I Paesi del G7 non hanno rispettato l’impegno di eliminare gradualmente i sussidi ai combustibili fossili entro il 2025. Secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale, nel 2023 il volume complessivo di questi sussidi ha raggiunto 1.360 miliardi di dollari, rispetto ai 1.180 miliardi del 2016, con un incremento del 15%.
I Paesi membri del G7 – Stati Uniti, Canada, Giappone, Germania, Francia, Italia e Regno Unito – insieme rappresentano circa il 30% della domanda energetica globale e il 25% delle emissioni di CO₂, per questo il loro rallentamento nel rispettare gli impegni e le tempistiche di decarbonizzazione rischia di vanificare gli sforzi compiuti finora, compromettendo il percorso verso la transizione energetica e l’obiettivo di limitare l’aumento della temperatura media globale, come stabilito dagli accordi internazionali.
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L’Italia è il Paese che ha mantenuto meno la parola
L’Italia è il Paese che ha maggiormente ignorato l’impegno di ridurre i sussidi ai combustibili fossili. Nel 2023 i sussidi italiani sono ammontati a 46,1 miliardi di dollari, rispetto al 2016 – anno in cui i sussidi raggiunsero quota 17,4 miliardi di dollari – l’aumento è del 166%.
Chi invece ha dato seguito alla sua parola è stato il Canada, l’unico Paese del G7 che ha rispettato i suoi impegni, riducendo il volume dei sussidi dal 2016 al 2023, passando da 43,9 miliardi di dollari a 39,0 miliardi, una diminuzione dell’11%.
L’incremento registrato dall’Italia non è un caso isolato, ma fa parte di una tendenza diffusa tra i Paesi del G7. La Germania ha aumentato i sussidi dai 76,2 miliardi di dollari del 2016 ai 113,6 miliardi del 2023, con un incremento del 49%. Francia e Giappone hanno registrato crescite rispettive del 40% e del 37%. Anche il Regno Unito ha aumentato i propri sussidi, con 10,4 miliardi di dollari in più rispetto al 2016, pari a un incremento del 22%.
Il dato più alto in termini assoluti spetta però agli Stati Uniti, che nel 2023 hanno destinato 789 miliardi di dollari ai sussidi fossili. Tuttavia, rispetto ai 768 miliardi del 2016, l’aumento è stato relativamente contenuto, pari al 3%.
Spostare i soldi dai sussidi ai combustibili alle rinnovabili
La pandemia di COVID-19 ha temporaneamente ridotto i sussidi grazie al calo dei consumi energetici, ma la crisi dei prezzi dell’energia, acuita dalla guerra in Ucraina, ha spinto diversi Paesi del G7 a reintrodurre sussidi sostanziali per proteggere i consumatori e le imprese dall’impennata dei prezzi di gas e petrolio. Gli interventi, inizialmente previsti come temporanei, sono stati progressivamente eliminati, tuttavia in alcuni Paesi, come il Giappone, sono stati addirittura estesi. È evidente come persistano forti pressioni politiche nel mantenere il sostegno pubblico a un settore – quello dei combustibili fossili – ritenuto ancora strategico per la stabilità economica e il benessere sociale. La sfida, oggi, è trovare un equilibrio tra la necessità di tutelare cittadini e imprese dagli shock dei prezzi energetici e l’urgenza di accelerare la transizione verso un sistema energetico più sostenibile.
È fondamentale proteggere cittadini e imprese dall’aumento dei prezzi di carburanti e riscaldamento, ma senza bloccare il cammino verso un sistema energetico più sicuro e sostenibile. Continuare a dipendere da petrolio e carbone espone l’economia a rischi sempre maggiori, legati sia alla volatilità dei mercati sia alla crisi climatica. Le energie rinnovabili, l’efficienza energetica e nuovi modelli di mobilità rappresentano, nel lungo periodo, l’unica via per ridurre questi rischi. Reindirizzare gradualmente i sussidi verso queste alternative è quindi una scelta strategica, che deve essere accompagnata da misure di protezione per le fasce più vulnerabili, così da rendere la transizione equa e socialmente sostenibile.
Nel 2022, le fonti rinnovabili coprivano solo il 28,5% della produzione elettrica nei Paesi del G7, un dato che evidenzia quanto il cammino verso un sistema energetico pulito sia ancora lungo. Tuttavia, secondo diverse analisi internazionali, un sistema basato al 100% su fonti rinnovabili – eolica, solare e idroelettrica – potrebbe soddisfare interamente la domanda globale di energia tra il 2050 e il 2052. Questa transizione consentirebbe di ridurre del 56% il consumo energetico finale, abbattere i costi energetici privati del 62% e quelli sociali – inclusi gli impatti sanitari e climatici – di oltre il 90%. Inoltre, creerebbe circa 28 milioni di posti di lavoro a livello globale. Questi dati dimostrano che investire oggi nelle alternative sostenibili non è solo una scelta ambientale, ma anche economica e sociale, in grado di ridurre la vulnerabilità del sistema energetico e offrire benefici concreti a lungo termine.
Il ruolo della finanza nella transizione verso un’economia verde
Il cambiamento climatico rappresenta un rischio concreto per l’economia e la stabilità dei prezzi, generando sia rischi fisici, come tempeste e inondazioni, sia rischi di transizione legati alle normative e alle trasformazioni di mercato che le imprese devono affrontare per mantenersi competitive. In questo contesto, la finanza può e deve giocare un ruolo determinante: indirizzare i capitali verso progetti sostenibili significa accelerare la transizione energetica e favorire lo sviluppo di un’economia più verde e responsabile.
Integrare le considerazioni climatiche negli investimenti non è solo una risposta necessaria per contrastare la crisi climatica nel lungo periodo, ma rappresenta anche un’opportunità strategica per anticipare i cambiamenti e guidare l’innovazione. Questo approccio richiede un cambiamento di paradigma e una visione a lungo termine, in cui la trasparenza e la rendicontazione climatica assumono un’importanza crescente.
Etica Sgr, sin dalla sua fondazione nel 2000, ha posto la finanza responsabile al centro della propria missione, proponendo esclusivamente investimenti etici. La società esclude dai propri fondi le aziende attive nei settori del carbone e del petrolio, promuovendo invece buone prassi ambientali e una maggiore trasparenza da parte delle imprese. L’obiettivo è orientare i capitali verso attività che generino un impatto positivo, non solo per l’ambiente, ma anche per le persone.
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