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Le relazioni tra la Cina e gli stati insulari del Pacifico: sviluppi recenti e implicazioni regionali 


A partire dalla metà degli anni 2010, la Repubblica popolare cinese (Rpc) ha intensificato la propria presenza politica, economica e strategica nei confronti degli stati insulari del Pacifico (Sip).75 Questa proiezione si inserisce in un contesto più ampio di competizione globale, in particolare con gli Stati Uniti (Usa) e i loro alleati, per l’influenza nella regione indo-pacifica.76 

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Attraverso una combinazione di strumenti diplomatici, accordi bilaterali e iniziative infrastrutturali, Pechino ha rafforzato i propri legami con numerosi paesi del Pacifico insulare, suscitando attenzione e preoccupazione da parte delle potenze occidentali.77 Le risposte di attori come Usa, Australia, Nuova Zelanda e Giappone si sono intensificate, dando luogo a una nuova fase di rivalità plurilaterale.78 In tale contesto in evoluzione, le nazioni oceaniche – molte delle quali microstati – stanno cercando di massimizzare i benefici derivanti dal confronto tra potenze, praticando compensazione strategica (ottenendo aiuti, investimenti o accordi preferenziali da più attori in cambio di riconoscimento diplomatico, sostegno negoziale o accesso a risorse) e riaffermando la propria autonomia decisionale nel quadro di una crescente polarizzazione regionale.79 

L’evoluzione della presenza cinese nei Sip 

La Cina ha formalmente stabilito relazioni diplomatiche con la maggior parte dei paesi insulari del Pacifico a partire dagli anni ’70 e ’80. Tuttavia, solo a partire dagli anni 2000 si è assistito a un incremento sostanziale degli investimenti cinesi nell’area, con particolare enfasi su infrastrutture, sanità, energia e agricoltura.80 Nel decennio 2010–2020, Pechino ha aumentato gli aiuti allo sviluppo, le donazioni e i prestiti agevolati, posizionandosi come un’alternativa ai canali tradizionali di finanziamento multilaterale e bilaterale.81 In tale contesto, diversi paesi insulari hanno revocato il riconoscimento diplomatico a Taiwan in favore della Repubblica popolare cinese, attratti dalle più ampie opportunità economiche offerte da Pechino e dall’accesso preferenziale ai programmi di cooperazione e sviluppo promossi da quest’ultima su scala globale.82 Attualmente, Taiwan mantiene relazioni diplomatiche solo con tre stati della regione: Isole Marshall, Palau e Tuvalu.83 

La Rpc ha anche rafforzato la propria presenza diplomatica, ampliando ambasciate e uffici consolari, e aprendo nuove missioni.84 L’ingresso di diversi Sip – Figi, Papua Nuova Guinea, Samoa, Tonga, Vanuatu, Isole Salomone, Kiribati, Stati Federati di Micronesia, Isole Cook e Niue – nella Belt and road initiative (Bri) ha fornito un quadro di cooperazione più strutturato e visibilità ai progetti cinesi.85 Oltre agli strumenti convenzionali di cooperazione economica, la Cina ha impiegato anche meccanismi meno trasparenti come i prestiti collaterali, in cui le infrastrutture chiave diventano garanzia del debito.86 Tali pratiche hanno suscitato dibattiti tra gli osservatori internazionali circa il rischio di dipendenza strutturale dei Sip da Pechino, soprattutto in assenza di meccanismi di verifica e di strumenti efficaci di controllo e trasparenza comparabili a quelli imposti da donatori multilaterali tradizionali.87  

In parallelo, l’assistenza sanitaria cinese si è tradotta in forniture mediche, invio di team sanitari e costruzione di ospedali, rafforzando la percezione positiva della Cina in alcune comunità locali.88 Anche il settore dell’istruzione è diventato uno strumento cruciale della diplomazia cinese. A partire dal 2015, le università cinesi hanno moltiplicato le borse di studio dedicate agli studenti del Pacifico, contribuendo a formare una generazione di élite locali con competenze acquisite nella Rpc.89 La presenza culturale è stata poi consolidata attraverso l’apertura di Istituti Confucio e il sostegno ad attività culturali e linguistiche.90 Tali sforzi hanno lo scopo di costruire una narrazione positiva della Cina come controparte rispettosa e affidabile, in contrasto con l’immagine storica dell’occidente.91 

Accordi bilaterali e memorandum strategici  

Negli ultimi tre anni, la Cina ha firmato numerosi accordi bilaterali con stati del Pacifico, riguardanti settori chiave quali sicurezza, telecomunicazioni, estrazione mineraria, pesca e digitalizzazione. Tra questi spiccano il controverso accordo di sicurezza con le Isole Salomone del 2022, che potrebbe permettere il dispiegamento di personale cinese per la protezione di infrastrutture e cittadini, nonché la possibilità – sebbene smentita ufficialmente – di accesso navale militare.92 Il patto ha sollevato preoccupazioni da parte di Australia e Usa, che hanno intrapreso una serie di iniziative diplomatiche di contenimento.93 L’episodio infatti ha rivelato il livello di penetrazione cinese non solo economico, ma anche politico e securitario. Altri memorandum d’intesa firmati con Kiribati, Vanuatu e le Isole Cook hanno incluso l’impegno cinese nel campo delle infrastrutture portuali, della sorveglianza marittima e del supporto alle forze di polizia locali.94  

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Un aspetto importante da sottolineare è che molti di questi accordi sono stati negoziati in modo riservato, con una limitata consultazione dei parlamenti locali o delle società civili. Ciò ha sollevato critiche interne e alimentato il sospetto che tali intese rispondano più agli interessi strategici di Pechino che alle reali esigenze dei paesi insulari.95 In alcuni casi, come per l’accordo Cina-Isole Salomone, si sono registrate proteste e sommovimenti nel panorama politico nazionale, a dimostrazione dell’impatto profondo che tali intese possono avere sugli equilibri interni.96 

Inoltre, la Cina ha cercato di estendere la portata dei suoi accordi promuovendo una cornice multilaterale di cooperazione sulla sicurezza, con l’obiettivo – almeno parzialmente fallito – di firmare un patto regionale con dieci stati del Pacifico durante la visita del ministro degli Esteri Wang Yi nel 2022. Anche se la proposta è stata respinta da diversi paesi, essa ha messo in luce l’ambizione cinese di strutturare una rete di sicurezza alternativa e di lungo periodo nel Pacifico meridionale.97 

Infine, vari memorandum siglati con i Sip includono disposizioni relative alla sicurezza dei dati, alla gestione delle infrastrutture critiche e all’uso di tecnologie digitali, ambiti in cui la cooperazione con la Cina solleva ulteriori interrogativi circa la protezione della privacy, la libertà di informazione e la sovranità digitale dei partner insulari.98 

Le Isole Cook e il nuovo paradigma della cooperazione sino-pacifica  

Il 2024 ha segnato un ulteriore passo avanti nella strategia cinese nell’area, con la firma di un insieme articolato di accordi con le Isole Cook. Questi includono assistenza tecnica, sviluppo del turismo, investimenti in energia rinnovabile e cooperazione nei settori della governance e della pubblica amministrazione.99 Particolarmente rilevante è la dimensione della cooperazione in materia di polizia e sicurezza interna: la presenza di funzionari cinesi per attività di formazione e sostegno logistico è stata percepita da alcuni analisti come preludio a una potenziale estensione della presenza operativa cinese nella regione.100  

A rafforzare l’importanza di questi sviluppi è il fatto che le Isole Cook, pur essendo associate alla Nuova Zelanda, godono di autonomia significativa in materia di politica estera, e rappresentano quindi un interessante caso di studio per comprendere fino a che punto gli stati del Pacifico intendano diversificare le proprie relazioni strategiche.101 L’iniziativa cinese di sviluppo delle infrastrutture per la comunicazione digitale – alla quale la Nuova Zelanda ha prontamente opposto il proprio veto – evidenzia, infatti, una strategia di progressiva integrazione nel tessuto economico e istituzionale del paese.102 

Inoltre, secondo quanto riportato da osservatori regionali, la Cina avrebbe espresso interesse ad esplorare forme di collaborazione più avanzate con le Isole Cook anche in settori sensibili quali la gestione delle risorse marine, il controllo dei traffici marittimi e l’implementazione di tecnologie per la sorveglianza costiera.103 Questi elementi indicano un’espansione graduale ma mirata, capace di accrescere l’interdipendenza tra le autorità locali e Pechino.104 

Infine, la reazione di altri attori regionali a tali sviluppi è stata misurata ma vigile: la Nuova Zelanda ha intensificato il dialogo con i propri soggetti associati e ha ribadito l’importanza della trasparenza e della responsabilità nei rapporti internazionali dei Sip.105 Nel frattempo, le Isole Cook si propongono come esempio emblematico di come i piccoli stati oceanici cerchino di sfruttare la concorrenza tra potenze maggiori per massimizzare i benefici economici e infrastrutturali, preservando al contempo margini di manovra diplomatica.106 

Implicazioni geopolitiche e reazioni internazionali  

La crescente proiezione cinese ha suscitato risposte differenziate da parte della comunità internazionale. Gli Usa, in particolare, hanno riconfigurato la propria strategia per il Pacifico, rafforzando la presenza diplomatica e politica e rilanciando gli Accordi di libera associazione (Compact of free association, Cofa), strumenti attraverso cui Washington garantisce sostegno economico, difesa e accesso a servizi federali in cambio di diritti strategici in materia di sicurezza e difesa nei territori degli Stati Federati di Micronesia, delle Isole Marshall e di Palau. La superpotenza americana ha inoltre rafforzato la propria presenza militare e logistico-infrastrutturale nella regione, firmando nuovi accordi di cooperazione e riaprendo sedi diplomatiche precedentemente dismesse.107 Tuttavia, con l’avvento di Donald Trump, si sono registrate significative ricadute sull’influenza statunitense nella regione: la riformulazione delle politiche ambientali, i tagli alla cooperazione allo sviluppo – inclusi i fondi di Usaid destinati al Pacifico – e l’inquadramento politico dei pacchetti di aiuti Cofa nel dibattito congressuale statunitense hanno sollevato interrogativi sulla continuità e l’affidabilità dell’impegno americano.108 

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In parallelo, nel 2022 è stato lanciato il Partenariato per il Pacifico blu (Partners in the blue Pacific, Pbp), un’iniziativa promossa congiuntamente da Usa, Australia, Nuova Zelanda, Giappone e Regno Unito, con l’obiettivo dichiarato di rafforzare l’impegno collettivo nella regione e offrire ai Sip un’alternativa concreta alla cooperazione cinese.109 Anche l’Unione Europea, sebbene in modo meno visibile, ha incrementato l’assistenza tecnica e i fondi destinati alla resilienza climatica, alla sicurezza alimentare e alla trasformazione digitale.110  

L’Australia, attore storico di primo piano nella regione, ha reagito con fermezza. Oltre ad aumentare significativamente lo stanziamento per la cooperazione allo sviluppo, Canberra ha ampliato le attività del dipartimento degli Affari Esteri e del Commercio nella regione, intensificando visite ufficiali, progetti di formazione e assistenza tecnica.111 Un’attenzione particolare è stata riservata al rafforzamento della sicurezza marittima e alla promozione di meccanismi multilaterali inclusivi.112 

Tuttavia, nonostante gli sforzi congiunti, vi è una crescente consapevolezza tra gli osservatori regionali che molte iniziative occidentali siano reattive e talvolta scoordinate, mentre la Cina beneficia di un approccio percepito come più coerente e orientato ai bisogni immediati delle leadership locali.113 Inoltre, il discorso strategico cinese, incentrato sulla non-interferenza e sul rispetto della sovranità, trova eco presso élite politiche desiderose di ampliare le relazioni di partenariato.114 

Infine, l’intensificarsi delle attività cinesi e delle contromosse occidentali ha posto nuove sfide al fragile equilibrio regionale. Gli stessi stati insulari manifestano la necessità di non essere ridotti a pedine della competizione globale, ma di essere protagonisti, capaci di esercitare un’autonoma capacità di azione e di orientare gli interventi stranieri verso le priorità nazionali.115 Questa dinamica sta portando a una crescente istituzionalizzazione della cooperazione regionale, come dimostrato dal rinnovato attivismo del Pacific islands forum (Pif) – la principale organizzazione politica e di cooperazione della regione – e dalle dichiarazioni congiunte in favore di un Pacifico “sicuro, resiliente e indipendente”.116 

Sovranità, attori locali e diplomazia del bilanciamento  

Contrariamente a una visione riduttiva che li rappresenta come figure passive nella geopolitica globale, i paesi insulari del Pacifico dimostrano una notevole agilità strategica.117 Le élite politiche locali sfruttano la competizione geopolitica tra potenze per ottenere risorse e visibilità, mantenendo al contempo una politica di “amici di tutti, nemici di nessuno”, una dottrina che riflette la volontà di restare equidistanti e aperti alla cooperazione senza preclusioni.118 In particolare, nazioni come Figi, Samoa e Papua Nuova Guinea cercano di affermare una diplomazia autonoma, centrata sulle priorità nazionali: sviluppo sostenibile, adattamento climatico, gestione delle risorse marine e accesso alle tecnologie digitali.119 Tuttavia, l’ingresso di attori esterni nella sfera della sicurezza e della governance locale pone sfide significative alla tenuta istituzionale e alla coerenza interna delle politiche nazionali. È in questo contesto che si gioca la dialettica tra attrazione dell’assistenza esterna e rischio di condizionamento strategico.120 

A ciò si aggiunge una crescente attenzione dei governi insulari alla necessità di rafforzare i propri strumenti negoziali e le capacità istituzionali per gestire con cognizione la crescente offerta di partenariati. In diversi paesi, si moltiplicano le richieste da parte della società civile e dei parlamenti nazionali per una maggiore trasparenza nella stipula di accordi internazionali, specialmente in ambiti sensibili come la sicurezza, le attività estrattive nei fondali marini e la digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni.121 

Inoltre, emerge con sempre maggiore evidenza il ruolo delle organizzazioni regionali nel fornire piattaforme di confronto e coordinamento per i Sip.122 Tali organismi non solo contribuiscono a rafforzare la coesione tra gli stati membri, ma offrono anche uno spazio multilaterale attraverso cui filtrare e negoziare le proposte di controparti esterne.123 Il rilancio della “Strategia 2050 per il continente blu del Pacifico” (2050 Strategy for the Blue Pacific Continent) – il documento adottato dai membri del Pif per definire una visione strategica condivisa dello sviluppo, della sicurezza e della sostenibilità dell’area fino alla metà del ventunesimo secolo – rappresenta un esempio concreto dell’intento collettivo di affermare una visione autoctona, sostenibile e autonoma dello sviluppo regionale.124 

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Infine, si assiste a una crescente consapevolezza strategica da parte delle nuove generazioni di leader e funzionari pacifici, molti dei quali formatisi all’estero, che mostrano una maggiore sensibilità alle implicazioni geopolitiche degli accordi internazionali.125 Questi attori emergenti giocano un ruolo chiave nel promuovere un’agenda di sviluppo inclusiva e fondata sui diritti, nella quale la diversificazione dei referenti internazionali viene affiancata dalla salvaguardia della sovranità nazionale e dalla tutela degli interessi delle comunità locali.126 

Nuove frontiere della competizione: estrazione mineraria nei fondali oceanici e tecnologie digitali  

Un ambito emergente di competizione riguarda le attività estrattive nei fondali oceanici (deep-sea mining). paesi come Nauru, Isole Cook e Kiribati si stanno coordinando con attori cinesi per l’esplorazione di noduli polimetallici, fondamentali per le tecnologie verdi.127 Questa frontiera pone interrogativi ambientali rilevanti e richiede un nuovo quadro normativo multilaterale.128 La mancanza di una governance internazionale efficace nel settore della ricerca e utilizzo di minerali sottomarini solleva crescenti preoccupazioni da parte delle organizzazioni ambientaliste e degli attori regionali.129 Alcuni stati insulari, come Palau, Tuvalu e Figi, si sono espressi contro l’attività estrattiva nei fondali marini, promuovendo una moratoria temporanea per valutare gli impatti ecologici a lungo termine. Questa divergenza tra paesi favorevoli e contrari riflette l’assenza di una posizione condivisa tra i Sip e rischia di alimentare tensioni interne alla regione.130 

Parallelamente, la Cina sta promuovendo il suo primato tecnologico nella regione, offrendo infrastrutture digitali, sistemi di sorveglianza e modelli di governance informatizzata, spesso in contrasto con i principi di trasparenza e tutela dei dati promossi dagli standard occidentali.131 Attraverso aziende statali e semi-statali, Pechino ha fornito sistemi di telecomunicazione e piattaforme digitali per la gestione dei servizi pubblici e della sicurezza urbana, consolidando così una presenza difficile da scalzare nel breve periodo.132 

Questa espansione tecnologica cinese solleva interrogativi cruciali: chi controlla i dati raccolti? Quali sono le garanzie per i cittadini rispetto alla tutela dei dati personali e dei diritti nell’ambiente digitale? In assenza di normative locali solide, molti stati insulari rischiano di affidarsi a sistemi tecnologici esterni senza poter esercitare un controllo pieno su di essi.133 

Infine, la crescente convergenza tra tecnologie di estrazione sottomarina e digitalizzazione delle operazioni marittime pone nuove sfide alla governance regionale.134 La sorveglianza delle attività minerarie, il monitoraggio della biodiversità marina e la sicurezza delle infrastrutture digitali richiederanno strumenti sofisticati e cooperazione multilivello. In tale contesto, la possibilità che la Cina detenga contemporaneamente capacità tecnologiche, risorse finanziarie e accesso a dati strategici preoccupa le controparti occidentali e rende urgente un’azione coordinata e strutturata a livello internazionale.135 

Equilibri emergenti e priorità regionali 

Le relazioni sino-pacifiche stanno ridefinendo le geografie strategiche dell’oceano Pacifico. L’assertività cinese – attraverso accordi bilaterali, progetti infrastrutturali, iniziative culturali e cooperazione sulla sicurezza – ha modificato la postura delle grandi potenze regionali e ha ridefinito le priorità politiche dei paesi insulari.136 Tuttavia, questo mutamento non deve essere letto come un processo unidirezionale o deterministico. Da una parte, la risposta delle potenze tradizionalmente attive nel Pacifico – in particolare Usa, Australia e Nuova Zelanda – evidenzia una volontà crescente di rinnovare le proprie strategie di coinvolgimento nella regione.137 Di converso, l’emergere di una nuova generazione di leader politici e amministratori nei paesi insulari evidenzia la crescente capacità di questi ultimi di esercitare un ruolo attivo, formulare politiche autonome e orientare le dinamiche dell’interazione internazionale.138 La sfida per la stabilità regionale sarà quindi duplice: da un lato, evitare una polarizzazione che riproduca logiche da Guerra fredda; dall’altro, garantire che i progetti di cooperazione – sia cinesi che occidentali – rispondano realmente alle istanze delle popolazioni locali e rafforzino le capacità istituzionali degli stati.139 In prospettiva, le nuove frontiere di competizione – sfruttamento delle risorse minerarie sottomarine, infrastrutture digitali, sicurezza marittima – richiederanno strumenti di gestione coordinata e su più livelli, con una forte attenzione alla dimensione ambientale e sociale dello sviluppo. La comunità internazionale, incluse le organizzazioni regionali e multilaterali, dovrà impegnarsi per creare meccanismi di cooperazione inclusivi, trasparenti e rispettosi delle diversità culturali e istituzionali dei Sip.140 

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Infine, la traiettoria futura delle relazioni tra la Cina e gli stati insulari del Pacifico sarà fortemente influenzata dalla capacità collettiva – a livello regionale e globale – di costruire un ordine marittimo cooperativo, resiliente e ancorato al diritto internazionale.141 In questo scenario, i Sip non saranno soltanto oggetto della competizione tra potenze, ma soggetti determinanti nella costruzione del loro futuro.142 


75 P. Connolly, “China’s Quest for Strategic Space in the Pacific Islands”Mapping China’s Strategic Space, The National Bureau of Asian Research, 16 gennaio 2024. 

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78 P. Srinivasan, V. Harrison, “Mapped: the vast network of security deals spanning the Pacific, and what it means”, The Guardian, 9 luglio 2024. 

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Contributi per le imprese

 

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Contabilità

Buste paga

 

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Microcredito

per le aziende

 

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