Pace fiscale o taglio IRPEF? La scelta è necessaria perché la rottamazione delle cartelle non può finanziare la riduzione di aliquote o scaglioni
Il Fisco mette il Governo difronte a un bivio: bisogna scegliere qual è la strada da percorrere nell’immediato futuro tra pace fiscale e taglio IRPEF per il ceto medio.
La possibilità di recuperare le risorse per appiattire ulteriormente l’imposta sul reddito delle persone fisiche dalla rottamazione delle cartelle è esclusa: e le motivazioni sono almeno tre.
Il Governo davanti al bivio del Fisco: pace fiscale o taglio IRPEF? Servono le risorse
Mentre dal palco degli Stati Generali dei Commercialisti 2025 il 10 giugno la premier Giorgia Meloni riaccendeva i riflettori sul cantiere dell’IRPEF, il vicepremier Matteo Salvini tornava a parlare della nuova pace fiscale come di una priorità, anzi di una emergenza.
A riportare tutti e tutte con i piedi per terra il Ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti: tutto si può fare, ma per ogni nuovo passo avanti, servono prima di tutte le risorse, ha ribadito in più occasioni e con diverse formule negli ultimi giorni.
D’altronde la necessità di trovare delle coperture è l’unica, vera, priorità e la strada ipotizzata dal vicepremier e Ministro delle Infrastrutture non è percorribile.
“Il punto è che le due cose sono complementari: le rottamazioni portano nelle casse pubbliche le risorse che consentono di abbassare l’IRPEF. ”
Ha detto Salvini nell’intervista rilasciata al Corriere l’11 giugno. Ma nella pratica non è proprio così semplice collegare le due strade.
Tre motivi per cui la pace fiscale non può finanziare il taglio IRPEF
Dal punto di vista puramente matematico l’operazione sembra pure possibile: per ridurre il secondo scaglione dell’IRPEF dal 35 al 33 per cento o per estendere il secondo scaglione a 65.000 euro, possibili tagli pensati per il ceto medio, servono circa 2,5 miliardi di euro. La rottamazione quater nel 2023 ha portato nelle casse dello Stato circa 6,8 miliardi di euro.
Ma la programmazione delle politiche economiche di un Paese non possono essere fermarsi alle semplici operazioni matematiche. E sono almeno tre i motivi per cui la soluzione al bivio pace fiscale-IRPEF non può essere un travaso di risorse:
- le definizioni agevolate delle cartelle non sono un guadagno per lo Stato, ma una perdita: in un certo senso vengono applicati degli sconti, escludendo sanzioni e interessi;
- i tempi: gli incassi di una nuova rottamazione non si ottengono in un giorno e il ceto medio attendeva un intervento su aliquote e scaglioni già a fine 2024;
- l’incertezza, la storia dell’edizione quater parla chiaro: il numero delle adesioni non corrisponde mai al numero dei contribuenti che effettivamente pagano le rate dovute.
Se è vero che dare ai cittadini e alle cittadine la possibilità di pagare in maniera agevolata i debiti con il Fisco rappresenta una possibilità anche per lo Stato di recuperare somme che comunque, molto probabilmente, non recupererebbe, dall’altro è del tutto improprio guardare agli eventuali incassi come una fonte potenziale di risorse per mettere in campo nuove politiche fiscali ed economiche.
Ed è improprio anche per una questione di stabilità di queste stesse politiche. La proposta di legge per mettere in campo la rottamazione quinquies definitia dalla Lega è attualmente al Senato e, in ogni caso, per arrivare all’approvazione dovrà seguire tutto l’iter parlamentare.
Avviare la macchina organizzativa per arrivare a ottenere anche solo una stima delle risorse che potrebbero derivare da una nuova pace fiscale richiede mesi, mentre il taglio dell’IRPEF è già una promessa di lunga data.
Ma non solo: a rendere il panorama ancora meno chiaro è il quadro di regole proposto: la nuova rottamazione, che dovrebbe coprire per cartelle fino al 2023, prevede una rateizzazione lunga, di 120 rate mensili e quindi 10 anni, senza maxi rate e una fuoriuscita dal perimetro della definizione agevolata dopo il mancato pagamento di 8 rate, oggi ne basta una.
La storia della rottamazione quater insegna che spesso, per volontà o necessità, i contribuenti aderiscono ma non portano avanti il piano di pagamenti: di fatto, vengono meno gli incassi attesi. Una rateizzazione così lunga e una esclusione dopo 8 mancati versamenti rende pressoché impossibile una stima effettiva delle possibili entrate.
E se il futuro è così incerto, come può mai essere la base di partenza per dare risposte certe e tempestive sul presente?
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