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Una mini biografia finanziaria di Andrea Pignataro, il secondo uomo più ricco d’Italia


Il secondo uomo più ricco d’Italia a cui era contestata un’evasione fiscale di 1,2 miliardi di euro ha chiuso un accordo con l’Agenzia delle entrate per una somma di 280 milioni di euro dilazionata in cinque anni.

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Si tratta di Andrea Pignataro che in realtà ha passaporto britannico e residenza a Sankt Moritz, con un patrimonio personale stimato in oltre 30 miliardi di dollari: una figura poco seguita dalle cronache a parte la pomposa definizione di “Bloomberg italiano” utilizzata per qualificarlo da Stefano Cingolani sulle pagine de Il Foglio.

La biografia di Pignataro presenta alcuni aspetti assai significativi per comprendere come funziona una parte non trascurabile del nuovo capitalismo finanziario. La sua fortuna ha origine con la creazione di Ion, nel 1999, una realtà creata insieme alla banca d’affari Salomon Brothers che si occupava e si occupa di gestione dei dati con finalità di trading finanziario. Proprio questo elemento, il rapporto stretto con la raccolta e l’utilizzo di dati finanziari, costituisce uno dei tratti distintivi dell’azione di Pignataro che ha mostrato di credere molto nella natura decisiva dell’informazione finanziaria, in chiave professionale, ma in realtà diretta anche al sempre più vasto mondo dei neofiti della finanza, considerando tale platea nei termini dei clienti affamati di notizie e, al contempo, dei possibili acquirenti di prodotti finanziari suggeriti da quella medesima informazione.

Non a caso lo stesso Pignataro ha investito in società che lavorassero sugli strumenti finanziari, offrendo margini di remunerazione molto alta a fronte di esposizioni al rischio altrettanto accentuate, per quanto non sempre chiarissime.

Così è avvenuto per List, la società creata ancora da Salomon Brothers, che aveva ad oggetto il trading dei titoli di Stato italiani e greci sul mercato secondario Mts e che Pignataro ha rilevato insieme al fondo hedge Endeavour Capital.

Così è accaduto per l’acquisizione della tormentata Prelios, guidata da Fabrizio Palenzona, che gestisce la compravendita di crediti incagliati, trasformandoli in prodotti finanziari, e nel caso di Cerved e Cedacri, dedite entrambe alla medesima attività di finanziarizzazione dei crediti in sofferenza. Peraltro, nell’ambito di Prelios, Pignataro si occupa della “riqualificazione” dell’ex area Falck, tra Milano e Sesto Sesto Giovanni, dove è in ballo la destinazione di un milione e mezzo di metri cubi.

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Appare chiaro quindi che il carattere dominante dell’esperienza del miliardario di Sankt Moritz è individuabile nella frequentazione costante di una dimensione decisamente artificiale della finanza, in una logica ingegneristica dei prodotti da trattare e a cui trovare compratori in un panorama di operatori che traggono dalle stesse società di Pignataro le informazioni a cui affidarsi.

Emergono poi due altri tratti della sua attività. Il primo è rappresentato dalla sua volontà di non utilizzare società quotate in Borsa: i suoi veicoli finanziari restano fuori dal mercato regolamentato e si muovono nel mare magnum della finanza hedge, con strutture giuridiche tanto semplici quanto poco lineari. Hanno pertanto poco a che fare con i regolatori istituzionali.

Questo non impedisce a Pignataro di aver acquisito partecipazioni importanti in Mps, in Illimity, la banca di Corrado Passera, dove ha il 9,4% e dove è il secondo azionista dopo Banca Sella, nel Fondo strategico italiano diretto da Maurizio Tamagnini, in cui detiene il 9,9% e dove è entrato all’uscita di Cassa depositi e prestiti, occupando uno spazio rilevante in uno degli strumenti più importanti del private equity italiano, e nella Cassa di Risparmio di Volterra, con una partecipazione del 34%, acquisita in un’operazione che ha visto coinvolte anche Banca del Fucino e Net Insurance di Poste italiane.

Il secondo tratto caratterizzante le attività di Pignataro è la sede fiscale e legale in Paesi in cui la pressione fiscale è inesistente: le due casseforti Bessel e Itt sono domiciliate infatti in Lussemburgo, mentre il quartier generale di Ion, dopo lo scioglimento della scatola finanziaria Ion Investment Capital, a seguito dell’uscita del fondo Carlyle, è saldamente collocato a Dublino, in Irlanda.

In estrema sintesi, il secondo uomo più ricco d’Italia non ha residenza italiana -una questione sulla quale pende un’indagine penale per residenza fittizia-, trae la propria fortuna dal binomio stretto tra controllo dei dati finanziari e ingegneria finanziaria, ha avuto un pessimo rapporto con il fisco del nostro Paese ma ha partecipazioni chiave in varie società di rilievo. A che punto è la notte del capitalismo?

Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento. Il suo ultimo libro è “Nelle mani dei fondi” (Altreconomia, 2024)

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