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Lo Stato spende troppo o troppo poco?


Nel dibattito pubblico italiano si ripete spesso che lo Stato spende troppo, che la pressione fiscale è insostenibile, che serve «meno Stato». Ma i numeri dicono altro e il confronto con Gran Bretagna, Francia e Spagna ce lo mostra.

Finanziamo agevolati

Contributi per le imprese

 

CONFRONTO TRA ITALIA E REGNO UNITO
Nel Regno Unito la sanità è pubblica, gratuita, e finanziata dalla fiscalità generale. I contributi sociali (National Insurance) sono più bassi e in larga parte proporzionali al reddito. Le imprese pagano Business Rates, ma se non producono reddito o sono piccole, godono di ampie esenzioni.

In Italia invece welfare è finanziato quasi interamente tramite contributi sul lavoro (oltre il 40% tra datore e lavoratore).
I Comuni sopravvivono con IMU e addizionali, perché lo Stato centrale ha tagliato i trasferimenti ma pretende che garantiscano servizi minimi.
Le imprese pagano imposte anche sugli immobili inutilizzati, senza proporzione con il reddito e anche se stanno in perdita. L’inattività non è una scusante: l’IMU arriva comunque.

Il grande scaricabarile 
Nel tempo, i governi italiani hanno adottato una logica costante: spesa pubblica centralizzata, entrate decentrate e parziali, con l’effetto di costringere Comuni e privati a colmare il buco.

Alcuni esempi.

Sconto crediti fiscali

Finanziamenti e contributi

 

-  L’abolizione dell’ICI sulla prima casa (2008) ha avuto come effetto un buco nei bilanci comunali; i governi successivi hanno semplicemente tagliato i trasferimenti compensativi.

-  Le imprese, anche piccole, non possono dedurre integralmente l’IMU dal reddito d’impresa, contrariamente alla logica economica.

-  La sanità è formalmente pubblica, ma chi può paga visite e analisi privatamente — e chi non può, attende mesi.

Questo sistema ha prodotto almeno due esiti disastrosi:
– Il lavoro irregolare come scelta razionale.
Se assumere un lavoratore costa il doppio del netto in busta, è ovvio che piccole imprese e famiglie cercano “scorciatoie”. Non è solo evasione: è sopravvivenza in un sistema che penalizza ol tre misura la regolarità.

Il nanismo imprenditoriale strutturale.
In Italia le imprese restano piccole non per mancanza di ambizione, ma perché superare certe soglie (dipendenti, fatturato, metri quadri) significa saltare su un altro gradino fiscale. Non si cresce anche perché lo Stato ti tassa di più, ti controlla di più, è lentissimo e ti offre poco in cambio. I Paesi al nostro confine Nord, lo sanno bene e si sono organizzati per fare alle imprese italiane proposte di trasferimento.

In UK lo Stato si assume il compito di sostenere le fondamenta del sistema. In Italia lo Stato le appalta al mercato, alle famiglie, ai Comuni.

 

CONFRONTO TRA ITALIA E FRANCIA

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Lo Stato francese è uno Stato forte che investe. I contributi sociali sono alti ma ben redistribuiti: la Francia ha un sistema simile all’Italia per carico sul lavoro, ma il welfare restituisce molto in termini di sussidi, coperture, indennità e servizi.

Servizi pubblici realmente gratuiti: la sanità e la scuola sono di alta qualità e accessibili davvero, quindi il cittadino “vede” il ritorno della spesa pubblica.

Debito pubblico alto (111% del PIL), ma con PIL in crescita: lo Stato francese investe, sostiene la domanda interna e mantiene un apparato pubblico efficiente e centrale (forte ruolo dello Stato imprenditore, spesso a danno anche dell’Italia).

Fiscalità territoriale più equilibrata: le imposte locali esistono, ma non schiacciano i piccoli proprietari. Le imprese hanno più margine operativo, e i comuni ricevono trasferimenti stabili dallo Stato.

Risultato: economia con imprese medio-grandi, sindacati forti, crescita più stabile.

 

CONFRONTO TRA ITALIA E SPAGNA

Finanziamenti e agevolazioni

Agricoltura

 

La Spagna è simile all’Italia, ma meno punitiva, con contributi sociali leggermente inferiori (≈30% complessivi) e fiscalità più semplice per le microimprese (regimi agevolati veri).

Meno burocrazia, meno pressione sui piccoli operatori: semplificazioni concrete, soprattutto per chi sta sotto soglie di fatturato.

L’ IMU (IBI in Spagna) c’è, ma è più proporzionata e spesso calcolata in modo più favorevole per immobili non produttivi o sfitti.

Maggiore autonomia delle Regioni, ma con uno Stato centrale che non taglia così tanto i fondi ai Comuni, come accade in Italia.

Debito più basso dell’Italia (≈108% del PIL) e migliore gestione del bilancio post-Covid, grazie anche a una crescita trainata dal turismo e dalle riforme del mercato del lavoro.

Risultato: economia con maggiore informalità ma anche con più flessibilità e meno penalizzazioni fiscali a chi vuole crescere.
 

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CONCLUSIONI?
Il più grande paradosso è che il sistema italiano fallisce anche per chi lo impone. Infatti lo Stato non solo è inefficiente, ma è anche cronicamente indebitato. Il debito pubblico è prossimo a 3.000 miliardi di euro, e una fetta sempre più grande del bilancio statale se ne va in interessi passivi, oggi oltre il 30% del gettito fiscale complessivo.

Un punto cruciale e poco discusso nel dibattito pubblico è questo: lo Stato italiano, al netto degli interessi sul debito, è in attivo, ma l’eredità del debito accumulato — e la sua pessima gestione — lo trascina costantemente in deficit.
E questo si collega perfettamente alla svendita del patrimonio pubblico che ha impoverito il Paese senza risolvere nulla.

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Fonti
– Eurostat: fornisce dati armonizzati su entrate, spese, deficit e debito pubblico.
– OCSE, Revenue Statistics: confronta la composizione delle entrate fiscali (imposte dirette, indirette, contributi sociali).
– Commissione Europea – Rapporto annuale su fiscalità e spesa pubblica.

- UPB (Ufficio parlamentare di bilancio) e Banca d’Italia pubblicano confronti con altri Paesi europei.





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