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Referendum, Landini: “abbiamo fatto una cosa straordinaria, per la Cgil questo è un nuovo inizio”. Il segretario parla al gruppo dirigente e detta la linea post voto


Quando Maurizio Landini entra nel salone di Via dei Frentani dove lo attende il gruppo dirigente della Cgil, alla fine di una giornata scandita da attese, dati, conferenze stampa e dozzine di interviste, lo accoglie un lungo applauso. “Anche meno”, replica lui con una battuta: ‘’e se avessimo vinto, che facevate?”. No, non ha vinto, la Cgil: e peraltro Landini è stato l’unico dei leader referendari ad ammetterlo subito, senza mezzi termini: “dobbiamo fare i conti con la realtà: il nostro obiettivo era il quorum, e non lo abbiamo colto. Nessuna vittoria da festeggiare”. Tuttavia non c’è un clima di sconfitta qui, tra il gruppo dirigente cigiellino, anzi. E se davanti alle telecamere e alla stampa il leader Cgil ha mantenuto un profilo istituzionale, adesso il tono è diverso, più rilassato e quasi entusiasta: “Siamo contenti e fieri di quello che abbiamo fatto: sapevamo che era difficile, ma non abbiamo avuto paura, siamo stati coraggiosi, tutti assieme. Abbiamo riportato il lavoro al centro del dibattito politico del paese”, scandisce Landini rivolto ai suoi. Ci sono, ad ascoltarlo, tutti i membri della segreteria, i responsabili delle categorie, i dirigenti che più hanno lavorato per la campagna e anche quelli che erano, fin dall’inizio, meno convinti, ma che ugualmente hanno fatto la loro parte. Ed è in questo momento ‘’intimo’’ della Cgil che emergono le cose più interessanti, quelle che meglio fanno capire in quale direzione intende muoversi la confederazione post referendum. Perché, quorum o meno, ci sono stati 15 milioni di votanti, e di questi, sottolinea Landini, quasi il 90% si è espresso ‘’a sostegno dei nostri quesiti’’.

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‘’All’inizio di questa partita vi avevo detto che ognuno di noi avrebbe dovuto convincere almeno altre 5 persone, ma a quanto pare ci siamo fermati a 3’’, scherza ancora il segretario tra risate e applausi. Tre ciascuno, moltiplicato per cinque milioni, cioè gli iscritti alla Cgil, e il risultato è appunto quei 15 milioni di votanti. Che non sarebbe esagerato attribuire – non tutti forse, ma quasi tutti- allo sforzo gigantesco messo in campo dalla confederazione, in mesi nei quali ogni singolo dirigente ha macinato chilometri su e giù per l’Italia, ciascuno con la sua ‘’zona’’ da conquistare al voto, con migliaia di incontri, assemblee, volantinaggi, porta a porta, ogni genere di iniziative prodotte dai comitati territoriali per i referendum, aperti praticamente in ogni comune. Assai meno si sono dati da fare i partiti che hanno deciso di appoggiare i referendum fino a impossessarsene (con effetti non esattamente positivi, si direbbe), cosi come l’altro sindacato coinvolto, la Uil, il cui contributo si è limitato a un appello generico al voto, per di più con alcune differenziazioni rispetto ai quesiti.

Il mancato quorum lascia dunque in dote alla Cgil una base di elettori importante, quella che Landini definisce ‘’un patrimonio da non disperdere: queste persone che sono andate a votare per la stragrande maggioranza sono d’accordo con le nostre proposte. E per quello che ci riguarda, questo non può che essere un nuovo inizio: 14 milioni di persone sono andate a votare in un paese che non vota, un paese dove l’anno scorso, alle europee, la maggioranza non ha votato, se fossero state un referendum non sarebbero state valide”. E questo porta a un altro problema: “la crisi della democrazia” che, per Landini, “e’ sotto gli occhi di tutti”. Per questo, ‘’ penso che sia irresponsabile continuare a invitare al non voto, invece di confrontarsi sulle cose’’.

Il rammarico maggiore della Cgil è proprio che la politicizzazione abbia messo da parte il merito: ‘’ho sentito leader politici invitare all’astensione ma non saper dire quali fossero i quesiti referendari”, sottolinea Landini. Una politicizzazione che è indubbiamente partita dalla destra, ma è anche vero che la sinistra, come si dice a Roma, ci è immediatamente caduta con tutte le scarpe. Landini però non lo dice, anzi, glissa con eleganza le domande sul tema. Ma si sa che le esternazioni del Pd, i mirabolanti conteggi ‘’un voto più della Meloni’’, lo hanno molto irritato; in Cgil si considera questa polarizzazione ‘’pro o contro’’ il governo una delle ragioni della bassa affluenza alle urne. E anche se nessuno, nel sindacato, ha davvero mai creduto fino in fondo nel quorum, specie dopo l’eliminazione del quesito sull’autonomia differenziata, almeno nessuno ha avuto la sventatezza di dirlo pubblicamente. Ieri pomeriggio, in attesa della chiusura delle urne, tra i dirigenti cigiellini si intrecciavano le scommesse sul risultato: sotto il trenta per cento per i pessimisti, sopra per i più ottimisti. Per tutti, l’importante era raggiungere la ‘’soglia psicologica’’ del ‘’tre davanti’’. Ma sono cose che si dicono in privato, non sulle piazze, dove l’unica parola d’ordine è sempre stata una sola: “quorum”.

E quindi, adesso che il quorum è fallito, che si fa? “Io – risponde Landini- penso che questo lavoro che abbiamo fatto, questa rete di comitati a ogni livello che abbiamo costruito, allargandoci a un mondo più vasto, che va dall’associazionismo alle parrocchie, imparando soprattutto anche ad ascoltare, sia un patrimonio che abbiamo messo assieme, e che deve restare. E questo significa anche che va cambiato il nostro modo di lavorare: non si può tornare a prima del referendum, dobbiamo trovare il sistema di tenere assieme tutto questo, continuare a farlo vivere’’. Momento di sbandamento in platea, forse i dirigenti temendo di dover riprendere il micidiale tour de force H24 che ha contraddistinto gli ultimi mesi. Landini tranquillizza (un po’ di pausa potranno prendersela), ma insiste: “Abbiamo bisogno di cambiare, far si che quello che abbiamo fatto in questo mese e mezzo diventi la nostra pratica quotidiana. Per rispondere ai 14 milioni di elettori, e soprattutto ai tanti giovani che abbiamo incontrato e che sono andati a votare. Abbiamo fatto una cosa straordinaria, che non può finire qui. Dobbiamo fare in modo che le nostre camere del lavoro, le categorie, i territori, svolgano quella funzione che siamo stati capaci di svolgere in questi mesi. Non c’è nessun altro che possa fare un lavoro del genere, e nessuno che come noi abbia la forza per farlo. E dobbiamo iniziare subito, prima delle ferie, non a settembre’’.

L’esperienza del referendum, insiste, “ci indica una strada importante dalla quale non dobbiamo tornare indietro. E non per sostituirci a questa o quella forza politica, ma per fare in modo che la politica torni a occuparsi di questi temi: del lavoro, della precarietà”. E poi, per recuperare i cittadini alla fiducia nelle urne: ‘’per troppi ancora non c’è la consapevolezza che il voto possa essere lo strumento per cambiare le cose. Per questo, sento la necessità, non solo con i nostri gruppi dirigenti, ma anche con quei 14 milioni di persone che hanno votato, di allargare la nostra azione e la nostra capacità di incidere’’.

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Poi, certo, bisognerà anche valutare ‘’cosa è successo’’. L’analisi della sconfitta, in altre parole. Nessun ‘’processo interno’’, giura Landini, ma ‘’tutti assieme dobbiamo valutare cosa di bello abbiamo fatto, e cosa invece non abbiamo capito, e che si poteva migliorare’’. E a proposito: “qualcuno dei giornalisti, poco fa, mi ha chiesto se siamo più deboli, se penso di dimettermi: e no, non mi sento affatto più debole e no, a dimettermi non ci penso proprio”. Intanto, tra pochi giorni ci sarà un’occasione di mostrare se la Cgil post voto è più debole o più forte: il 26 ci sarà l’incontro già fissato in Confindustria, per un confronto sui temi del lavoro, della sicurezza, della precarietà, che vedrà coinvolte anche Cisl e Uil. Cisl e Uil che, va detto, Landini in questi giorni non ha mai nemmeno lontanamente nominato.

Nunzia Penelope



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