici che le imprese e i loro creditori possono autonomamente adottare per ristrutturare il debito e superare la crisi, prima di ricorrere – se necessario – alle procedure concorsuali giudiziali.

Strumenti privatistici di risanamento

Non sempre la risposta alla crisi d’impresa passa per contributi pubblici o tribunali. Spesso, imprenditori e creditori possono trovare accordi e soluzioni negoziali, con il supporto di professionisti, per ristrutturare il debito e rilanciare l’azienda senza attivare una formale procedura concorsuale. Questi strumenti “privatistici” offrono maggiore riservatezza e flessibilità rispetto alle procedure giudiziali, anche se talvolta necessitano di omologazione giudiziale per produrre determinati effetti. Nel contesto italiano aggiornato al 2025, possiamo annoverare tra gli strumenti privatistici principali: la ristrutturazione volontaria dei debiti (accordi stragiudiziali puri), il piano attestato di risanamento e gli accordi di ristrutturazione dei debiti omologati (ex art. 182-bis L.F., ora art. 57 CCII), con le relative varianti (accordi agevolati e ad efficacia estesa). Approfondiremo inoltre la figura della transazione fiscale e previdenziale, che è un elemento chiave di molte ristrutturazioni negoziate.

Ristrutturazioni del debito su base volontaria

Quando un’azienda in crisi inizia ad accumulare ritardi nei pagamenti verso fornitori, banche, fisco, può tentare una ristrutturazione del debito in via privata contattando uno ad uno i propri creditori e negoziando nuove condizioni. Questo approccio, il più immediato, ha il vantaggio di evitare formalità legali e pubblicità, ma richiede la disponibilità e la fiducia dei creditori. Ad esempio, un’impresa può chiedere ai fornitori una dilazione extra sulle fatture (trasformando i debiti a breve in pagamenti a 12-24 mesi magari con un piano a rate), oppure può chiedere alle banche una rischedulazione dei mutui (allungando la durata per ridurre la rata mensile) o un periodo di moratoria volontaria sugli interessi. Se la crisi è congiunturale, molti creditori preferiranno accettare una dilazione piuttosto che vedere l’azienda fallire e magari recuperare poco o nulla.

Talvolta la rinegoziazione privata comporta anche rinunce parziali (haircut) da parte di alcuni creditori: ad esempio, un fornitore di vecchia data potrebbe accettare il 80% del credito in via stragiudiziale, “tagliando” il 20%, pur di aiutare la continuazione del rapporto commerciale; oppure una banca potrebbe convertire gli interessi scaduti in capitale del mutuo, o acconsentire a rinunciare a penali di ritardato pagamento. Chiaramente, questi accordi non vincolano i creditori dissenzienti: se su 10 fornitori 8 accettano di aspettare e 2 no, quei 2 possono comunque agire (ingiunzioni, pignoramenti), mettendo a rischio tutto. Dunque, la ristrutturazione volontaria pura funziona meglio quando il numero di creditori è ridotto e c’è consenso quasi unanime.

È buona prassi che l’azienda, prima di negoziare, predisponga un piano di risanamento (anche solo interno) da presentare ai creditori per convincerli della fattibilità: in assenza di una visione prospettica, i creditori potrebbero percepire la richiesta come “prendere tempo” e rifiutare. Spesso vengono coinvolti anche i soci, ad esempio impegnandosi a immettere nuovi capitali o garanzie personali in cambio delle concessioni dei creditori – segnale di condivisione dello sforzo di risanamento.

Questo tipo di ristrutturazione privata, benché informale, gode di alcune tutele giuridiche limitate. Il Codice Civile consente di stipulare accordi transattivi e patti di remissione del debito che sono pienamente validi: se il creditore firma che si accontenterà di X su Y dovuto, poi non potrà legalmente pretendere oltre X. Tuttavia, il problema è che resta il rischio azioni esecutive da chi non aderisce e il problema delle revocatorie fallimentari: se la ristrutturazione privata non riesce e la società fallisce successivamente, tutti i pagamenti preferenziali fatti in esecuzione di accordi privati potrebbero essere contestati dal curatore come atti a favore di creditori in frode alla par condicio. Non c’è infatti uno scudo automatico su atti compiuti in un accordo puramente privato (diverso come vedremo per i piani attestati).

In sintesi, la rinegoziazione volontaria è il primo step tentato in quasi tutte le crisi: basso costo (è sufficiente a volte mediazione del commercialista aziendale), flessibilità (si può tagliare un debito, allungarne un altro, vendere un asset per pagarne un terzo, il tutto come meglio conviene alle parti). Però, funziona solo se la platea creditoria è ristretta e collaborativa, e manca di “forza di legge” erga omnes. Per superare questi limiti, l’ordinamento offre strumenti evoluti: i piani attestati e gli accordi omologati, che vediamo qui di seguito.

Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII)

Il piano attestato di risanamento è uno strumento formalizzato dalla legge (originariamente dall’art. 67, comma 3, lett. d) della Legge Fallimentare, ora trasfuso nell’art. 56 del Codice della Crisi) che consente una ristrutturazione privata dei debiti con una marcia in più: quella di proteggere le operazioni compiute in esecuzione del piano da eventuali azioni revocatorie future. In altri termini, se l’azienda predispone un piano di risanamento, lo fa attestare da un professionista indipendente e poi lo esegue, tali atti (pagamenti, concessioni di garanzie ecc. previsti dal piano) non potranno essere dichiarati inefficaci in caso di successivo fallimento (liquidazione giudiziale). Ciò dà sicurezza ai creditori che partecipano al piano: sanno che i pagamenti ricevuti secondo il piano non gli verranno poi richiesti indietro dal curatore.

Vediamo come funziona in pratica un piano attestato:

  • Presupposti: l’impresa deve trovarsi in uno stato di crisi o insolvenza reversibile (quindi difficoltà finanziaria, ma non una situazione definitivamente compromessa). Può accedervi qualunque imprenditore (anche non fallibile, es. piccolo imprenditore, stando alla lettera del CCII).
  • Contenuto del piano: è un vero e proprio piano industriale e finanziario che illustra le cause della crisi, le azioni da intraprendere per risanarla (ristrutturazione debiti, cessione asset, aumento di capitale, nuova finanza, taglio costi, riconversione business, etc.) e i flussi di cassa previsti a medio termine che assicurino la continuità aziendale o comunque il miglior soddisfacimento dei creditori. Il piano deve prevedere un orizzonte di risanamento ragionevole (di solito 2-5 anni).
  • Attestazione: qui sta la peculiarità. Un professionista indipendente (iscritto in appositi albi, di norma un commercialista o revisore esperto in crisi, che non abbia conflitti d’interesse) esamina il piano e redige una relazione di attestazione in cui dichiara che: i dati aziendali sono veritieri, il piano è fattibile e idoneo a risanare l’esposizione debitoria dell’impresa. Questa relazione conferisce credibilità al piano verso terzi. L’attestatore, in sostanza, si gioca la propria reputazione (e responsabilità professionale) certificando che il piano ha concrete possibilità di successo e che non è basato su numeri falsi.
  • Accordi con i creditori: il piano attestato non richiede di per sé l’adesione formale di tutti i creditori come un accordo ex 182-bis. Si può configurare anche come piano unilaterale, ma nella prassi l’azienda deve comunque negoziare con i creditori principali i termini (la banca deve accettare il rinnovo affidamenti, i fornitori chiave devono continuare a fornire magari con pagamento parziale di arretrati, etc.). Spesso il piano viene accompagnato da accordi bilaterali sottoscritti con i singoli creditori in attuazione del piano (es.: scrittura con la banca per ristrutturare il mutuo secondo i termini X del piano). Tali accordi contrattuali restano di natura privata.
  • Pubblicità: il piano attestato, per produrre l’effetto protettivo, deve avere data certa anteriore all’eventuale procedura concorsuale successiva. In passato si richiedeva di depositarlo presso il registro delle imprese o di allegarlo al bilancio sociale per dare opponibilità a terzi. Il CCII all’art. 56 conferma la necessità della forma scritta e data certa. Non c’è una omologazione o approvazione da parte del tribunale: rimane uno strumento stragiudiziale al 100%.

Il vantaggio chiave, come detto, è che se malauguratamente l’azienda dovesse finire in liquidazione giudiziale dopo aver tentato il piano, almeno i creditori che hanno ricevuto pagamenti o garanzie nel piano non devono restituirli (salvo che si provi frode o che il piano fosse un espediente simulato, casi rari). Questo crea fiducia e incentiva a sostenere il piano.

Da notare che il piano attestato non vincola affatto i creditori estranei: un creditore che non sia d’accordo può sempre agire esecutivamente. Dunque di solito l’impresa si assicura la maggioranza dei creditori più rilevanti a bordo, e trova magari risorse per pagare subito i piccoli creditori al 100% così da toglierli di mezzo (questo è lecito nei piani attestati, a differenza del concordato dove c’è par condicio per classe). In questo senso, il piano attestato è molto flessibile: l’azienda può decidere chi pagare subito e chi dopo, a differenza di una procedura concorsuale che impone regole rigide di pari trattamento tra pari grado.

Un punto critico è che il piano attestato, proprio perché non omologato da un tribunale, non offre protezione dalle azioni individuali (se non moral suasion): se anche pochi creditori non si fidano e attaccano (pignoramenti, istanza di fallimento), il piano rischia di saltare. Per questo, spesso si sceglie il piano attestato solo quando la situazione è ancora sotto controllo sufficiente da evitare assalti ostili, oppure lo si combina con una breve composizione negoziata (che vedremo più avanti) per ottenere eventualmente misure protettive temporanee mentre si finalizza il piano.

In sintesi, il Piano attestato è uno strumento di soluzione concordata e non giudiziale della crisi, supportato da un controllo di qualità indipendente (attestatore) che ne avvalora la credibilità e ne blinda le operazioni esecutive. È l’opzione preferibile quando si punta a un risanamento veloce, con pochi attori coinvolti, e si vuole limitare il coinvolgimento dei tribunali e la pubblicità. Molte imprese italiane, anche medio-grandi, hanno superato crisi transitorie grazie a piani attestati approvati dagli istituti di credito (ad esempio, nel settore moda e design è stato frequente preferire piani ex art. 67 L.F. per ristrutturare i debiti bancari, con gli attestatori a garantire i presupposti). Si tenga comunque presente che l’attestatore ha una responsabilità significativa: se rilascia attestazioni false o gravemente negligenti, può rispondere dei danni verso creditori e terzi. La Cassazione si è più volte espressa sul ruolo dell’attestatore: non garantisce il successo, ma deve verificare con rigore la veridicità dei dati e la plausibilità delle assunzioni del piano. Una relazione di attestazione superficiale può portare a conseguenze serie (anche penali) se dovesse emergere che l’attestatore “copriva” una situazione irreversibile facendola passare per risanabile.

Accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 57 CCII)

Quando la platea dei creditori è ampia o vi sono creditori dissenzienti, il legislatore offre uno strumento intermedio tra il piano puramente privato e il concordato: gli accordi di ristrutturazione dei debiti con omologazione del tribunale. Introdotti nel 2005 (art. 182-bis L.F.) e ora disciplinati dall’art. 57 e seguenti del CCII, gli accordi di ristrutturazione sono accordi negoziati con i creditori che diventano efficaci erga omnes dopo l’omologazione da parte del tribunale. L’idea è: se il debitore trova un’intesa con una percentuale qualificata di creditori, il tribunale può prendere atto dell’accordo e renderlo vincolante almeno per i creditori aderenti (e in alcuni casi anche per quelli non aderenti, come vedremo).

Caratteristiche principali:

  • Devono essere accordi conclusi con creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti (nel caso dell’accordo “ordinario” ex art. 57 CCII). Questa soglia del 60% è la stessa che vigeva per l’art. 182-bis L.F. ed è pensata per assicurare un consenso qualificato ma non unanime. Significa, ad esempio, che se l’azienda ha 10 milioni di debiti, serve accordo con creditori per almeno 6 milioni.
  • Occorre garantire che i creditori non aderenti (cioè il restante 40% o meno) vengano integralmente pagati entro 120 giorni dalla scadenza originaria o dall’omologazione. Questa condizione tutela chi resta fuori: in pratica l’accordo non può pregiudicare i creditori estranei, i quali devono essere soddisfatti al 100% (seppur con un breve slittamento).
  • Serve un’attestazione di un professionista indipendente anche qui: deve attestare che l’accordo consente il pagamento integrale dei creditori estranei nei termini di legge e che l’impresa non andrà in default sugli impegni presi. Quindi l’attestatore verifica la sostenibilità dell’accordo per l’impresa e la convenienza rispetto all’alternativa (liquidazione).
  • La procedura: una volta raggiunto l’accordo con la maggioranza, il debitore deposita ricorso in tribunale per l’omologazione allegando il testo dell’accordo e la relazione attestatore. Il tribunale fissa un termine per eventuali opposizioni (creditori esclusi o dissenzienti possono opporsi se ritengono l’accordo pregiudizievole per loro). Se tutto è in regola, il tribunale omologa con decreto e l’accordo diventa vincolante tra le parti.
  • Effetti: l’accordo omologato vincola i creditori aderenti (ovviamente, perché l’hanno firmato) e, nei limiti visti, vincola anche i non aderenti passivi nel senso che non possono iniziare o proseguire azioni esecutive se stanno per essere pagati come da accordo. Tuttavia, se il debitore non paga nei 120 gg i creditori estranei, questi potranno agire (e anzi, come da giurisprudenza, possono anche chiedere il fallimento scaduto quel termine).
  • Non c’è voto dei creditori come nel concordato, perché firmano individualmente. La soglia 60% va calcolata sul totale passività finanziarie e commerciali.

Gli accordi di ristrutturazione ordinari sono utili quando c’è un nocciolo duro di creditori d’accordo (es. le banche principali) ma non la totalità. Formalizzando l’accordo in tribunale, si ottengono alcuni benefici:

  1. Misure protettive: il debitore può chiedere già dal deposito della domanda di omologa la sospensione delle azioni esecutive dei creditori (un “automatic stay” simile a quello del concordato). Ciò impedisce che creditori esterni facciano saltare tutto nel frattempo.
  2. Esonero da revocatoria: anche per gli accordi omologati vige l’esenzione dalle revocatorie per gli atti compiuti in esecuzione (Art. 59 CCII), analoga a quella dei piani attestati.
  3. Certezza legale: l’omologazione, dopo eventuali opposizioni, blinda l’accordo. La Cassazione ha riconosciuto natura concorsuale agli accordi omologati, equiparandoli per certi versi a procedure concorsuali, il che li rende più solidi contro possibili contestazioni individuali successive.

Il CCII nel 2022-2024 ha introdotto anche due varianti innovative:

  • Accordi di ristrutturazione agevolati (art. 60 CCII): in questo caso la soglia di adesione richiesta scende al 30% dei crediti. È pensato per imprese che non riescono ad arrivare a 60% ma hanno almeno una parte significativa di creditori disposti a collaborare. Le condizioni però sono stringenti: l’imprenditore non può chiedere misure protettive (niente automatic stay, quindi accordo da fare “a rischio” di azioni esterne) e deve pagare integralmente e immediatamente i creditori estranei all’accordo (praticamente quelli fuori devono essere soddisfatti prima o al più tardi contestualmente all’omologa). In sostanza, l’accordo agevolato al 30% è adatto a imprese che hanno liquidità o supporto finanziario sufficiente a togliere di mezzo tutti i creditori non allineati, trattando solo con un nucleo ristretto (es. le banche principali). Il vantaggio è non dover convincere il 60%, ma il compromesso è che chi non è dentro viene pagato cash. Questo strumento può essere utile per PMI con pochi grandi creditori e tanti piccoli: i piccoli vengono saldati integralmente, i grandi (che sommano 30% crediti totali) accettano un haircut o dilazione, il tribunale omologa rapidamente (essendo più snello perché non c’è da valutare equità verso estranei, dato che sono pagati per intero).
  • Accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa (art. 61 CCII): recepiscono l’idea del “cram-down” parziale prevista dalla direttiva UE 2019/1023. In questi accordi, i creditori vengono suddivisi in categorie omogenee per posizione giuridica ed interesse economico (ad es. categoria delle banche chirografarie, categoria fornitori strategici, ecc.). Se all’interno di una categoria l’accordo è approvato da almeno il 75% dei crediti di quella categoria, l’accordo può essere esteso anche al restante 25% dissenziente di quella categoria. Ciò consente di coinvolgere anche creditori che non hanno firmato, purché appartengano a categorie dove la stragrande maggioranza ha aderito. Inizialmente, nella legge fallimentare, l’efficacia estesa era prevista solo per banche e obbligazionisti (art. 182-septies L.F.), ora il CCII la generalizza con categorie variamente componibili. Resta comunque esclusa l’estensione a creditori come il Fisco o i lavoratori, se non lo prevedono norme ad hoc. Gli accordi ad efficacia estesa richiedono un controllo molto attento del tribunale sul rispetto della parità di trattamento all’interno delle categorie e sulla convenienza per i dissenzienti (in pratica, che questi non ricevano meno di quanto avrebbero in un’alternativa liquidatoria o di concordato). Sono un meccanismo complesso, finora poco utilizzato per la novità, ma interessante per superare il problema dei creditori hold-out (chi rifiuta sperando di far saltare tutto per ottenere più degli altri). Con l’efficacia estesa, una minoranza non può bloccare l’accordo se la maggioranza robusta nella sua categoria è favorevole.

Gli accordi di ristrutturazione sono quindi un strumento flessibile e modulare: l’imprenditore può scegliere la versione che più si adatta (ordinario 60%, agevolato 30%, con o senza classi e cram-down intra-classi). Offrono un buon equilibrio tra negozialità (si basano su accordi volontari, non imposti) e forza legale (l’omologazione e le possibili estensioni li rendono stabili). Molti li considerano come una sorta di “concordato light” perché, a differenza del concordato preventivo:

  • non c’è votazione assembleare di tutti i creditori, solo adesione individuale di alcuni;
  • non c’è un commissario giudiziale nominato (il tribunale controlla ex post all’omologa, ma la gestione resta in mano al debitore);
  • l’azienda mantiene piena operatività senza le limitazioni tipiche (nel concordato hai restrizioni su atti di straordinaria amministrazione, negli accordi no, a meno di misure protettive con nomina di un ausiliario eventuale).

Un aspetto peculiare: con la riforma, è ora espressamente previsto che agli accordi di ristrutturazione può partecipare anche il Fisco e l’INPS (questo era stato incerto per anni). Ciò apre la strada alla transazione fiscale integrata nell’accordo, di cui parliamo ora a parte.

Transazione fiscale e contributiva

La transazione fiscale (e la gemella transazione contributiva) è lo strumento attraverso cui i debiti verso l’Erario (Agenzia Entrate, Agenzia Riscossione) e gli enti previdenziali (INPS) possono essere ristrutturati, ovvero pagati parzialmente e/o dilazionati, nell’ambito di un piano di risanamento concordatario o accordo di ristrutturazione. Tradizionalmente, il fisco aveva un trattamento privilegiato: certe tipologie di tributi (IVA, ritenute) fino a poco tempo fa non potevano essere falcidiate nemmeno nei concordati (bisognava pagarle integralmente). Ciò rendeva difficili i piani perché l’Erario poteva risultare il creditore principale, col potere di veto.

Oggi, grazie a evoluzioni normative e giurisprudenziali, la transazione fiscale consente di includere anche l’Erario tra i creditori che accettano una riduzione. Le basi normative:

  • Art. 182-ter L.F. (introdotto nel 2006, modificato più volte, ora confluito nel CCII art. 63 e 88): consente nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione di proporre il pagamento parziale di imposte e contributi, incluse (dal 2021) IVA e ritenute, purché ne sia assicurato il pagamento in misura almeno pari a quanto otterrebbero in caso di liquidazione.
  • È richiesto che un professionista indipendente attesti che la proposta di transazione è più conveniente per il Fisco rispetto all’alternativa liquidatoria.
  • Se l’ente (Agenzia Entrate o Riscossione) acconsente formalmente, allora nel concordato si considera accettata. Se non risponde o nega, la legge (post 2020) ora prevede che il tribunale possa comunque omologare (cram-down fiscale) se ritiene che il trattamento offerto sia almeno pari al miglior realizzo alternativo. Le Sezioni Unite della Cassazione nel 2021 hanno confermato questa possibilità di omologa forzosa in caso di silenzio/diniego del Fisco irragionevole.
  • La transazione può prevedere stralcio di interessi e sanzioni e anche di parte dell’imposta. Ad esempio, se un’azienda deve €1.000.000 tra IVA e IRES, la proposta potrebbe essere pagare 500k in 5 anni e stralciare il resto. Il professionista attesta che in fallimento il Fisco avrebbe magari 100k, dunque 500k è migliorativo.

Nel 2025, come novità, segnaliamo che anche nella composizione negoziata è stata introdotta la possibilità di accordo transattivo sui debiti fiscali grazie al D.Lgs. 83/2022 e 136/2024. Durante una composizione negoziata, l’imprenditore può proporre all’Agenzia delle Entrate un pagamento parziale/dilazionato del debito tributario, allegando due relazioni tecniche (una di un esperto attestatore sull’attuabilità e convenienza per l’Erario, e una del revisore legale che certifica la veridicità dei dati). Se il tribunale autorizza questo accordo fiscale, esso diventa efficace. Attualmente rimangono esclusi i debiti contributivi INPS da questa procedura semplificata, ma ci si attende un allineamento normativo per includerli.

La transazione fiscale quindi è fondamentale perché spesso il Fisco è uno dei creditori maggiori nelle crisi (accumulato per mancati versamenti IVA, ritenute non versate, contributi sospesi). Poterlo trattare come gli altri creditori, con sconti e dilazioni, rende fattibili piani che altrimenti sarebbero implausibili. Bisogna però considerare l’impatto penale: certi debiti (IVA non versata oltre soglie) costituivano reato, punibile penalmente a carico degli amministratori. Una norma del 2020 (D.Lgs. 14/2019 art. 88 CCII) e applicazioni giurisprudenziali hanno previsto cause di non punibilità se l’omologazione del concordato/accordo prevede il pagamento integrale del debito IVA o almeno del 10% e non inferiore a quello che otterrebbero i chirografari. La Cassazione ha esteso questa esimente anche ai casi di accordo di ristrutturazione omologato che contempli un trattamento siffatto. Significa che se un imprenditore risolve la crisi attraverso un concordato o accordo approvato dal giudice, potrebbe evitare la condanna per il reato tributario, riconoscendo l’utilità sociale del risanamento.

In pratica, la transazione fiscale va vista come parte integrante di un piano di risanamento complessivo: l’imprenditore deve predisporre un piano credibile anche per la parte fiscale, non può limitarsi a dire “pago il 10% e basta” senza giustificazione. Agenzia delle Entrate negli ultimi anni ha creato uffici dedicati per valutare queste proposte e spesso, se la proposta è ragionevole (più dei dividendi stimati in fallimento), dà parere favorevole. A quel punto il tribunale omologa serenamente.

Transazione contributiva (INPS): simile, anche i contributi previdenziali possono essere falcidiati. Su questi però la legge richiede di garantire almeno il pagamento della quota di contributi che sarebbe coperta dal Fondo di Garanzia INPS (TFR, ultime 3 mensilità) in caso di fallimento. Di solito l’INPS chiede di non scendere sotto il 30% per accettare, ma dipende dai casi.

Un limite: la transazione fiscale è accessibile solo all’interno di una procedura o accordo (concordato, accordo 182-bis, oggi anche composizione negoziata in parte). Non esiste (né è ammesso) che l’imprenditore faccia da solo un accordo col fisco al di fuori di questi contesti (salvo strumenti come saldo e stralcio o rottamazioni, ma quelli li decide la legge in via generale). Ciò perché serve la valutazione comparativa (il tribunale verifica convenienza rispetto al fallimento).

In conclusione, piani attestati, accordi di ristrutturazione e transazioni fiscali compongono l’armamentario privatistico per gestire le crisi d’impresa. Il comune denominatore è il tentativo di trovare soluzioni concordate con i creditori per evitare la dispersione di valore e mantenere la continuità aziendale. Spesso il percorso parte con una composizione negoziata informale (vedi dopo), passa per un piano attestato (se fattibile con tutti) o si evolve in un accordo 182-bis se serve forza maggiore. Ogni soluzione va calibrata sul caso concreto: numero di creditori, tipologia (banche o trade), entità dei debiti, fabbisogno di finanza fresca, etc. Nel prossimo capitolo esamineremo le procedure concorsuali giudiziarie, che si attivano quando gli strumenti privatistici non bastano o non hanno successo, o quando la situazione richiede poteri più incisivi (ad esempio, imporre perdite anche ai creditori dissenzienti o sciogliere contratti).

Procedure concorsuali per la crisi d’impresa

Le procedure concorsuali sono i procedimenti giudiziari previsti dalla legge fallimentare (oggi Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza – CCII) per gestire formalmente la crisi o l’insolvenza di un’impresa, sotto la supervisione dell’autorità giudiziaria, garantendo il rispetto della par condicio creditorum e cercando, dove possibile, soluzioni di continuità aziendale. Nel 2025, a seguito della piena entrata in vigore del CCII (D.Lgs. 14/2019, attuato e corretto nel 2022-24), le procedure concorsuali attive in Italia sono in parte rinnovate nei nomi e nei contenuti. Quelle principali per le imprese sono:

  • Composizione negoziata della crisi – non è una procedura concorsuale in senso stretto (è volontaria e stragiudiziale), ma è disciplinata dal CCII come procedimento di allerta e gestione assistita della crisi.
  • Concordato preventivo – la procedura “regina” per evitare la liquidazione, con due varianti: concordato in continuità (aziendale) e concordato liquidatorio.
  • Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio – una novità dal 2021, confermata nel CCII, destinata ai casi di esito infruttuoso della composizione negoziata.
  • Liquidazione giudiziale – è il nuovo nome del tradizionale fallimento, ossia la procedura liquidatoria concorsuale.
  • (Altre procedure speciali come liquidazione controllata per sovraindebitati non fallibili, amministrazione straordinaria per grandi imprese insolventi, liquidazione coatta amministrativa per enti speciali, esulano dal nostro focus principale, ma le citeremo brevemente per completezza normativa.)

Vediamo in dettaglio le prime quattro, evidenziando come sono state innovate e come si collocano nel percorso di risanamento/soddisfazione dei creditori.

Composizione negoziata della crisi

Introdotta in piena pandemia (D.L. 118/2021) e ora stabilizzata negli artt. 17-25 quinquies CCII, la composizione negoziata è uno strumento di allerta precoce e gestione assistita della crisi, volto a favorire soluzioni concordate che preservino la continuità aziendale. Non è una procedura concorsuale tradizionale: l’accesso è volontario (solo l’imprenditore può attivarla) e la gestione è stragiudiziale, affidata a un esperto indipendente negoziatore, senza spossessamento dell’imprenditore. L’obiettivo è di arrivare, entro un breve orizzonte temporale, a un accordo con i creditori o a una soluzione idonea (che può essere anche un concordato o accordo formale).

Come funziona in sintesi:

  • L’imprenditore percepisce segnali di squilibrio patrimoniale, economico o finanziario. In base all’obbligo di attivazione tempestiva (rafforzato dal CCII per organi di controllo, con segnalazione entro 60 giorni dalla conoscenza dello stato di crisi), decide di presentare istanza di composizione negoziata alla Camera di Commercio competente.
  • Accesso: tramite una piattaforma telematica nazionale, carica i documenti richiesti: ultimi bilanci o situazione contabile aggiornata, elenco creditori, una bozza di piano di risanamento, una relazione sulle cause della crisi e le certificazioni dei debiti fiscali e contributivi. Il segretario generale della CCIAA verifica la completezza e può richiedere integrazioni. Entro 5 giorni, una commissione nomina l’esperto (scelto da un elenco di professionisti formato ad hoc). La novità del 2024 è che la nomina tiene conto non solo delle competenze ma anche degli esiti di precedenti composizioni seguite da quell’esperto, per premiare chi ha dimostrato efficacia.
  • Ruolo dell’esperto: l’esperto, accettato l’incarico dichiarando la propria indipendenza, convoca l’imprenditore, esamina la situazione aziendale e valuta se esistono concrete prospettive di risanamento. Quindi coordina le trattative con i creditori, cercando di facilitare il dialogo e proporre soluzioni creative di rinegoziazione (può suggerire modifiche a contratti, dilazioni, in modo da riequilibrare l’assetto finanziario compromesso). Ha poteri di indagine potenziati: grazie alla riforma 2024, l’esperto può accedere alle banche dati fiscali e creditizie (Agenzia Entrate, INPS, agente riscossione, Centrale Rischi) per avere un quadro completo dell’indebitamento. Può avvalersi di coadiutori specialisti.
  • Durata: il percorso dura in linea generale 180 giorni dall’accettazione dell’esperto. Può essere prorogato solo in casi particolari (es. trattative in corso promettenti) ma comunque entro il limite massimo di 12 mesi di misure protettive totali.
  • Misure protettive: l’imprenditore può chiedere al tribunale misure protettive, ossia una sorta di stay temporaneo: il tribunale con decreto inibisce o sospende azioni esecutive e cautelari dei creditori, impedisce l’acquisizione di nuove prelazioni e mantiene efficaci i contratti pendenti (nessuno può risolvere contratti essenziali unicamente perché l’azienda è in composizione negoziata). Questa protezione è pubblicata nel Registro delle Imprese (quindi rende pubblica la situazione) e dura inizialmente fino a 4 mesi, rinnovabile fino a 12 mesi su richiesta. Una importante novità del Correttivo 2024 è il divieto esplicito per le banche di revocare o ridurre finanziamenti e affidamenti solo perché l’impresa ha avviato la composizione negoziata. In passato, molte banche appena venivano a sapere dello status di “azienda in crisi” revocavano fidi e castelletto, precipitandola nel baratro; ora ciò è vietato (salvo il caso in cui la revoca sia imposta da normative prudenziali di vigilanza bancaria, in tal caso la banca può revocare ma deve comunicarne le ragioni agli organi di controllo della società). Inoltre, con il correttivo, se una banca aveva sospeso una linea di credito prima dell’accesso, può riattivarla e il credito utilizzato verrà considerato come finanza interinale prededucibile se autorizzata dal tribunale.
  • Nuova finanza e incentivi: l’impresa può chiedere al tribunale di autorizzare finanziamenti prededucibili durante le trattative, per avere la liquidità necessaria a stare a galla (es. finanziamento soci o bancario). La riforma 2024 ha chiarito che la prededuzione vale sia per nuovi contratti di finanziamento, sia per la riattivazione di linee di credito sospese, e che tale prededuzione permane anche se la composizione fallisce e si va in liquidazione. Ciò rassicura molto i potenziali finanziatori e riduce le resistenze a dare ossigeno all’impresa in crisi durante le trattative.
  • Esito: la composizione negoziata può concludersi con vari risultati:
    1. Un accordo stragiudiziale con i creditori (privato, eventualmente accompagnato da un piano attestato) – cioè la crisi rientra senza bisogno di concorsi formali.
    2. La conclusione di un accordo di ristrutturazione omologato (se si raggiunge il 60% di consensi) o di una transazione fiscale appena introdotta.
    3. Il deposito di un concordato preventivo (può essere in continuità o liquidatorio).
    4. La richiesta di concordato semplificato per la liquidazione (se le trattative falliscono ma c’è un acquirente per l’azienda tale da garantire qualche soddisfazione ai creditori, come vedremo).
    5. In mancanza di soluzioni, la composizione si chiude e i creditori sono liberi di chiedere la liquidazione giudiziale (o l’imprenditore stesso può optarvi).

Durante tutto il percorso, vige un principio di riservatezza: finché non si attivano misure protettive (che vanno pubblicate), l’esistenza della negoziazione è confidenziale. Ciò per evitare che la sola notizia porti discredito e panico. Se poi si arriva a un accordo, si può decidere di formalizzarlo senza pubblicità (accordo privato o piano attestato), e la cosa finisce lì.

Il ruolo degli organi di controllo interni è enfatizzato: sindaci e revisori devono attivarsi tempestivamente segnalando agli amministratori gli indizi di crisi e, se ignorati, possono essi stessi “spingere” per l’accesso alla composizione negoziata. La riforma 2024 chiarisce che se segnalano entro 60 giorni dalla scoperta dello stato di crisi, sono considerati tempestivi (il che li mette al riparo da possibili responsabilità). Inoltre, se la banca revoca i fidi per motivi prudenziali, deve avvertire gli organi di controllo, creando un ulteriore meccanismo di pressione.

Valutazione complessiva: la composizione negoziata, specie dopo le migliorie del 2024, rappresenta uno strumento moderno e in linea con gli standard europei, che privilegia la soluzione privata della crisi con l’assistenza di un esperto neutrale. Le semplificazioni introdotte (meno burocrazia nell’istanza), il potenziamento dell’esperto, i miglioramenti nei rapporti con banche (divieto revoche) e fisco (transazione fiscale) la rendono un percorso di elezione per affrontare difficoltà incipienti. I dati confermano una crescita di utilizzo: quasi 2.000 imprese hanno avviato composizioni negoziate da fine 2021 a fine 2024, e i casi di successo (risanamento concluso) sono aumentati del +60% nell’ultimo anno. Oltre 10.000 posti di lavoro sono stati salvati grazie a imprese risanate con questa procedura. Si tratta in prevalenza di società di capitali di medie dimensioni (mediamente 64 addetti, 13 milioni di fatturato), segno che anche PMI strutturate vi fanno ricorso.

La composizione negoziata della crisi ha permesso, in pochi anni, di salvare oltre 10.000 posti di lavoro in Italia, evitando licenziamenti grazie al risanamento di circa 210 imprese in crisi nel 2024 (dato Unioncamere). L’immagine illustra simbolicamente l’intervento tempestivo che ferma la “caduta” dell’azienda e tutela l’occupazione.

Un elemento di successo è la tempestività: quanto prima si attiva, maggiori le chance di esito positivo. Per questo la norma prevede incentivi anche sotto il profilo della responsabilità: un imprenditore che aderisce a soluzioni concordate e risanative potrebbe, ad esempio, mitigare i rischi di azioni di responsabilità per gestione tardiva.

In definitiva, la composizione negoziata è un’opportunità preziosa per l’imprenditore di affrontare in modo guidato la crisi prima che diventi irreversibile, mantenendo il timone dell’impresa (non c’è esautoramento) ma con una bussola esperta e la protezione del tribunale come rete di sicurezza.

Concordato preventivo

Il concordato preventivo è la storica procedura concorsuale attraverso cui l’imprenditore insolvente (o in stato di crisi) cerca di evitare il fallimento proponendo un piano di soddisfacimento dei creditori concordato. È una procedura giudiziale vera e propria, che comporta il coinvolgimento di un commissario nominato dal tribunale, il voto dei creditori e l’omologazione da parte del giudice. Sotto il nuovo CCII, il concordato preventivo mantiene gli aspetti essenziali, con alcune novità di dettaglio soprattutto per allinearsi alla direttiva UE:

  • Soglie di accesso: può proporre concordato l’imprenditore commerciale che si trova in stato di crisi o insolvenza (il CCII ammette l’accesso anche in situazione di crisi incipiente, non solo di insolvenza conclamata, per anticipare la ristrutturazione). Restano escluse le imprese “minori” sotto le soglie, che hanno altre procedure (sovraindebitamento).
  • Tipologie di concordato: il CCII distingue principalmente:
    • Concordato in continuità aziendale (art. 84 CCII): se prevede che l’attività d’impresa continui, sia in forma diretta (la stessa società prosegue l’esercizio) sia indiretta (si cede/affitta l’azienda a un altro soggetto che continua l’attività). Il fine è il risanamento e la salvaguardia dei posti di lavoro. Deve assicurare ai creditori una soddisfazione non inferiore a quella ricavabile da un’alternativa liquidatoria e, se continuativo diretto, deve pagare almeno i creditori privilegiati IRPEF e IVA integralmente (salvo transazione fiscale) e i creditori chirografari in misura non inferiore al 20% (quest’ultimo requisito è stato molto dibattuto e parzialmente flessibilizzato per i concordati misti).
    • Concordato liquidatorio (art. 84 comma 4 CCII): se prevede la mera liquidazione dei beni dell’impresa per pagare i creditori. In questo caso la legge impone condizioni più severe: i creditori chirografari devono poter ricevere almeno il 20% del loro credito e l’apporto di “risorse esterne” (denaro nuovo dall’esterno) che incrementino di almeno il 10% la soddisfazione dei chirografari rispetto a quanto avrebbero dalla sola liquidazione del patrimonio. Ciò per scoraggiare concordati meramente liquidatori senza reale valore aggiunto (situazioni in cui sarebbe preferibile la liquidazione giudiziale).
  • Presentazione della domanda: il debitore predispone un ricorso con proposta, piano e documenti (elenco creditori, attivo, relazione attestatore, ecc.). Può anche presentare concordato “in bianco” (domanda riservata ex art. 44 CCII), ossia chiedere l’ammissione e ottenere subito protezione dai creditori, riservandosi di presentare il piano dettagliato entro un termine (fino a 180 giorni prorogabili). Questo strumento è usato per guadagnare tempo e bloccare azioni esecutive mentre si finalizza la proposta (anche spesso in esito a una composizione negoziata non conclusa).
  • Ammissione e voto: il tribunale, esaminata la proposta, se la ritiene ammissibile (fattibile, non in frode, documenti completi) ammette l’azienda al concordato e nomina un Commissario giudiziale, che vigila sull’impresa e redige una relazione per i creditori. Si indice l’adunanza dei creditori e si apre il voto (oggi spesso per classi scritte): i creditori deliberano sull’accettazione della proposta (maggioranza >50% dei crediti ammessi al voto, calcolata per classi se vi sono classi). Nel CCII c’è la possibilità di cram-down interclassi: se una o più classi votano no ma il tribunale ritiene la proposta equa e conveniente nel complesso (rispettati i test di migliore soddisfazione e non alterata la dignità delle cause di prelazione), può omologare lo stesso un concordato non approvato da tutte le classi (purché almeno una classe di creditori non inferiore abbia votato sì). È una novità che recepisce la direttiva Insolvency, e serve ad evitare ricatti di minoranze.
  • Omologazione: dopo il voto, se la maggioranza è raggiunta (o la cram-down è applicabile), il tribunale procede all’omologazione con sentenza, verificando legittimità e merito (fattibilità economica del piano, che non deve essere manifestamente irrealizzabile, trattamento non discriminatorio dei creditori, ecc.). Con l’omologa, il concordato diviene efficace erga omnes: tutti i creditori anteriori sono obbligati ai termini della proposta (anche i dissenzienti).
  • Esecuzione: segue poi la fase di esecuzione del piano sotto la vigilanza eventuale di un liquidatore giudiziale (se previsto).
  • Esdebitazione: per l’imprenditore persona fisica, una volta eseguito il concordato, vi è liberazione dei debiti residui (salvo eccezioni).

Il concordato preventivo è lo strumento più potente per ristrutturare, perché consente di imporre falcidie e dilazioni anche ai creditori non consenzienti, e persino di alterare l’ordine delle cause di prelazione (tramite classi e contributo di risorse esterne). È però anche la procedura più complessa e costosa, e comporta inevitabilmente pubblicità e tempi non brevissimi (di solito 6-12 mesi per arrivare all’omologa). Inoltre l’impresa, pur restando in gestione al debitore, subisce limitazioni: dall’ammissione deve operare sotto la vigilanza del commissario e non può compiere atti di straordinaria amministrazione senza autorizzazione del giudice delegato.

In termini di novità 2024, abbiamo:

  • Il concordato semplificato (vedi dopo) come “derivazione” speciale se fallisce la composizione negoziata senza che si riesca a presentare un concordato classico.
  • Un affinamento delle regole sulle classi e sul cram-down interclassi.
  • Una spinta maggiore alla continuità: la legge e la giurisprudenza valorizzano i concordati in continuità (capacità di mantenere in vita l’impresa e salvare posti di lavoro), tanto che alcune restrizioni sono allentate per essi (ad esempio, non serve l’apporto esterno del 10% che invece serve nel liquidatorio).
  • Per i concordati con continuità indiretta (vendita dell’azienda a terzi che la proseguono), la normativa ora li equipara ai concordati in continuità quanto a benefici (prima c’era dibattito se fossero da considerare liquidatori o meno). In pratica, se un concordato prevede di cedere l’azienda a un investitore che la manterrà in funzione, è considerato concordato in continuità (indiretta) e quindi soggetto alle regole meno rigide del concordato in continuità.

Esempio: un’azienda manifatturiera insolvente propone un concordato in continuità: mantiene la produzione, ottiene dilazioni decennali dai creditori finanziari, paga i fornitori in parte in cash e in parte in equity (conversione di debiti in quote, se concordano), e garantisce che nessun creditore prenderà meno del 30% grazie a nuovi capitali apportati da un socio. I dipendenti conservano il posto. I creditori votano e approvano, il tribunale omologa. L’azienda esce dal concordato sgravata di una parte dei debiti e con una struttura finanziaria sostenibile, evitando il fallimento.

Confronto con strumenti privatistici: perché scegliere il concordato e non un accordo di ristrutturazione? Tipicamente, si va in concordato se:

  • c’è bisogno di coinvolgere tutti i creditori e anche quelli non collaborativi (nel concordato li puoi obbligare con la maggioranza; nell’accordo 182-bis se non hai il 60% non puoi imporgli nulla).
  • l’azienda ha necessità di usufruire della moratoria legale immediata su azioni esecutive (concordato in bianco) e di congelare la situazione.
  • serve eventualmente cedere l’azienda a terzi liberandola dai debiti pregressi (nel concordato ciò è fattibile trasferendo l’azienda pulita).
  • c’è un numero di creditori impossibile da gestire con accordi individuali.

Di contro, l’accordo 182-bis potrebbe esser preferibile se hai già l’accordo con banche e principali creditori e vuoi procedura più snella e riservata, senza le incognite del voto di minoranze.

In base ai dati pre-riforma, in Italia il concordato preventivo ha avuto alterne fortune: molti abusi (concordati liquidatori con pagamenti irrisori, spesso respinti dai tribunali), ma anche successi in casi di ristrutturazioni serie. Con il CCII e l’innesto delle best practice europee, l’auspicio è di vedere concordati più orientati al risanamento genuino e meno utilizzati come mera alternativa al fallimento last minute.

Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio

Il concordato semplificato (artt. 25-sexies e 25-septies CCII) è una procedura concorsuale introdotta in via transitoria nel 2021 e poi resa stabile, pensata specificamente come via d’uscita per la composizione negoziata fallita. Si applica solo se l’imprenditore ha avviato la composizione negoziata, non è riuscito a trovare un accordo con i creditori, ma durante le trattative è emersa l’opportunità di liquidare il patrimonio dell’impresa (in tutto o in parte) in modo più efficiente di quanto avverrebbe in un fallimento, ad esempio perché c’è un soggetto interessato ad acquistare l’azienda in blocco a condizioni vantaggiose. In tal caso, per evitare di buttare via il lavoro svolto in negoziazione e precipitarsi in liquidazione giudiziale, il debitore può proporre al tribunale questo concordato “semplificato”.

Caratteristiche peculiari:

  • Accesso limitato: può proporlo solo l’imprenditore entro 60 giorni dalla chiusura della composizione negoziata con esito negativo e su base volontaria (non può essere richiesto dai creditori). Va allegata la relazione finale dell’esperto negoziatore che attesta che non si è raggiunto un accordo.
  • Natura: è un concordato liquidatorio puro, cioè prevede la liquidazione del patrimonio del debitore e la distribuzione del ricavato ai creditori. Non è ammessa continuità diretta (l’azienda non continua in capo al debitore); tuttavia, può includere la vendita dell’azienda a un terzo che la proseguirà – quindi di fatto può realizzare una continuità indiretta, ma solo come effetto della cessione.
  • Procedura super semplificata: la grande differenza rispetto al concordato preventivo ordinario è che non c’è voto dei creditori. Il piano viene proposto al tribunale e i creditori possono solo eventualmente fare opposizione all’omologazione. Il tribunale valuta il piano, la relazione dell’esperto (che deve esprimersi sulla proposta), e decide se omologare. Quindi i creditori subiscono le decisioni senza potere di veto via voto. Questo è giustificato dal fatto che siamo in una fase di emergenza: il legislatore ha voluto uno strumento rapido (infatti “semplificato”) per chiudere la vicenda.
  • Contenuto della proposta: tipicamente si prevede la vendita dell’intero complesso aziendale o di beni a un certo prezzo già individuato (spesso c’è un’offerta vincolante), oppure altre soluzioni liquidative (aste competitive da tenere in concordato). Il ricavato andrà ai creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione. Si possono prevedere classi di creditori e trattamenti differenziati solo se giustificato da diverse posizioni giuridiche.
  • Condizioni di ammissibilità: serve comunque l’attestazione di un professionista (non l’esperto negoziatore, deve essere un attestatore indipendente) sulla fattibilità del piano e sulla convenienza per i creditori rispetto alla liquidazione giudiziale. Questo a tutela dei creditori che non votano: almeno un esperto terzo conferma che prendono non meno di quanto avrebbero col fallimento, altrimenti il tribunale non omologa.
  • Omologazione: avviene con decreto motivato dopo aver sentito il commissario giudiziale (che viene nominato per supervisionare) e i creditori eventualmente opponenti. Se non ci sono opposizioni o se queste vengono rigettate perché la proposta è equa, il concordato è omologato. Da quel momento il liquidatore nominato procede a vendere e distribuire.
  • Esiti: la società di solito viene liquidata e poi cancellata. È una soluzione liquidativa, ma ordinata e che può massimizzare il valore, specie se c’è un soggetto pronto ad acquisire. Ad esempio, un’azienda con potenziale acquirente ha più chance di vendere nell’ambito di un concordato semplificato (dove si può velocemente autorizzare la vendita) che in un fallimento (dove le aste arriverebbero forse troppo tardi e col valore deteriorato).

In pratica, il concordato semplificato è come un “mini concordato” senza voto, destinato a salvare il salvabile in extremis: ad esempio, se un investitore durante la composizione negoziata si è detto disponibile a prendere l’azienda per X euro ma non tutti i creditori erano d’accordo su quell’offerta (magari banche sì ma fornitori no), con il semplificato l’imprenditore può comunque portare quell’offerta al giudice e farla prevalere, evitando il fallimento dove quell’investitore magari ritirerebbe l’interesse.

Ci sono state finora poche applicazioni, data la novità, ma il correttivo 2024 l’ha confermato e apportato alcuni ritocchi per coordinarlo con le regole europee. Ad esempio, ha chiarito che nel semplificato comunque non possono essere alterate le priorità (ad es. i privilegiati non possono essere pagati meno del 100% se il loro bene ne genera capienza, salvo consenso individuale).

Limiti: dal punto di vista dei creditori, il semplificato è “draconiano” perché li esautora del potere di voto. Ecco perché il tribunale deve stare molto attento in fase di omologa: se c’è il benché minimo sospetto che l’operazione favorisca qualcuno indebitamente o non sia nel migliore interesse collettivo, deve rigettare. In tal caso si aprirebbe la liquidazione giudiziale come scenario inevitabile.

Esempio: un’impresa edile in composizione negoziata non trova l’accordo coi creditori, ma c’è un concorrente interessato a rilevare macchinari e cantieri per €500.000. I creditori finanziari e alcuni fornitori principali sono d’accordo, altri piccoli no perché sperano in più. L’esperto certifica che €500.000 è meglio di quanto si ricaverebbe vendendo i beni frazionati. L’imprenditore propone un concordato semplificato: vende al concorrente, incassa 500k, con cui paga parzialmente i creditori (magari privilegiati 100%, chirografari 30%). Il tribunale verifica, omologa, e in poche settimane l’affare si conclude. I creditori dissenzienti non hanno potuto bloccare l’operazione, ma hanno comunque preso il massimo possibile stante la perizia dell’esperto.

In sintesi, il concordato semplificato è un strumento di chiusura: se arrivate fin qui, vuol dire che tutte le altre opzioni di risanamento non hanno funzionato. Ha il merito di evitare che si perda valore per strada (nel tempo morto tra la fine di negoziazione e l’eventuale fallimento), offrendo un’uscita più efficiente e pilotata dall’imprenditore stesso. Chiaramente non salva l’azienda nella forma originaria, ma ne può salvare la sostanza (l’attività può continuare in mano al compratore).

Liquidazione giudiziale (ex fallimento)

La liquidazione giudiziale è la procedura concorsuale che interviene quando l’insolvenza dell’impresa è tale da non consentire né la continuità né un concordato: in pratica è la procedura di dissoluzione ordinata dell’impresa con distribuzione dell’attivo ai creditori. Corrisponde al vecchio “fallimento”, termine che il Codice della Crisi ha abolito per ridurre lo stigma, ma nella sostanza il meccanismo rimane simile:

  • Apertura: su ricorso di un creditore, del debitore stesso o del PM, il tribunale accerta lo stato di insolvenza (incapacità definitiva di adempiere regolarmente alle obbligazioni). Se ricorrono i presupposti (impresa commerciale oltre soglie di non fallibilità: attivo > €300k, debiti > €500k, etc., a meno che non sia un imprenditore minore), dichiara aperta la liquidazione giudiziale con sentenza. Nomina un Curatore (professionista che gestirà la procedura) e un Giudice delegato. Da quel momento l’imprenditore è spossessato: i beni passano sotto amministrazione del curatore.
  • Effetti: si forma il massa dei creditori, sono sospese le azioni individuali (tutti devono passare per la procedura per soddisfarsi), i contratti pendenti possono essere sciolti o proseguiti dal curatore a seconda di cosa conviene alla massa, i dipendenti vengono licenziati (con accesso al Fondo di garanzia INPS per TFR e stipendi), l’impresa cessa l’attività salvo esercizio provvisorio autorizzato per vendere meglio l’azienda.
  • Liquidazione attivo: il curatore predispone un programma di liquidazione, poi procede a vendere i beni: singoli asset tramite procedure competitive (aste) o l’azienda in blocco se possibile. Oggi anche il curatore può cedere l’azienda o rami senza accolli di debiti (lo prevede espressamente il CCII).
  • Riparto ai creditori: incassato il ricavato, il curatore paga i creditori secondo l’ordine di privilegi e cause (ipotecari, privilegiati su beni mobili e immobili, infine chirografari in proporzione). Spesso i chirografari prendono poco o nulla purtroppo.
  • Chiusura ed esdebitazione: la procedura si chiude con decreto quando tutto è venduto e distribuito (o se non conviene procedere oltre). Il debitore persona fisica può ottenere l’esdebitazione (liberazione dai debiti residui non soddisfatti) se ha cooperato lealmente durante la procedura. La novità del CCII è aver reso l’esdebitazione quasi automatica salvo eccezioni, per facilitare il fresh start.

La liquidazione giudiziale è insomma l’extrema ratio, quando non c’è più possibilità di salvare l’impresa come entità economica. Ha però un ruolo importante: realizzare la par condicio creditorum (tutti i creditori concorrono e ricevono secondo priorità di legge, evitando disparità) e accertare eventuali responsabilità (il curatore può promuovere azioni di responsabilità verso amministratori se hanno aggravato la crisi, o revocatorie per atti pregiudizievoli, etc.). In un certo senso, ha anche una funzione disciplinante del mercato: la minaccia del fallimento spinge imprenditori e creditori a trovare accordi prima.

Con la riforma, si è cercato di ridurre i tempi e aumentare l’efficienza: ad esempio la liquidazione giudiziale si può chiudere anche in 2-3 anni se ben condotta, e c’è la figura dell’ausiliario per la vendita (per aiutare il curatore in vendite complesse). C’è anche la possibilità di conversione: se dopo l’apertura della liquidazione spunta fuori un’offerta per un concordato, si può “convertire” il fallimento in concordato (fino a che non siano iniziate distribuzioni).

Un tema rilevante: con l’entrata in vigore del CCII dal 15 luglio 2022, tutte le procedure nuove si chiamano liquidazione giudiziale, ma quelle vecchie (ante) restano soggette alla vecchia legge fino a chiusura. Ormai però il sistema è allineato al nuovo regime.

Impatto per l’imprenditore: oltre alla perdita dell’azienda, ci sono implicazioni come la possibile inabilitazione all’esercizio di attività commerciale per un periodo, e se c’è bancarotta (distrazioni di beni, conti falsi, etc.) conseguenze penali severe. Tuttavia, per l’imprenditore onesto ma sfortunato, oggi il “fallimento” porta all’esdebitazione e dunque la possibilità di ricominciare senza i vecchi debiti (cosa che un tempo non era automatica). Quindi, non c’è più la gogna a vita: la normativa incoraggia a cooperare, perché in cambio si ottiene il beneficio dell’esdebitazione.

Amministrazione straordinaria: vale la pena di ricordare brevemente che per grandi imprese insolventi (oltre 500 dipendenti o debiti > 300 milioni) esiste la procedura di amministrazione straordinaria (L. Marzano, D.Lgs. 270/1999). È un percorso alternativo in cui un commissario nominato dal Ministero dello Sviluppo Economico tenta di risanare o vendere l’azienda con l’obiettivo principale di salvaguardare l’occupazione. Esempi famosi: Alitalia, ILVA, Parmalat (pur con normative ad hoc). Non rientrando nelle procedure ordinarie, non approfondiamo qui, ma è rilevante per il contesto normativo generale (lo citiamo nelle fonti normative finali).

Liquidazione controllata: infine, per micro-imprese non fallibili e persone sovraindebitate, il CCII ha la “liquidazione controllata del sovraindebitato”, che sostituisce il vecchio “fallimentino” per il piccolo imprenditore. Anche qui, non entriamo nel dettaglio, poiché la guida è rivolta principalmente a imprese soggette al regime ordinario.

In conclusione, le procedure concorsuali giudiziali sono strumenti potentissimi ma anche traumatici per l’impresa. Esse garantiscono ordine e legalità nella fase di crisi acuta, ma spesso a prezzo della continuità. L’obiettivo delle riforme recenti è stato proprio limitare l’uso della liquidazione giudiziale solo ai casi inevitabili, promuovendo soluzioni anticipatorie (composizione negoziata) e concordatarie. Se però tali soluzioni non emergono, la liquidazione giudiziale rimane la soluzione di ultima istanza per chiudere la partita, distribuire quel che c’è secondo giustizia e permettere al sistema economico di assorbire il colpo (magari attraverso reimpiego degli asset venduti a soggetti più solidi).

Confronto tra strumenti di aiuto e di gestione della crisi

Abbiamo esaminato un ampio ventaglio di strumenti, dai sostegni pubblici alle soluzioni privatistiche e procedure concorsuali. In questa sezione forniamo alcune tabelle di sintesi per mettere a confronto le diverse opzioni, evidenziandone le caratteristiche chiave, i requisiti e gli effetti, così da aiutare il lettore a orientarsi rapidamente.

Tabella 2 – Confronto tra principali strumenti di regolazione della crisi d’impresa

Strumento Tipo Chi lo attiva Ruolo tribunale Effetti sui debiti Continuità aziendale Consenso richiesto
Piano attestato di risanamento (art. 56 CCII) Stragiudiziale (privato) con attestazione Debitore (volontario) Nessuna omologa (solo eventuale deposito per data certa) Debiti ristrutturati secondo accordi privati con creditori aderenti. Atti pianificati non revocabili ex post. Sì, se previsto dal piano (di solito continuità). Consenso individuale dei creditori coinvolti (non vincola i non aderenti). Attestatore certifica fattibilità.
Accordo di ristrutturazione (art. 57 CCII ordinario) Stragiudiziale con omologazione Debitore (volontario) Omologazione da parte del tribunale (controllo legalità e merito) Debiti ristrutturati come da accordo. Vincola aderenti; estranei da pagare integralmente entro 120 gg. Protezione vs revocatorie. Sì, se l’accordo lo prevede (spesso continuità se con banche). Consenso di creditori ≥ 60% del debito. Dissentienti (estranei) tutelati: pagamento integrale.
Accordo di ristrutturazione agevolato (art. 60 CCII) Stragiudiziale con omologa Debitore Omologazione tribunale Come sopra, ma i creditori estranei devono essere pagati completamente e subito. Niente misure protettive. Sì, possibile (ma serve liquidità per estranei). Consenso di creditori ≥ 30%. Nessun stay automatico, accordo rapido con pochi creditori chiave.
Accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa (art. 61 CCII) Stragiudiziale con omologa Debitore Omologa tribunale Estende accordo anche a non aderenti di una categoria se 75% di quella categoria ha aderito. Estranei extra-categorie: come accordo ordinario. Sì, se previsto. Consenso 75% per categoria (es. 75% banche: vincola 25% restanti banche). Tutela contro disparità di trattamento.
Concordato preventivo (in continuità o liquidatorio) Procedura concorsuale giudiziale Debitore (volontario) Ammiss./Omologa da tribunale; commissario e giudice delegato nominati Può imporre falcidie e dilazioni ai chirografari e, con classi, anche a privilegiati degradati. Debiti stralciati secondo piano omologato, vincolante per tutti i creditori anteriori. In continuità: azienda prosegue (diretta o indiretta). Liquidatorio: azienda cessata, solo vendita beni. Approvazione maggioranza >50% crediti votanti (per classi se previste). Possibile cram-down classi dissenzienti su condizioni. Creditori legati dalla sentenza di omologa.
Concordato semplificato (post composizione negoziata) Procedura concorsuale giudiziale speciale Debitore (solo dopo CNC fallita) Omologa da tribunale (no voto creditori) Liquidazione patrimonio e riparto crediti secondo legge. Possibile vendita diretta beni a terzi. Debiti estinti con distribuzione attivo. No continuità diretta (solo eventuale cessione a terzi che continuano attività). Nessun voto dei creditori. Tribunale decide omologa valutando convenienza ≥ liquidazione giudiziale. Creditori possono solo proporre opposizione.
Liquidazione giudiziale (fallimento) Procedura concorsuale giudiziale Creditori / PM (involontaria) o Debitore (autonomamente) Sentenza tribunale dichiara insolvenza, nomina curatore; vigilanza GD Tutti i beni liquidati e distribuiti a creditori secondo priorità legali. Debiti insoddisfatti restano salvo esdebitazione persona fisica. No, attività cessata salvo esercizio provvisorio per vendita. Procedura coattiva: creditori non scelgono, subiscono. Possono insinuarsi e partecipare comitato, ma niente voto su piano (non c’è piano, curatore liquida e ripartisce).

Tabella 3 – Confronto tra tipologie di aiuti pubblici alle imprese

Tipo di aiuto pubblico Chi lo eroga Beneficio per l’impresa Obblighi/Condizioni Esempi 2025
Contributo a fondo perduto Stato (Ministeri, agenzie), Regioni, UE (programmi) Apporto di denaro diretto all’impresa, a titolo perduto (non da restituire). Migliora liquidità e patrimonio netto. Utilizzo vincolato alle spese/investimenti previsti; documentazione delle spese; rispetto normative aiuti Stato (de minimis o altri regimi). Spesso cumulabile fino a certa percentuale con altri aiuti. – Bando “Macchinari Innovativi” MiMIT: 50% a fondo perduto per acquisto impianti al Sud– Contributo digitalizzazione PMI (voucher Mise €10k per azienda)– Fondo Impresa Donna: mix 50% contributo/50% finanziamento agevolato– Contributi regionali per fiere, consulenze, efficientamento energetico
Credito d’imposta Stato (norme fiscali), talvolta UE (rimborso accise) Riduzione delle imposte dovute mediante credito utilizzabile in compensazione o rimborso. Equivale a un risparmio di costi o a un rimborso di spese sostenute. Spesa ammissibile effettuata e pagata; rispetto parametri (aliquote, massimali); indicazione in dichiarazione redditi; soggetto eventualmente a controlli dell’Agenzia Entrate. Non genera liquidità immediata se non cedibile, ma riduce esborsi futuri. – Credito Transizione 4.0 su macchinari e software (aliquota 10-20%)– Credito d’imposta ZES Mezzogiorno (fino al 45% investimenti, tetto 100 mln)– Bonus formazione 4.0 (30-50% costi formazione digitale)– Credito imposta energia (qualora riattivato se rialzo prezzi)
Garanzia pubblica su finanziamenti Stato (Fondo Garanzia PMI gestito da MCC; SACE; ISMEA per agricoltura), cofinanziamenti UE (InvestEU) Copertura di una % del rischio di credito a favore di banche e finanziatori. L’impresa ottiene più facilmente prestiti o leasing e a tassi migliori, pur dovendo rimborsare il finanziamento. Istanza tramite banca o confidi; l’impresa può pagare commissioni ridotte o gratuite (de minimis); deve rispettare condizioni di ammissibilità (rating non troppo deteriorato, assenza di certe esposizioni). In caso di inadempimento, la garanzia paga la banca ma l’impresa resta debitrice verso il garante (surroga). Fondo PMI: garanzia 80% su prestito bancario 5 anni per liquidità– SACE “SupportItalia”: garanzia 90% su prestito biennale richiesto nel 2022 per costi energia (ora non attivo nuovi, ma in gestione)– Garanzia ISMEA: 70% su mutuo agrario per nuovo impianto frutteto– Confidi territoriali: garanzia 50%, controgarantita dal Fondo PMI all’80% (copertura totale 90%)
Moratoria fiscale / contributiva Stato (legge o decreto) Sospensione/rinvio di pagamenti dovuti (imposte, contributi) per un periodo. L’impresa guadagna tempo e conserva liquidità nell’immediato. Valida solo per periodi e settori previsti; una volta finita, occorre versare gli importi sospesi (spesso rateizzabili). Durante la moratoria, di regola, non si applicano sanzioni né interessi e l’impresa è considerata temporaneamente regolare (es. DURC positivo durante sospensione). – Sospensione versamenti fiscali per imprese turismo/ristorazione durante lockdown 2020 (poi versati dal 2021 in 24 rate)– Moratoria contributi per aziende in zone alluvionate (2023) per 3 mesi, versamento dal 31/10/23– “Tregua fiscale 2023”: possibilità di pagare debiti fiscali 2019-20 in 20 rate senza sanzioni (Rottamazione-quater)
Altre agevolazioni pubbliche (prestiti agevolati, interventi nel capitale, incentivi contributivi) Stato (MISE/MIMIT, Invitalia), Regioni, CDP, UE (BEI, FEI) Finanziamenti a tasso zero o ridotto: l’impresa riceve liquidità da rimborsare ma a condizioni molto favorevoli (interessi bassi, lunghi termini, magari parte fondo perduto).– Intervento capitale: ingresso temporaneo Stato nel capitale (patrimonio rafforzato, niente interessi né rimborsi nel breve).– Incentivi contributivi: riduzione costi lavoro (esonero contributi) migliorando sostenibilità finanziaria. – Prestiti agevolati: spesso richiedono graduatorie/bandi, garanzie ridotte, vincoli su uso fondi.– Ingresso capitale pubblico: temporaneo, l’impresa deve prevedere riacquisto quote o uscita Stato entro X anni (es. Fondo Salvaguardia).– Esoneri contributivi: condizionati a mantenimento livelli occupazionali, a target (assunzione under36, donne, Sud, etc.), durano tot anni. – “Nuova Sabatini”: finanziamento bancario mercato + contributo MIMIT che abbassa interesse effettivo al ~0%.– Prestito CDP a impresa in ASI (area crisi) con garanzia Stato e interest holiday 2 anni.– Fondo Salvaguardia MISE: acquisizione 30% capitale azienda in crisi, poi exit dopo 5 anni vendendo a soci privati.– Esonero 100% contributi per 3 anni per assunzione under36 a tempo indeterminato (L. Bilancio 2023, prorogato al 2025 alcune categorie).

(Legenda: CNC = composizione negoziata della crisi; CCII = Codice Crisi d’Impresa; PM = Pubblico Ministero; CDP = Cassa Depositi e Prestiti; MCC = Mediocredito Centrale; ASI = Area di crisi industriale complessa)

Dalle tabelle emerge che non esiste una soluzione unica: ogni strumento ha punti di forza e limiti. Ad esempio, il piano attestato è rapido e poco invasivo ma richiede consenso diffuso, mentre un concordato preventivo impone soluzioni ma ha costi e tempi maggiori. Similmente, un contributo a fondo perduto è denaro gratis ma arriva a progetto concluso e su spese specifiche, mentre una garanzia pubblica non dà soldi ma facilita prestiti immediati.

In generale, l’impresa in difficoltà spesso utilizza combinazioni: es. garanzia pubblica + rinegoziazione debiti privati + transazione fiscale, il tutto formalizzato magari in un accordo 182-bis o in un concordato. Oppure contributi pubblici per investimenti + concordato per tagliare debiti pregressi, così da ripartire con impianti nuovi e debiti ridotti.

La strategia ottimale dipende dalla diagnosi della crisi: crisi da debito finanziario eccessivo → strumenti di ristrutturazione finanziaria (accordi con banche, garanzia per nuovo credito); crisi da inefficienza produttiva → investimenti (incentivi, 4.0) e forse necessità di fresh capital (Fondo salvaguardia, ingresso soci); crisi da contrazione mercato → forse riduzione costi (transazione debiti, esuberi incentivati con fondo competenze) e riposizionamento (nuovi mercati con aiuto Simest export).

L’importante per imprenditori e professionisti è conoscere il ventaglio di opzioni e le interazioni possibili. Ad esempio, sapere che durante una composizione negoziata si può ottenere il blocco delle azioni e persino proporre un accordo fiscale, oppure che un accordo 182-bis ben riuscito può avere gli stessi effetti di un concordato ma con meno pubblicità, influisce sulle scelte.

Nel prossimo capitolo applicheremo alcune di queste considerazioni a scenari pratici, con simulazioni di come un’impresa può muoversi per ottenere gli aiuti o attivare i percorsi di risanamento.

Simulazioni pratiche e casi di esempio

Per tradurre la teoria in pratica, presentiamo alcune simulazioni basate su situazioni tipiche che un imprenditore o il suo consulente legale potrebbero trovarsi ad affrontare. Questi esempi forniscono un approccio passo-passo su come:

  1. Accedere a una misura pubblica di sostegno (nel nostro caso, un finanziamento bancario garantito dal Fondo PMI, combinato con un contributo pubblico).
  2. Gestire una trattativa di ristrutturazione con le banche (rinegoziazione di un debito bancario importante).
  3. Impostare un piano attestato di risanamento (dalla fase preparatoria fino all’esecuzione e monitoraggio).

Ogni simulazione, pur semplificata, è basata su casi ricorrenti osservati nella realtà professionale.

Esempio 1: Accesso a un finanziamento garantito e contributo – “La ripartenza di Alfa S.r.l.”

Scenario: Alfa S.r.l. è un’azienda manifatturiera (50 dipendenti) che nel biennio 2020-2021 ha subito perdite significative (calo ordini 30%) e ha esaurito quasi tutta la liquidità. Nel 2022-23 il portafoglio ordini è risalito, ma Alfa fatica a comprare materie prime e pagare i fornitori a causa dei debiti accumulati e di incassi dilazionati. Ha urgente bisogno di €500.000 per finanziare il capitale circolante e onorare pagamenti arretrati, e vorrebbe anche investire in un nuovo macchinario (~€200.000) per aumentare efficienza e margini. L’azienda ha patrimonio netto positivo ma ridotto (€100k) e rating creditizio deteriorato. Come può Alfa ottenere i fondi necessari?

Soluzione combinata: Alfa deciderà di richiedere un finanziamento bancario utilizzando la garanzia del Fondo PMI per €500.000 (liquidità) e contestualmente accederà a un contributo a fondo perduto regionale del 40% per l’acquisto del nuovo macchinario, finanziando la parte restante con un leasing garantito sempre dal Fondo PMI.

Passi operativi:

  1. Business plan e verifica requisiti: Alfa, assistita dal suo consulente finanziario, prepara un piano di cash flow per i prossimi 2 anni mostrando che con €500k di liquidità può tornare corrente con i fornitori, acquistare scorte e sostenere la produzione aggiuntiva. Il piano evidenzia la sostenibilità del rimborso di un nuovo prestito (ad esempio €500k da restituire in 6 anni). Verifica anche sul portale Mediocredito Centrale le condizioni per la garanzia: Alfa è PMI (sì), non era impresa in difficoltà al 2019 (patrimonio ancora positivo, ok), non ha esposizioni a sofferenza (ha ritardi ma non crediti in sofferenza, ok). Quindi è ammissibile al Fondo.
  2. Contatto con la banca: Alfa convoca una riunione con la sua banca principale (che già le aveva accordato fidi per €200k, ora parzialmente tirati). Nella riunione presenta il piano e chiede un nuovo prestito di €500k garantito dallo Stato all’80-90%. La banca, vedendo la garanzia pubblica, è interessata: sa che il rischio effettivo per lei è solo 10-20%. Chiede comunque alcune informazioni (ordini acquisiti, bilancio previsionale) e di abbassare l’esposizione esistente con parte di quel prestito. Alfa concorda ad esempio che €100k del nuovo prestito andranno a chiudere gli utilizzi del vecchio fido, e €400k saranno risorse fresche.
  3. Richiesta di garanzia: La banca avvia la richiesta al Fondo Centrale di Garanzia tramite il portale dedicato, caricando i dati di Alfa e la valutazione finanziaria. Grazie alle misure ancora agevolate post-Covid, Alfa beneficia di priorità PNRR: la richiesta riguarda liquidità per azienda manifatturiera che investe in digitalizzazione (poiché nel piano c’è anche l’acquisto del macchinario 4.0). Mediocredito Centrale risponde entro 1 settimana concedendo la garanzia all’80% (la copertura massima standard).
  4. Delibera ed erogazione prestito: Ottenuta la garanzia, la banca delibera il prestito di €500k a 6 anni, tasso ragionevole (es. Euribor + 2%, grazie al de-risking). Alfa firma il contratto e riceve la somma. Immediatamente usa €100k per azzerare il fido scoperto, €50k per pagare alcuni fornitori critici (sbloccando forniture), €50k per pagare 2 mensilità arretrate ai dipendenti (riportandosi in pari e recuperando clima interno), e conserva €200k come scorta per acquisti materie prime dei prossimi mesi. Il restante €100k viene accantonato per rateizzare i debiti fiscali pregressi (Alfa ha aderito alla “rottamazione-quater” e dovrà pagare €100k in 18 rate, e ora ha la liquidità per farlo).
  5. Bando macchinario e leasing: Parallelamente, Alfa aveva fatto domanda a un bando regionale (POR FESR) per “Innovazione Tecnologica PMI” presentando il progetto di acquisto di una nuova macchina CNC con robot integrato da €200.000. Il bando prevede contributo 40%. La domanda, predisposta con l’aiuto di un consulente in finanza agevolata, è stata ammessa a finanziamento. Alfa riceverà quindi €80k a fondo perduto a rendicontazione avvenuta. Per acquisire subito il macchinario senza aspettare il contributo, Alfa negozia un leasing finanziario di €200k con una società di leasing, chiedendo che sia anch’esso garantito dal Fondo PMI (che copre i leasing al 80%). La pratica passa e il leasing viene approvato: Alfa versa un piccolo anticipo (€20k) con i fondi del prestito ottenuto, la macchina viene ordinata. Entro 6 mesi la macchina arriva, Alfa paga le prime rate leasing e poi riceve dalla Regione il contributo €80k, che utilizza in parte per rimborsare anticipatamente alcune rate del leasing o mettere da parte per pagarle.
  6. Risultato: In 3 mesi Alfa ha ottenuto €500k di liquidità e un macchinario nuovo. L’azienda ha ripreso la produzione a pieno ritmo perché ha potuto comprare materiali e i fornitori sono tranquilli (alcuni sono stati pagati, altri vedono che Alfa ha finanze e non la mettono più in stop forniture). Il nuovo macchinario aumenta la produttività del 15%, migliorando i margini. Alfa riesce a rispettare il piano di rimborso del prestito (grazie ai flussi recuperati e al taglio costi per l’efficienza). Tra un anno, Alfa prevede di chiudere il bilancio di nuovo in utile, rafforzando i mezzi propri.

Commento: Questo esempio mostra come combinare garanzie pubbliche e contributi. Senza il Fondo di Garanzia, la banca non avrebbe mai prestato €500k a un’azienda reduce da perdite (o l’avrebbe fatto a tassi altissimi con garanzie reali onerose). Senza il contributo regionale, Alfa magari avrebbe rimandato l’investimento nel macchinario, perdendo competitività. Così invece l’azienda accede a capitale immediato e incentivi, integrati in un piano di risanamento finanziario. Il ruolo attivo della banca e l’uso intelligente degli strumenti pubblici (garanzia e bando) hanno permesso di superare la crisi di liquidità senza ricorrere a procedure concorsuali né sacrificare la proprietà.

Esempio 2: Trattativa bancaria per ristrutturazione debito – “Rinegoziare il mutuo Omega”

Scenario: Omega S.p.A. opera nel commercio all’ingrosso e nel 2019 ha contratto un mutuo bancario decennale di €2 milioni per espandere i magazzini. A fine 2024, dopo anni difficili, Omega ha ancora da restituire €1,2 milioni, ma fatica a pagare le rate trimestrali di ~€80k l’una, avendo flussi di cassa ridotti. La banca di Omega sta per classificare il mutuo come “UTP” (inadempienza probabile) e minaccia di escutere le garanzie (c’è un’ipoteca sul magazzino). Omega non è insolvente su tutto, ma quel mutuo è insostenibile alle condizioni attuali. L’obiettivo è evitare il default e trovare una nuova intesa con la banca. Come procedere?

Soluzione: Omega avvia una trattativa di ristrutturazione del debito bancario presentando alla banca un piano credibile e utilizzando leve come: la prospettiva di incasso di un credito fiscale e la possibile minaccia (velata) di ricorrere a strumenti concorsuali se la banca non coopera.

Passi operativi:

  1. Analisi finanziaria: Omega con il suo CFO rivede il piano finanziario: il mutuo attuale prevede ancora 4 anni di rate da €320k/anno. Omega stima di poter sostenere al massimo €180k/anno di esborso per quel debito. Inoltre, l’immobile dato in garanzia ha perso valore e oggi vale €1 milione scarso. Omega quantifica anche dei crediti fiscali spettanti (ha un credito IVA da rimborso di €100k e maturerà un credito d’imposta investimenti Sud di €50k l’anno prossimo). Tali crediti potrebbero essere usati a compensazione o anticipati. Conclude che servirebbe allungare il mutuo da 4 a 8 anni e magari ridurre leggermente il tasso, per arrivare a ~€180k/anno di rate.
  2. Interlocuzione iniziale: Omega convoca un incontro con i referenti della banca (ufficio crediti deteriorati). Nel meeting, Omega ammette le difficoltà e presenta una bozza di piano di risanamento interno, dove mostra proiezioni realistiche: se le rate scendono a €180k/anno, l’azienda resterà liquida e potrà onorare il debito integralmente sebbene in più tempo. La banca dapprima è rigida (vorrebbe almeno un parziale rientro immediato). Omega propone allora alcune concessioni: pagare subito €100k (appena riceverà il rimborso IVA atteso entro 3 mesi) per abbattere il capitale a €1,1M, e mettere un’ulteriore garanzia collaterale (ad es. un pegno su titoli di un socio per €100k). In più, offre di aumentare di 0,5 punti il tasso di interesse dal 2% al 2,5% annuo in cambio dell’allungamento a 8 anni – in modo che la banca, pur recuperando più lentamente, guadagni più interessi complessivi.
  3. Negoziato sui termini: La banca apprezza lo sforzo, ma chiede che l’allungamento sia a 6 anni (non 8) e che Omega si impegni a destinare al rimborso ogni eventuale extra incasso (ad esempio la vendita di un terreno non strategico). Dopo qualche discussione, si converge su questi punti:
    • Capitale residuo €1,2M -> Omega versa €100k appena ottenuto il rimborso IVA (così scende a €1,1M).
    • Rata ridotta ~€200k/anno per 6 anni (ultima rata finale “balloon” un po’ più alta), con tasso portato al 2.5%. Così lo sforzo annuo di Omega è circa dimezzato rispetto a prima, e la banca incassa più interessi.
    • Viene formalizzato un “accordo di ristrutturazione” bilaterale: se Omega salta 2 rate, la banca potrà revocare i termini agevolati e procedere legalmente (clausola di decadenza dal beneficio).
    • Pegno su titoli €100k come garanzia aggiuntiva (il socio di Omega accetta).
    • Impegno di Omega a versare alla banca il 50% di qualsiasi provento straordinario (es. vendita cespiti o ulteriore credito d’imposta) per ridurre il debito anticipatamente.
  4. Formalizzazione: Si redige un atto di rinegoziazione del mutuo con le nuove condizioni, firmato da entrambe le parti. Omega si fa assistere dal legale per verificare che la rinegoziazione comporti anche la rinuncia della banca a eventuali interessi di mora passati e a considerare ormai regolare il credito (rimuovere lo status UTP se Omega rispetta il nuovo piano per 6 mesi).
  5. Esecuzione: Omega fa arrivare il rimborso IVA e immediatamente versa €100k come concordato. La prima rata trimestrale ridotta è pagata regolarmente. Con la liquidità alleggerita dalle minori rate, Omega normalizza anche i pagamenti ai fornitori, migliorando la reputazione creditizia. Il credito d’imposta investimenti che maturerà l’anno dopo verrà per metà usato per un ulteriore pagamento anticipato come da accordo.
  6. Risultato: La banca classifica nuovamente il mutuo come “in bonis ristrutturato” (non più default), evitando a Omega segnalazioni a Centrale Rischi negative. Omega può proseguire l’attività con un debito sostenibile. La banca, pur attendendo più a lungo, alla fine recupera tutto il capitale e guadagna più interessi e garanzie di prima, quindi è soddisfatta. Entrambi evitano il percorso giudiziale (che sarebbe stato costoso e incerto: se la banca avesse eseguito sull’ipoteca, forse avrebbe recuperato meno vista la situazione di mercato immobiliare).

Commento: Questa simulazione illustra una trattativa di ristrutturazione bilaterale con una banca. Elementi chiave del successo:

  • Omega si è presentata preparata con numeri e soluzioni (non a mani vuote a chiedere “aiuto generico”).
  • Ha offerto qualcosa in cambio (pagamento immediato parziale, garanzie, tasso maggiore) – concetto di give and take.
  • Ha sfruttato leve come crediti d’imposta attesi e la minaccia implicita che l’alternativa poteva essere peggiore per la banca (un concordato dove magari avrebbe preso meno e più tardi, o un fallimento con lungaggini).
  • Tutto è rimasto stragiudiziale, evitando pubblicità negativa.

Se la banca fosse stata poco collaborativa, Omega avrebbe potuto prospettare formalmente l’accesso alla composizione negoziata o al concordato: paradossalmente, a volte le banche si ammorbidiscono se sanno che il debitore è ben consigliato e pronto a percorrere vie concorsuali (dove la banca perderebbe il controllo e magari vedrebbe falcidie). Qui non è stato necessario perché si è trovata intesa.

Questa strategia di debt restructuring privata è comune e importante: molte crisi aziendali passano per tavoli di negoziazione con banche in cui si rivedono scadenze e condizioni. Ogni accordo va calibrato su case-by-case, ma i principi di trasparenza, proposta ragionata e equo sacrificio tra le parti sono universali.

Esempio 3: Predisposizione di un piano attestato di risanamento – “Beta S.p.A. si risana fuori dal tribunale”

Scenario: Beta S.p.A. produce componenti meccaniche e fornisce sia grandi industrie che clienti esteri. Negli ultimi anni, a causa di errori gestionali, Beta ha accumulato debiti elevati: €3 mln con banche (anticipi fatture e un mutuo), €2 mln verso fornitori, €0.5 mln verso l’Agenzia Entrate (IVA non versata) e €0.3 mln verso l’INPS. Il totale di €5.8 mln di debiti rende Beta tecnicamente insolvente a breve, se tutti chiedessero il dovuto. Tuttavia, Beta ha un buon portafoglio ordini futuro e margini interessanti, quindi l’attività è potenzialmente redditizia se snellita dai debiti. I soci di Beta sono disposti a mettere nuovi fondi (€1 mln) purché l’azienda venga ristrutturata. Beta vuole evitare il tribunale per non perdere fiducia dei clienti internazionali. È possibile risanare Beta con un accordo privato?

Soluzione: Beta opterà per un piano attestato di risanamento, coinvolgendo un esperto attestatore e negoziando con i principali creditori un pacchetto di accordi coordinati, sfruttando anche la nuova norma che consente la transazione fiscale in composizione negoziata (facendo dapprima un breve passaggio protetto per convincere il Fisco).

Passi operativi:

  1. Piano industriale e finanziario: Beta incarica un advisor di redigere un piano di risanamento 2025-2028. Il piano prevede: riduzione di alcuni costi, dismissione di un capannone non utilizzato (atteso ricavo €0.8 mln), apporto di capitale fresco €1 mln dai soci, utilizzo di utili futuri per pagare debiti. Viene definito un schema di ristrutturazione debiti: alle banche si propone di consolidare i fidi e mutuo in un unico mutuo €3 mln a 8 anni; ai fornitori si propone di pagare il 50% dei debiti in 24 mesi e rinunciare al restante 50% (che sarebbe compensato dal continuare ad avere Beta come cliente); al Fisco/INPS si pensa a pagare solo il capitale senza sanzioni/interessi in 5 anni (quindi stralcio di ~30% del totale sanzioni). Secondo i calcoli, con queste condizioni Beta torna liquida e profittevole dal 2026.
  2. Composizione negoziata “lampo”: Beta, temendo iniziative del Fisco (ha cartelle esattoriali), decide di sfruttare la nuova composizione negoziata: presenta istanza in CCIAA e ottiene in 15 giorni la nomina di un esperto. Chiede subito misure protettive che sospendono le azioni esecutive (bloccando sul nascere un pignoramento che un fornitore stava avviando). Usa la finestra negoziale di 3 mesi per incontrare banche e fornitori chiave con la supervisione dell’esperto. L’esperto conferma che il piano può funzionare e sollecita i creditori a cooperare. Beta inoltre propone formalmente all’Agenzia delle Entrate una transazione fiscale: pagare €500k su €800k di debiti tributari in 5 anni, con attestazione di convenienza (meglio di fallimento) e certificazione di dati. Il tribunale autorizza l’accordo fiscale. L’INPS, sebbene non incluso formalmente, su pressione dell’esperto accetta parallelamente di dilazionare in 5 anni il proprio credito di €300k senza sanzioni.
  3. Firme degli accordi: Entro la fine del periodo di composizione, Beta raggiunge accordi scritti con:
    • Banche: accordo quadro dove esse acconsentono a rinegoziare i loro crediti (€3M) nel nuovo mutuo 8 anni, ma solo dopo che i soci avranno versato il nuovo capitale (per rafforzare patrimonialmente Beta) e a condizione che Beta ipotechi a loro favore anche il secondo capannone (ulteriore garanzia). Beta accetta.
    • Fornitori: il 70% in valore dei fornitori (quasi tutti i maggiori) sottoscrive un accordo in cui accettano il 50% di sconto sul loro credito, in cambio di pagamenti del 50% entro 2 anni e mantenimento dei rapporti futuri. (Il 30% dei fornitori minori, che non ha firmato, verrà comunque pagato integralmente entro 6 mesi, Beta lo prevede nel piano.)
    • Fisco: sottoscritto l’accordo transattivo come autorizzato dal giudice (penali e interessi stralciati, piano €500k in 5 anni con privilegi).
    • Soci: verbale assemblea che impegna i soci a versare €1M entro la data X in conto futuro aumento capitale.
  4. Attestazione: Con tutti questi elementi, un professionista indipendente attestatore (diverso dall’esperto negoziatore) esamina il piano definitivo e redige la relazione di attestazione prevista dall’art. 56 CCII. Nella relazione dichiara che:
    • la situazione contabile di Beta è veritiera e aggiornata;
    • gli accordi con creditori elencati sono reali e sufficienti a risanare l’impresa;
    • il piano finanziario è sostenibile e Beta potrà pagare regolarmente i debiti secondo i nuovi termini;
    • la continuità aziendale è assicurata e preferibile rispetto alla liquidazione (che darebbe ai creditori esito peggiore).
  5. Esecuzione e formalizzazione: Il piano di risanamento con allegata attestazione viene formalizzato con data certa (Beta lo deposita presso il Registro Imprese, sebbene non obbligatorio, per blindare la data) nel dicembre 2025. A questo punto Beta esce dalla composizione negoziata e attua il piano: i soci versano €1M (incremento liquidità immediata), Beta paga subito i fornitori piccoli al 100% e versa una prima rata ai firmatari del 50%, vende il capannone dismesso incassando €0.8M e con quello riduce subito parte delle esposizioni bancarie (o costituisce riserva per pagare rate future). Le banche trasformano ufficialmente le linee brevi e mutuo in un nuovo mutuo ipotecario come da accordo. Beta inizia a pagare le rate trimestrali ridotte alle banche, e rispetta i pagamenti semestrali dovuti al fisco/inps secondo transazione.
  6. Monitoraggio: Viene magari concordato che l’attestatore o un revisore controlli semestralmente l’andamento e riferisca ai creditori sulla tenuta del piano (questo non è obbligatorio per legge ma è buona pratica per mantenere fiducia). Dopo 2 anni, Beta avrà dimezzato i debiti fornitori come previsto, dopo 5 anni sarà adempiente verso fisco e inps, e continuerà a pagare il mutuo bancario per altri 3 anni ancora. L’azienda nel frattempo produce utili modesti ma sufficienti e nel 2028 distribuisce anche piccoli dividendi, segnale che la crisi è superata. Tutti i creditori aderenti hanno ottenuto quanto pattuito (anche i fornitori tagliati al 50% – meglio del probabile 20% in fallimento).

Risultato: Beta S.p.A. è stata risanata interamente fuori dalle aule di tribunale. Ha evitato il concordato preventivo (che avrebbe comportato pubblicità, tempi lunghi e possibili ostacoli). Grazie al piano attestato, gli atti compiuti in esecuzione (pagamenti fatti ai fornitori e banche) non potranno essere revocati in caso di eventuale fallimento successivo (che però pare scongiurato). I creditori estranei (i pochi non aderenti) sono stati pagati integralmente, quindi non hanno ragione di aggredire Beta. L’azienda ha mantenuto la continuità e i posti di lavoro, e i soci hanno diluito la loro partecipazione mettendo soldi ma conservato la proprietà.

Commento: Questo esempio evidenzia come un piano attestato di risanamento ben orchestrato possa portare benefici pari a un concordato, con maggior flessibilità e minor costo reputazionale. Si notano però alcuni elementi cruciali:

  • Beta ha ottenuto la collaborazione della maggior parte dei creditori chiave: ciò è fondamentale, altrimenti il piano attestato rischierebbe di essere frustrato da azioni legali di chi sta fuori.
  • L’uso intelligente della composizione negoziata per bloccare azioni ed ottenere la transazione fiscale: Beta ha sfruttato uno strumento “nuovo” per superare un vecchio problema (fisco rigido). Uscita con accordi dal CNC, ha poi finalizzato il piano attestato sapendo di avere il fisco a bordo.
  • La presenza di nuova finanza dei soci: spesso un piano credibile richiede che i proprietari facciano la loro parte (il cosiddetto sacrificio degli equityholders). Ciò rassicura creditori che i soci credono ancora nell’impresa.
  • Protezione legale: se per qualche ragione Beta dovesse fallire tra, ad esempio, 3 anni (imprevisto), i pagamenti fatti ai creditori secondo il piano attestato non sarebbero revocabili dal curatore, assicurando dunque che chi ha collaborato non venga penalizzato dopo. Questo comfort è ciò che rende i creditori più disponibili ad aderire a piani attestati (Cassazione 2018 ha molto discusso se piani attestati equivalgano a procedure concorsuali – si è giunti a riconoscere che hanno una loro dignità concorsuale in termini di protezione).

In pratica, Beta S.p.A. ha gestito la crisi come un “concordato privato”: ha messo intorno a un tavolo tutti, compreso il Fisco, e ne è uscita con un’intesa globale. Questo percorso richiede notevole capacità negoziale e coordinamento, ma quando c’è fiducia tra le parti e un attestatore competente, può essere la via ottimale per imprese ancora vitali ma appesantite dal debito.


Queste simulazioni evidenziano come le imprese in difficoltà possano combinare misure pubbliche e strategie negoziali private per ottenere un risultato di rilancio. Ogni caso è diverso: c’è chi avrà bisogno solo di un prestito garantito e un po’ di respiro, chi invece dovrà affrontare un complesso “closing” con decine di creditori. Ma in tutti emerge un elemento: il successo passa per una pianificazione chiara, trasparenza con i creditori e l’uso appropriato degli strumenti legali disponibili. Nel capitolo successivo risponderemo ad alcune domande frequenti che gli imprenditori e i professionisti si pongono quando si trovano ad affrontare queste situazioni.

FAQ – Domande frequenti sulla gestione della crisi d’impresa e sugli aiuti disponibili

D.1: Un’impresa in difficoltà può ottenere nuovi finanziamenti o contributi pubblici, o è “marchiata” e esclusa dagli aiuti?
R.1: In generale può ottenere aiuti, ma dipende dalla gravità della crisi e dal tipo di aiuto. Molti incentivi pubblici (crediti d’imposta, contributi) non escludono affatto le imprese in tensione finanziaria, anzi spesso nascono per sostenerle. Ad esempio, un’azienda con bilancio in perdita può comunque beneficiare di un credito d’imposta 4.0 o di un contributo a fondo perduto – dovrà solo assicurarsi di non essere nello status di “impresa in difficoltà” ai sensi UE (cioè patrimonio netto azzerato o in procedura concorsuale non preventiva). Anche l’accesso al Fondo di Garanzia PMI è possibile finché l’azienda non è in situazione di insolvenza conclamata o default bancario (se ha “solo” rating basso, la garanzia serve proprio a farle avere credito). Discorso diverso per gli aiuti che richiedono capacità di cofinanziamento: se un’impresa è in crisi profonda di liquidità, potrebbe non riuscire a spendere i soldi per poi ottenere il contributo (in tal caso meglio puntare su strumenti che danno liquidità immediata, come garanzie e finanziamenti). Quanto ai finanziamenti bancari, se l’azienda è già “segnalata a sofferenza” in Centrale Rischi o ha istanze di fallimento pendenti, difficilmente otterrà nuovi crediti (le banche attendono esito procedura). Ma in situazioni pre-crisi (ad es. tensione ma con prospettive) l’impresa, usando garanzie statali o presentando un piano di risanamento, può convincere le banche a erogare nuova finanza (anche in prededuzione se dentro una procedura concordataria). Infine, essere in concordato preventivo non preclude di per sé partecipare a bandi pubblici o ricevere crediti d’imposta – l’importante è rispettare gli obblighi concordatari (es. se arriva un contributo mentre sei in concordato liquidatorio, va a beneficio dei creditori).

D.2: Cos’è esattamente lo “stato di difficoltà” secondo la normativa UE sugli aiuti di Stato?
R.2: L’Unione Europea definisce “impresa in difficoltà” (IID) ai fini degli aiuti di Stato come un’azienda che soddisfa alcune condizioni indicative di crisi grave. Ad esempio, per una società di capitali, è in difficoltà se ha perso oltre la metà del capitale sociale a causa di perdite cumulate. Oppure se è insolvente (procedura concorsuale aperta) o ha ricevuto salvataggi pubblici in passato. Questa definizione serve a evitare che gli aiuti di Stato tengano artificialmente in vita imprese decotte. Dunque molti regimi di aiuto (come il GBER) escludono le IID (salvo aiuti specifici al salvataggio). Quindi una PMI che abbia patrimonio netto negativo o prossima all’azzeramento formale potrebbe essere esclusa da certi contributi o garanzie. Tuttavia, durante Covid e crisi recenti, l’UE ha sospeso in parte questa restrizione, permettendo aiuti anche a imprese temporaneamente in difficoltà a causa della crisi sistemica. In sintesi: se un’impresa ha eroso il capitale per oltre la metà e non lo ha ripianato, deve verificare attentamente l’ammissibilità a nuovi aiuti a titolo di regimi ordinari. È sempre opportuno, se si intende chiedere un contributo UE o statale, ricostituire per quanto possibile il capitale (es. con versamenti soci) prima, così da non rientrare nella definizione di IID.

D.3: Quali sono le prime mosse che un imprenditore dovrebbe fare quando intuisce che la sua azienda è in crisi?
R.3: Il primo passo è non negare la crisi e analizzarla. Consigli pratici:

  • Verificare subito i segnali di allerta interni: indici di liquidità, indebitamento, ritardi pagamenti, perdite di esercizio, ecc. Se i sindaci o revisori segnalano squilibri, prenderli sul serio.
  • Coinvolgere un professionista esperto in ristrutturazioni (advisor finanziario, commercialista specializzato o avvocato d’impresa) per fare una diagnosi e valutare le opzioni. A volte le soluzioni sono semplici (es. rifinanziare debiti, vendere asset non core), ma serve un piano.
  • Comunicare con i creditori chiave: se già si prevedono insoluti verso banche o fornitori importanti, meglio affrontare la questione a tavolino prima che degeneri in azioni legali. Mostrarsi proattivi preserva la fiducia.
  • Tutelare la continuità operativa: assicurarsi che, nel frattempo, l’azienda possa proseguire (ad esempio, cercare accordi brevi per continuare a ricevere forniture essenziali, anche pagando alla consegna).
  • Valutare l’accesso a strumenti come la composizione negoziata se la situazione rischia di precipitare (così da ottenere protezione temporanea).
  • Evitare assolutamente di aggravare la situazione con comportamenti scorretti (tipo pagare “di nascosto” solo alcuni creditori lasciandone altri al palo, o sottrarre beni): questo può portare a responsabilità personali (es. bancarotta preferenziale) se poi si va in procedura.
    In sostanza: lucidità, consulenza specialistica e dialogo con le controparti. Agendo tempestivamente si mantengono aperte più opzioni (incluso un risanamento fuori dai tribunali). Se invece si aspetta l’ultimo minuto quando i creditori hanno già perso pazienza, rimarranno solo scelte drastiche.

D.4: I soci o gli amministratori rischiano conseguenze personali se l’azienda finisce in fallimento o altra procedura?
R.4: Dipende dalla condotta tenuta prima e durante la crisi. In linea generale, la legge mira a proteggere l’imprenditore onesto e a colpire chi compie irregolarità:

  • Se i soci sono solo tali (non hanno prestato fideiussioni personali e non hanno fatto atti illeciti), non rispondono dei debiti sociali oltre il capitale perso. La procedura concorsuale non li coinvolge patrimonialmente (salvo snc/sas dove i soci illimitatamente rispondono).
  • Gli amministratori possono essere chiamati a rispondere se hanno violato i doveri gestionali. Ad esempio, se hanno aggravato dolosamente il dissesto (continuando a indebitare l’azienda quando era irrimediabilmente insolvente), il curatore potrebbe promuovere un’azione di responsabilità per danni. Oppure se hanno tenuto contabilità falsa, occultato beni, distratto risorse a sé o ad altri poco prima del fallimento, incorrono in reati di bancarotta (che possono portare anche a pene detentive).
  • Al contrario, amministratori che abbiano attivato per tempo gli strumenti di allerta e cercato la composizione della crisi potranno generalmente difendersi sostenendo di aver fatto il possibile. Una gestione trasparente (ad esempio aderire alla composizione negoziata, informare correttamente il tribunale nel concordato, etc.) mette al riparo da accuse di mala gestio.
  • Quanto ai soci che versano denaro fresco: spesso ci si chiede se rischiano di perderlo in caso di fallimento successivo. Purtroppo sì, quei fondi diventano parte dei beni della società e se poi c’è fallimento entrano nel riparto (i soci potranno insinuarsi come creditori postergati se era finanziamento soci). Tuttavia, talvolta versare denaro e capitalizzare può evitare il fallimento, salvando quindi l’investimento. In alcuni concordati è prevista la restituzione parziale di “finanza esterna” se tutto va secondo i piani, ma non c’è garanzia.
    In sintesi: i rischi per soci e amministratori esistono solo in caso di comportamento colposo o doloso. La “giusta causa” di esonero è aver adottato le misure doverose (convocare assemblea per perdite, segnalare la crisi, non creare preferenze indebite). Vale ricordare che con il CCII è stato introdotto un articolo (art. 3) che obbliga l’organo amministrativo a istituire assetti adeguati a rilevare la crisi e ad attivarsi per superarla. Se lo fanno, difficilmente saranno attaccabili. Se ignorano i segnali (tipo continuano a fare finta di niente accumulando debiti tributari), allora sì che un domani il curatore potrebbe agire contro di loro.

D.5: Come scegliere tra piano attestato, accordo di ristrutturazione o concordato?
R.5: Non c’è una regola fissa, ma alcune discriminanti:

  • Numero e tipo di creditori: se l’azienda ha pochi creditori rilevanti e crede di poter ottenere il loro assenso, un piano attestato può bastare. Se invece ci sono decine/centinaia di creditori con interessi divergenti, di solito si propende per un concordato, dove il voto a maggioranza vincola tutti.
  • Necessità di stay legale: se la situazione è tale che serve immediatamente bloccare azioni esecutive (es. l’Erario sta pignorando, un fornitore chiede fallimento), allora occorre un ombrello giudiziale. Un accordo ex 182-bis consente misure protettive (ma in fase di omologa, e devi già avere il 60% di consensi pronti). Un concordato preventivo consente di ottenere il blocco subito depositando la domanda (“concordato in bianco”). Quindi in presenza di fuoco incrociato dei creditori, il concordato è spesso la via necessaria.
  • Transazione fiscale: se il debito fiscale è enorme e l’AdE non dà segnali di voler accettare riduzioni stragiudiziali, con un concordato o accordo omologato puoi imporre il cram-down fiscale. Il piano attestato invece non vincola il fisco se non aderisce spontaneamente. Oggi con la composizione negoziata esiste un ibrido (accordo fiscale autorizzato) anche fuori dal concordato, ma è un istituto nuovo e da verificare sul campo. Quindi se il fisco è determinante e non collabora, il concordato/accordo omologato è preferibile.
  • Costi e tempi: il concordato è più lungo e costoso (devi pagare il commissario, contributo unificato, ecc.), l’accordo di ristrutturazione è intermedio (meno costi ma comunque c’è fase di omologa), il piano attestato è il più veloce ed economico (paghi solo l’attestatore e consulenze). Se l’azienda non ha tempo né soldi per procedure lunghe, tenterà prima le vie extragiudiziali.
  • Pubblicità: molti imprenditori temono l’effetto reputazionale di un concordato pubblico. Se la riservatezza è fondamentale (es. azienda B2C che teme fuga clienti), si prova fino all’ultimo un accordo privato. Se però questo fallisce, meglio un concordato dichiarato che un fallimento rumoroso. Notare che l’accordo 182-bis comporta anch’esso pubblicità (registro imprese) ma a valle, e meno percepita dal grande pubblico.
    In pratica spesso si tenta una scala: prima piano attestato se fattibile, se non va accordo 182-bis (magari agevolato al 30% se i numeri lo consentono), come extrema ratio concordato. La composizione negoziata in questo sta a monte per facilitare qualsiasi percorso. Anche la dimensione gioca ruolo: per PMI piccole a volte non conviene il concordato per costi, mentre per aziende medio-grandi un concordato ben fatto assicura soluzione globale.

D.6: Un concordato preventivo può davvero “tagliare” i debiti fiscali e contributivi? Non c’era il divieto di falcidia IVA?
R.6: Originariamente (prima del 2020) c’erano limiti stringenti: l’IVA e le ritenute non versate non potevano essere falcidiate nemmeno in concordato (bisognava offrire 100%) a causa di vincoli europei. Questo spesso rendeva impossibili i concordati, perché l’IVA rappresenta grosse somme. Nel 2020 però l’Italia, in recepimento direttiva UE, ha cambiato la norma: oggi anche l’IVA e le ritenute possono essere falcidiate nel concordato preventivo (e negli accordi di ristrutturazione), purché lo si faccia nell’ambito di una transazione fiscale ex art. 182-ter. Significa che deve essere attestato che il Fisco prende almeno quanto prenderà in fallimento. Quindi sì, in un concordato ad esempio l’IVA può essere pagata al, poniamo, 30% se nel fallimento i creditori chirografari (tra cui l’IVA degradata) prenderebbero 5% – con l’omologa il giudice può confermare anche senza assenso dell’Agenzia Entrate (che ovviamente di solito comunque vota contro, ma viene “cramdowndata”). La transazione fiscale consente anche di stralciare integralmente sanzioni e interessi. Questo è un enorme vantaggio del concordato/accordo giudiziale rispetto al piano attestato: nel piano attestato il Fisco non è obbligato ad accettare meno del 100% e se non vuole, può poi agire. Nel concordato invece il Fisco è nel calderone: o accetta la % proposta o, se rifiuta ma quella % è meglio della liquidazione, il tribunale può imporgliela. Va detto però che l’UE (art. 107 TFUE) guarda con attenzione a questi “sconti” per non configurarli come aiuti di Stato: ma poiché avvengono in un quadro concorsuale giudiziale e secondo il principio del migliore interesse del creditore pubblico, sono ammessi. Quindi l’IVA non è più intoccabile, se l’alternativa è prenderne ancora meno in fallimento.

D.7: Se un imprenditore ha debiti personali (es. ditte individuali o soci garanti) può liberarsene con qualche procedura?
R.7: Sì, il CCII prevede procedure anche per il sovraindebitamento personale. Ad esempio, un imprenditore agricolo o piccolo commerciante che non può fallire può proporre un piano di ristrutturazione del debito del consumatore o dell’imprenditore minore (ex legge 3/2012). Anche i soci fideiussori che spesso sono garanti dei debiti sociali, se poi la società fallisce e le banche escutono i garanti, possono accedere a queste procedure. Le opzioni includono:

  • Ristrutturazione dei debiti del consumatore/imprenditore: simile a un concordato ma per persone fisiche non fallibili, con l’aiuto di un OCC (organismo composizione crisi) e omologato dal tribunale.
  • Liquidazione controllata: la persona mette a disposizione tutto il suo patrimonio, liquidato dal liquidatore nominato, e a fine procedura ottiene l’esdebitazione (liberazione).
  • Esdebitazione del debitore incapiente: addirittura una novità che consente, a certe condizioni, di ottenere la cancellazione dei debiti residui anche senza pagare nulla, se si dimostra la totale incapienza e la meritevolezza, una volta nella vita.
    Quindi, sì: chi è sovraindebitato (anche ex imprenditore fallito con debiti personali residui tipo garanzie escusse) ha possibilità di liberarsi dai debiti residui rivolgendosi al tribunale tramite queste procedure. Sono procedure meno note ma molto utili socialmente.

D.8: Cosa succede se, dopo aver firmato accordi o aperto un concordato, la situazione peggiora (es. il piano non regge)?
R.8: Se parliamo di accordi stragiudiziali o piano attestato: sono contratti. Quindi se l’impresa non riesce a rispettarli, i creditori tornano liberi di agire secondo i termini originali (salvo se l’accordo prevedeva già sconti consolidati). Ad esempio, se Beta S.p.A. del nostro piano attestato non pagasse come promesso, i fornitori potrebbero revocare l’accordo e chiedere l’intero credito (anche se inizialmente avevano accettato 50%). Molti accordi prevendono clausole risolutive espresse: “se salti due rate, l’accordo si risolve di diritto”. A quel punto l’azienda inevitabilmente dovrà cercare riparo in una procedura concorsuale. Se invece stiamo in un concordato in esecuzione e l’impresa non riesce a eseguire il piano, qualsiasi creditore può chiedere la risoluzione del concordato e il tribunale, verificato l’inadempimento grave, dichiara risolto il concordato (tornano esigibili i debiti originari dedotto quanto eventualmente già incassato) e contestaulmente può dichiarare il fallimento (liquidazione giudiziale). Idem per gli accordi 182-bis omologati: se non vengono eseguiti, i creditori non soddisfatti possono chiedere la risoluzione in tribunale e si apre il fallimento (Cass. 2019: un creditore estraneo non pagato dopo 120 giorni può presentare istanza). In pratica, le soluzioni concordate sono l’ultima chance: se falliscono, difficilmente si avrà un’ulteriore opportunità di accordo, si va verso la liquidazione. Ci sono casi in cui si può proporre un concordato alternativo in extremis (es. un concordato preventivo che non ce la fa, allora prima che venga risolto se c’è un nuovo investitore si propone un concordato “bis”), ma sono eccezioni. In generale, per questo la fattibilità e sostenibilità del piano sono cruciali: meglio un piano prudenziale e poi magari pagare anticipato se va bene, che uno ottimistico che poi salta. Va detto anche: se un concordato preventivo salta per cause non imputabili a dolo dell’imprenditore (tipo crisi sistemica nuova), l’imprenditore persona fisica comunque può chiedere l’esdebitazione dopo il fallimento successivo, quindi non tutto è perduto per lui (ma l’azienda purtroppo sì).

D.9: I dipendenti e fornitori vengono tutelati nelle procedure concorsuali?
R.9: I dipendenti in caso di insolvenza aziendale hanno una tutela importante: il Fondo di Garanzia INPS paga loro i TFR non riscossi e fino a 3 mensilità di retribuzione arretrate (in alcune condizioni). Questo indipendentemente dall’esito della procedura, e anzi l’INPS poi si insinua come creditore al loro posto. Inoltre nel concordato i crediti da lavoro sono prededucibili o privilegiati alti, quindi di solito vengono soddisfatti integralmente (in continuità i contratti proseguono). Certo, se l’azienda cessa attività, perdono il posto – ma possono accedere alla NASpI (disoccupazione). I fornitori sono tipicamente creditori chirografari, quindi in un fallimento rischiano di prendere poco (la media statistica dei fallimenti è intorno al 5-10%). Nel concordato preventivo l’impresa cerca di dar loro più del fallimento, ma può proporre anche percentuali basse (minimo 20% se liquidatorio, nessun minimo se concordato in continuità con certe condizioni). Nei piani stragiudiziali, molto dipende dal loro potere contrattuale: spesso i fornitori essenziali riescono a farsi pagare meglio (perché servono per il futuro), quelli marginali subiscono tagli maggiori. Insomma, non c’è garanzia di integrale soddisfo per i fornitori, salvo abbiano privilegio (es. fornitori con riserva di proprietà su beni consegnati: hanno prelazione, recuperano merce o pagamenti prioritari). Uno strumento a tutela fornitori in concordato è il convenience test: il giudice omologa solo se ritiene che ogni creditore riceve almeno quanto in liquidazione giudiziale. Quindi almeno sanno che il concordato non può dar loro meno del fallimento (magro conforto, ma comfort). Da menzionare: in procedure come l’amministrazione straordinaria grandi imprese, c’è la finalità di salvare posti di lavoro piuttosto che soddisfare i fornitori (che spesso prendono percentuali bassissime dopo anni, es. Alitalia docet). Purtroppo i fornitori subiscono molto la crisi altrui – ecco perché è importante per loro monitorare la solvibilità dei clienti e magari assicurarsi contro i crediti (credit insurance) quando possibile.

D.10: Dopo quanti anni viene cancellata una segnalazione di fallimento o concordato? L’azienda “risanata” avrà stigma per sempre?
R.10: Sul piano formale, le procedure concorsuali vengono registrate: la sentenza di fallimento appare sul Registro Imprese ed è storicizzata, e anche sui sistemi bancari c’è memoria (Centrale Rischi, CRIF, etc.). Tuttavia, una volta chiusa la procedura, l’impresa fallita viene cancellata e cessa di esistere; se parliamo invece di un concordato, la società prosegue e risulta nel Registro Imprese che ha fatto un concordato nel tal anno, ma la cosa col tempo perde importanza se poi torna in bonis. Le banche nelle valutazioni considerano negativamente chi ha insolvenze pregresse, ma se il risanamento è avvenuto con successo e passano 3-5 anni di bilanci positivi, è possibile recuperare piena affidabilità. Per le persone (imprenditori individuali, garanti) esistono i registri dei protesti e delle procedure: un fallimento personale rimane nei database pubblico (Registro Falliti) per qualche anno, ma ottenuta l’esdebitazione la persona viene riabilitata. Ad esempio, la legge prevede che dopo l’esdebitazione l’ex fallito non debba dichiararlo oltre 5 anni se apre nuova impresa. In sintesi, c’è uno stigma nel breve termine, ma non è per sempre: anzi la filosofia moderna dell’insolvency è dare il “fresh start” alle persone meritevoli (direttiva UE 2019/1023). Quindi un imprenditore che ha fatto un concordato preventivo oggi, se tra 5 anni la sua azienda va bene, potrebbe tranquillamente accedere a credito e fare affari: sarà stato considerato bravo ad aver salvato l’azienda senza fallire. Viceversa, se ci sono macchie di condotte fraudolente (bancarotta), quello stigma resta a vita sul piano penale. Ma per il resto, il sistema cerca di reinserire chi ha fallito onestamente.

D.11: Esistono aiuti specifici per alcuni settori o categorie (es. imprese femminili, giovanili, Sud)?
R.11: Sì, molti aiuti pubblici sono mirati per settore o categoria:

  • Per imprese femminili c’è il citato Fondo Impresa Donna (incentivi per startup e sviluppo, combinazione fondo perduto + finanziamento).
  • Per giovani imprenditori c’è ON – Oltre Nuove Imprese a Tasso Zero (Invitalia) e misure come esoneri contributivi per under36 assunti.
  • Per il Sud: oltre al credito d’imposta investimenti Sud, esiste Resto al Sud (fino a 200k euro con 50% contributo e 50% prestito 0) per under56 che avviano attività in regioni meridionali. E bandi destinati alle 8 regioni meno sviluppate su vari temi.
  • Settoriali: per l’agricoltura ci sono mutui a tasso zero giovani e il Fondo Filiere che dal 2022 elargisce contributi a settori come cerealicolo, oleario, zootecnia per compensare crisi (es. caro mangimi).
  • Per il turismo: come visto, FRI-Tur, bonus digitalizzazione agenzie viaggio, credito d’imposta 65% riqualificazione strutture ricettive.
  • Export: gestiti da Simest, ci sono fondi agevolati (nel 2020-21 addirittura con 50% a fondo perduto) per internazionalizzazione, e voucher per Temporary Export Manager ecc.
  • Transizione ecologica: il nuovo Fondo Green New Deal italiano offre cofinanziamenti a imprese che investono in progetti di economia circolare o decarbonizzazione.
  • Innovazione: oltre al Piano 4.0 (fiscale) ci sono i Competence Center che erogano voucher e fanno training alle PMI high-tech.
    Insomma l’elenco è lungo. È utile consultare periodicamente fonti come il portale incentivi.gov.it e i siti regionali. Nella sezione fonti normative finali di questa guida elenchiamo alcuni riferimenti di legge specifici per settori.

D.12: Perché conviene utilizzare la composizione negoziata prima di un concordato?
R.12: La composizione negoziata offre alcuni vantaggi:

  • È volontaria e mantenuta riservata (fino a eventuale pubblicazione delle misure protettive), quindi l’imprenditore può tentare una risoluzione senza le formalità di tribunale.
  • Fornisce l’ausilio di un esperto a costi contenuti (sono previsti compensi calmierati) che può suggerire soluzioni e mediare con i creditori in modo neutrale.
  • Permette di attivare misure protettive simili al pre-concordato, ma con più flessibilità (le puoi chiedere e poi revocare se trovi accordo).
  • Dal 2024 consente di fare una transazione fiscale rapida fuori dal concordato, il che è un gran vantaggio come visto.
  • Se la negoziazione riesce con un accordo stragiudiziale o un 182-bis, l’azienda risparmia tempo e stigma rispetto a un concordato.
  • Se invece non riesce, l’imprenditore può comunque ripiegare sul concordato preventivo o semplificato con maggiore preparazione (documenti già raccolti, situazione esaminata).
  • Inoltre aderire per tempo alla composizione negoziata evita accuse di inerzia: in futuro difficilmente un curatore potrà dire “l’amministratore non ha fatto nulla”, se c’è evidenza che ha attivato la CNC tempestivamente.
    Dunque, è spesso definita un “paracadute morbido”: tentar non nuoce, e anzi il terzo Correttivo l’ha resa ancora più appetibile eliminando certi freni (paura revoca fidi, ecc.). L’unico scenario in cui potrebbe non convenire è se l’azienda è già troppo compromessa e ha bisogno subito di un concordato (ad esempio cash out totale in giorni, allora forse non c’è tempo per CNC). Ma nella maggior parte dei casi di crisi incipiente, la CNC è il preludio consigliato. Non a caso gli esperti stimolano: “prima di portare i libri in tribunale, provate la via negoziata”.

Fonti normative e giurisprudenziali

Legislazione italiana – Aiuti alle imprese e incentivi (aggiornata al 2025):

  • Legge 30 dicembre 2024, n. 207 (Legge di Bilancio 2025) – Disposizioni per il sostegno a imprese: introdotta l’“IRES premiale” con aliquota ridotta al 20% per utili reinvestiti, rifinanziamento Nuova Sabatini, risorse ZES Unica Sud, proroghe crediti d’imposta investimenti, “Misura Africa” per PMI (Finanziaria 2025).
  • Decreto-Legge 13 agosto 2011, n. 138, art. 37 (conv. L.148/2011) – Definizione di “impresa in difficoltà” ai fini aiuti di Stato, poi ripresa da norme UE. N.B.: La nozione attuale è data dal Reg. UE 651/2014 allego I.
  • Decreto-Legge 19 maggio 2020, n. 34 (“Decreto Rilancio”) – Ha introdotto misure emergenziali: contributi a fondo perduto Covid, rafforzamento Fondo PMI con garanzia 100% PMI, moratorie fiscali 2020. Ora esaurite, ma storicamente rilevanti.
  • Decreto-Legge 25 maggio 2021, n. 73 (“Sostegni-bis”) – Esonero contributivo per assunzioni post-Covid, rifinanziamento fondo garanzie e contributi settore wedding/ho.re.ca. Rilevante per misure per PMI in ripresa.
  • Decreto MISE 4 luglio 2022 – Istituzione Fondo Impresa Donna e condizioni agevolazioni.
  • Decreto MIMIT 10 febbraio 2022 – Attuativo FRI-Tur (PNRR), contributo 35% e finanziamento CDP per turismo.
  • D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 123 – Disciplina generale degli incentivi alle imprese (trasparenza, controlli).
  • Legge 21 giugno 2017, n. 96 (Delega crisi d’impresa) – Base normativa della riforma organica attuata col CCII, include principi come allerta, composizione assistita.

Legislazione italiana – Crisi d’impresa e procedure concorsuali:

  • D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), come modificato dai decreti correttivi:
    • D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83 (recepimento Direttiva UE 2019/1023) – ha anticipato entrata in vigore CCII al 15 luglio 2022, introdotto composizione negoziata e correttivi su transazione fiscale e concordato.
    • D.Lgs. 28 settembre 2023, n. 136 (cd. Correttivo “ter” 2024) – ha apportato migliorie a composizione negoziata (divieto revoca fidi, transazione fiscale CNC, segnalazione organi controllo) e a concordato semplificato, accordi ristrutturazione.
  • Legge Fallimentare (R.D. 16 marzo 1942, n. 267) – Normativa previgente in materia concorsuale, ancora applicabile ratione temporis a procedure aperte prima del 15/7/2022. Rilevanti art. 67 (piano attestato), 160-186 (concordato preventivo), 182-bis (accordi ristrutturazione).
  • D.L. 24 agosto 2021, n. 118 conv. L.147/2021 – Istituzione composizione negoziata e concordato semplificato originariamente. Molte norme poi confluite nel CCII (artt. da 17 a 25-sexies CCII).
  • Art. 375 D.Lgs.14/2019 – Modifiche al Codice Civile: introdotto art. 2086 c.c. comma 2 (assetti adeguati obbligatori, dovere intervento tempestivo degli amministratori).
  • D.Lgs. 270/1999 – Amministrazione straordinaria grandi imprese insolventi; D.L.347/2003 (Legge Marzano) – AS per grandi casi specifici (Alitalia, ecc.).

Regolamenti e normative UE:

  • Regolamento (UE) 2015/848 del Parlamento europeo e del Consiglio – Regolamento Insolvenze transfrontaliere. Stabilisce riconoscimento reciproco procedure concorsuali in UE.
  • Direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento europeo e del Consiglio – Ristrutturazione preventiva e seconde chance. Ha influenzato fortemente il CCII (introduzione composizione negoziata, cram-down interclassi, esdebitazione rapida).
  • Comunicazione Commissione 2020/C 91 I/01 – Quadro Temporaneo Aiuti di Stato COVID-19. Permesso contributi e garanzie straordinarie.
  • Comunicazione 2022/C 131 I/01 – Quadro Temporaneo Crisi Ucraina (esteso e modificato nel 2023 in TCTF). Consente aiuti per caro energia e filiere strategiche fino al 2025.
  • Regolamento (UE) 2023/2042 (da adottare) – Proposta Clean Tech Act (non ancora in vigore, in bozza).
  • Regolamento (UE) 2023/2831 del 13 dicembre 2023 – Nuovo Regolamento de minimis. Eleva massimale generale a €300.000 su 3 anni (750k per SIEG, 200k per agricoltura, 300k per pesca).
  • Regolamento (UE) 651/2014 (GBER) e successive modifiche (Reg. 2021/1237) – Esenzione per categorie di aiuti. Contiene definizione di impresa in difficoltà, e discipline per aiuti a investimenti, PMI, ambiente, ecc.
  • Trattato sul Funzionamento UE, art. 107-108 – Divieto aiuti di Stato salvo deroghe.

Giurisprudenza rilevante:

  • Cass., Sez. Un. civ. n. 8504/2021 – Sulla transazione fiscale: ha statuito che il giudice può omologare il concordato nonostante il voto contrario del Fisco se l’offerta è conveniente (apertura al cram-down fiscale).
  • Cass. civ. Sez. I, 17/05/2018, n.1182; n.9087/2018; n.16347/2018 – “Svolta” sulla natura concorsuale degli accordi 182-bis: riconosciuto che, pur essendo contratti, producono effetti erga omnes assimilabili a procedure concorsuali. Ciò ha implicazioni su regime fiscale e penale (equiparazione concordato/accordo per remissione crediti ecc.).
  • Cass. civ. Sez. I, 24/05/2013, n. 1521 – Ruolo del tribunale su omologa accordo: controllo legalità e fattibilità, non convenienza (questa spetta ai creditori aderenti).
  • Cass. pen. 27/05/2015, n. 22474 – In tema di bancarotta preferenziale: pagamento di alcuni creditori in esecuzione di piano attestato non è reato se il piano mirava al risanamento in buona fede (riconoscimento piani attestati come esimenti in ambito penale).
  • TAR Lazio – Roma, Sez. I, sent. 11191/2024 – Ha annullato un decreto ministeriale che escludeva alcune imprese da agevolazioni contributive, affermando il diritto dell’impresa di accedere se in possesso requisiti (caso di giustizia amministrativa su incentivi occupazionali).
  • Corte di Giustizia UE, causa C-198/15 (24/10/2017) – Caso “Agro In 2000” su aiuti di Stato e transazione fiscale in concordato: confermò compatibilità con diritto UE se l’erario non riceve meno di quanto otterrebbe in liquidazione (principio poi recepito dall’Italia).
  • Tribunale di Milano, decreti 2020-2021 (Crf. Portale ilcaso.it) – Primi provvedimenti su concordato in continuità indiretta vs liquidatorio: affermata compatibilità concordato semplificato e continuità indiretta (si può vendere a terzi e considerare finalità conservativa).
  • Unioncamere – Osservatorio composizione negoziata (dati 2024) – Report: quasi 2000 istanze CNC avviate, +926 nel 2024 su 2023, 210 imprese risanate, >10mila lavoratori salvati.

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