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Il Consiglio federale apre il pacchetto dei Bilaterali III: ‘necessità strategica’


Il Consiglio federale ha approvato venerdì i cosiddetti Bilaterali III, e li ha inviati in consultazione fino al 31 ottobre. Il pacchetto verrà poi trasmesso al Parlamento nel primo trimestre del prossimo anno. Relazioni stabili e prevedibili con l’Ue e i suoi Stati membri sono nell’interesse della popolazione, delle imprese e della ricerca, ha dichiarato il consigliere federale Ignazio Cassis a Berna in una conferenza stampa.

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“Oggi è una giornata importante, una tappa importante lungo il percorso della Svizzera per stabilizzare e modernizzare le proprie relazioni con l’Unione europea”, ha detto il ministro degli Esteri. Questi accordi non rappresentano una “svolta”, ma si iscrivono “nella continuità” della via bilaterale imboccata 25 anni fa con l’entrata in vigore del primo pacchetto.

Citando il proverbio arabo “chi vive in pace con i suoi vicini, può dormire senza paura”, il ticinese ha evocato anzitutto l’aspetto ‘sicurezza’, parlando di una “necessità strategica” alla luce dell’attuale contesto geopolitico. Quindi ha ricordato la valenza economica di accordi che garantiscono a un piccolo Paese come la Svizzera – per il quale le esportazioni rivestono notevole importanza – un accesso settoriale a un mercato da 450 milioni di persone (l’Ue è di gran lunga il nostro primo partner commerciale).

‘Indipendenza rafforzata’

Per quanto concerne l’indipendenza del paese, Cassis ha ribadito che “la Svizzera è uno Stato sovrano e ha negoziato nuovi accordi con l’Ue in modo sovrano”. Gli accordi rafforzano l’indipendenza invece di indebolirla. Il diritto dell’Ue viene adottato in modo dinamico, ma il Parlamento e il Consiglio federale hanno sempre l’ultima parola. I nuovi accordi prevedono regole chiare in caso di conflitti. Si tratta di un netto progresso rispetto alla situazione attuale.

La consultazione iniziata concerne i testi negoziati, le leggi di applicazione e le misure d’accompagnamento. Tutti questi documenti sono stati pubblicati venerdì. Si tratta, come spiegato dal Segretario di Stato presso il Dipartimento federale degli affari esteri (Dfae) Alexandre Fasel, di 1’889 pagine: 160 per le leggi, 799 per gli accordi e 930 per il rapporto esplicativo. “Le pagine che ho dovuto leggere sono in realtà 2800, considerando le varianti scartate”, ha detto Cassis. “È stato un lavoro immenso”, ma “appassionante”, ha precisato.

Un processo negoziale intenso

“È stato un processo di negoziazione intenso. Nessuna delle due parti ha fatto sconti”, ha affermato da parte sua il capo negoziatore svizzero Patric Franzen. Gli accordi – ha precisato – non incidono in alcun modo sulle competenze di Confederazione, Cantoni, Comuni, Parlamento e tribunali. L’ambasciatore ha sottolineato l’approccio settoriale adottato, che permette di definire chiaramente il campo di applicazione dell’adozione dinamica del diritto. La Svizzera è riuscita a negoziare importanti eccezioni che non sono soggette a quest’ultima.

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“L’immigrazione dall’Unione europea rimane orientata al mercato del lavoro”, ha puntualizzato il Segretario di Stato della migrazione (Sem) Vincenzo Mascioli. Solo chi ha un impiego può trasferirsi in Svizzera, e chi lo perde è obbligato a cercarne uno nuovo. “La Svizzera recepisce quindi solo parzialmente la direttiva Ue sulla cittadinanza”. “La Svizzera continuerà a puntare sul principio della parità salariale per lo stesso lavoro nello stesso posto”, ha aggiunto la direttrice della Segreteria di Stato dell’economia (Seco) Helene Budliger Artieda. Questo principio continuerà a essere controllato: la Svizzera ha inoltre potuto negoziare le eccezioni necessarie. E siamo “orgogliosi” per quanto abbiamo raggiunto.

Non c’è status quo

Cassis ha ricordato come si è arrivati agli ‘accordi del pacchetto concernente la stabilizzazione e l’ulteriore sviluppo delle relazioni tra la Svizzera e l’Unione europea’. Il punto di partenza è la rinuncia, nel maggio del 2021, a un accordo quadro istituzionale. In seguito a tale rinuncia “si è creata incertezza per l’economia, per la ricerca e la nostra gioventù”, ha detto il consigliere federale. “La via bilaterale era diventata fragile”, ha aggiunto.

Per il prosieguo il Consiglio federale ha così deciso di vagliare varie opzioni: aderire allo Spazio economico europeo o all’Ue, firmare un accordo di libero scambio di vasta portata, non fare niente oppure proseguire la via bilaterale. Quest’ultima opzione, che da 25 anni contribuisce in maniera determinante al successo della Svizzera, è stata ritenuta la più vantaggiosa. Invece, non fare nulla non sarebbe nell’interesse del Paese. La conseguenza non sarebbe lo status quo, ma una partecipazione sempre più limitata al mercato interno europeo, ha avvertito Cassis. Con questo pacchetto, ha poi sottolineato Cassis, si garantisce la partecipazione svizzera al mercato interno europeo in settori chiaramente definiti e cooperazioni in specifici ambiti di interesse, mantenendo il più ampio margine di manovra politico possibile.

Costi annui per un miliardo, ma…

Secondo quanto annunciato in aprile dal Governo, al Parlamento saranno presentati quattro decreti federali: uno per la stabilizzazione delle relazioni bilaterali e tre per il loro ulteriore sviluppo nei settori della sicurezza alimentare, dell’elettricità e della sanità. Alexandre Fasel ha poi detto che, con i Bilaterali III, gli atti giuridici dell’Ue con carattere legislativo rilevanti per la Confederazione sono 95. Per attuare gli accordi sono previste la modifica di 32 leggi svizzere (di cui 12 subiranno modifiche importanti e 20 solo adeguamenti di minore entità) e l’emanazione di tre nuove leggi.

L’accesso al mercato interno dell’Ue costa alla Svizzera circa un miliardo di franchi all’anno, ha indicato Ignazio Cassis, precisando che si tratta di un investimento sensato. Se le aziende svizzere possono vendere nel mercato dell’Ue, questo crea benessere. “L’accesso al mercato interno europeo non è gratis”, ha detto il ministro degli esteri. Oltre al contributo fisso di coesione di 350 milioni di franchi a partire dal 2030, ci saranno i costi annui per i programmi di ricerca dell’Ue (circa 650 milioni di franchi) e per il programma di scambio studentesco Erasmus plus (circa 165 milioni).

Rispondendo alle domande dei giornalisti, Cassis ha fatto notare che la Svizzera dovrebbe comunque investire, anche senza il pacchetto di accordi con l’Ue, “semplicemente con meno risultati”. Ad esempio: quando la Svizzera non ha potuto partecipare ai programmi di ricerca Horizon, anche ciò ha avuto il suo prezzo, ha sottolineato il ticinese.



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