E chi l’avrebbe mai detto che proprio in via Jervis a Ivrea, tra quelle architetture moderniste che hanno fatto la storia dell’industria italiana, tra le mura dove Adriano Olivetti sognava una fabbrica a misura d’uomo, nel 2025 si sarebbe spalancata una porta sul futuro. Un futuro verde, sostenibile, fatto di profumi intensi di basilico, micro piselli, porri e foglie di salanova. Un futuro che non nasce nei campi arati, ma nell’aria. Letteralmente.
Benvenuti in Ortindoor. Non una fattoria tradizionale. Non un’azienda agricola come le altre. Ma un impianto agricolo indoor di nuova generazione, dove le piante crescono senza terra, sospese su scaffalature metalliche illuminate da luci LED, coccolate da una nebbia finissima di acqua e nutrienti. È la coltivazione aeroponica, il cuore tecnologico e poetico di questa rivoluzione agricola tutta eporediese.
Dietro questa visione, ci sono due donne. Due sorelle. Barbara e Luisa Gallo. Una visione chiara, una determinazione incrollabile, un sogno coltivato con tenacia: restituire vita a un luogo simbolo della città trasformandolo in un laboratorio di futuro.
Il loro impianto occupa appena 200 metri quadrati, ma produce più di 110.000 piante all’anno, l’equivalente di tre ettari di terreno coltivato. E lo fa con un impatto ambientale minimo: solo 7 litri d’acqua per chilo di insalata, contro i 300 necessari in un orto tradizionale. Nulla si spreca, tutto viene riutilizzato, tutto è pensato per essere efficiente e sostenibile.
Barbara e Luisa accolgono i visitatori con orgoglio, mostrando le foglie lucide di salanova, i germogli di senape, le punte di micro cavolo rosso. Ma soprattutto mostrano un’idea: quella di un’agricoltura urbana, sana, locale, possibile. Non un’utopia. Non un esperimento. Ma una risposta concreta all’urgenza climatica e alla crisi alimentare. Una dimostrazione vivente che innovare non significa tradire la terra, ma rispettarla più profondamente.
Ortindoor nasce in uno degli spazi rigenerati da Icona, che nel 2018 ha acquistato e riqualificato 42.000 metri quadrati dell’ex area industriale Olivetti. Oggi, quest’area ospita più di 15 aziende, il polo di innovazione Cnext Ivrea, startup e laboratori. Un ecosistema pulsante, dove l’intelligenza industriale del passato incontra quella del presente.
La coltivazione aeroponica permette di fare a meno del suolo, dei pesticidi, dei fertilizzanti in eccesso. L’acqua nebulizzata bagna le radici esposte e viene riutilizzata. I nutrienti vengono dosati con precisione chirurgica. Niente viene sprecato. Tutto è sotto controllo. Il risultato? Prodotti più sani, più duraturi, più rispettosi dell’ambiente. Ma anche più buoni. Perché il gusto, qui dentro, è una questione scientifica quanto poetica.
Il catalogo è un sogno per chi ama la cucina autentica: microgreens di pisello, porro, senape, borragine, cavolo rosso; insalate salanova, kale red, pimpinella; specialità come amaranto, tatsoi, acetosella; aromi rari e preziosi come basilico baby, basilico cannella, menta bergamotto, salvia ananas, shiso green. Profumi intensi, colori brillanti, sapori decisi. Ingredienti vivi, che durano giorni a temperatura ambiente e raccontano una storia diversa sul piatto.
Per il mondo Horeca, Ortindoor è un alleato prezioso. Ristoratori e chef trovano qui una risposta concreta alle esigenze di freschezza, qualità, sostenibilità. Gli sprechi si riducono. La conservazione si semplifica. La narrazione del piatto si arricchisce. Non solo perché il prodotto è buono, ma perché è coerente, etico, innovativo.
Ortindoor è anche concessionario ufficiale del marchio Agricooltur®, la startup torinese che ha progettato l’impianto. Insieme condividono know-how, valori, filosofia. Insieme dimostrano che l’agricoltura può tornare al centro delle città. Che coltivare può voler dire rigenerare, restituire, guarire. E che ogni foglia è una piccola promessa di futuro.
Ortindoor non è solo un progetto agricolo. È un manifesto. Un atto di fiducia nella possibilità che l’economia, l’ambiente e l’etica possano camminare insieme. È la prova che anche da un capannone industriale può sbocciare la vita. Che il cibo può essere buono, pulito e giusto. E che per coltivare il domani, a volte, bisogna proprio iniziare dall’aria.
C’è da giurarci… Adriano Olivetti ne sarebbe contento…
C’è qualcosa di profondamente umano nel gesto antico di piantare un seme nella terra. È un atto che affonda le mani nel passato dell’umanità, fatto di stagioni, di piogge, di attese, di mani sporche e schiene piegate. L’agricoltura tradizionale è bellezza, fatica, passione. Ma oggi, nel 2025, questa immagine romantica si scontra con una realtà sempre più complessa: la terra fertile si consuma, le riserve d’acqua si riducono, i cambiamenti climatici rendono imprevedibili i raccolti, e la filiera alimentare globale appare fragile, inefficiente, dispendiosa.
Proprio per questo nasce Ortindoor. Non per cancellare la terra, ma per proteggerla. Non per sostituire l’agricoltura di ieri, ma per integrarla, renderla più resiliente, più vicina, più consapevole. Ortindoor è un nuovo modo di coltivare. Un modo urbano, tecnologico, a basso impatto. Un modo che non spreca suolo, non avvelena l’ambiente, non consuma 300 litri d’acqua per un solo chilo d’insalata, ma ne usa solo sette. E lo fa dentro 200 metri quadrati, laddove l’agricoltura tradizionale ne richiederebbe tremila.
Il confronto è spietato. E illuminante. Ortindoor non ha bisogno di pesticidi. Non teme la grandine, il gelo o la siccità. Le sue foglie nascono già pulite, croccanti, piene di vita. Crescono in scaffalature illuminate da luci LED, in un ambiente chiuso, controllato, sicuro. E arrivano a tavola freschissime, senza frigorifero, senza trasporti infiniti, senza passaggi intermedi.
Questo non significa tradire il mondo contadino. Al contrario. Significa ascoltarlo, e rispondere alle sue sofferenze con un nuovo modello produttivo che alleggerisca la pressione sul suolo e sulle risorse naturali. Un modello che, come Ortindoor, può affiancare l’agricoltura tradizionale, renderla più forte, più adatta al tempo che stiamo vivendo.
E non è un caso isolato. In Italia, negli ultimi anni, l’agricoltura aeroponica e le coltivazioni fuori suolo stanno crescendo. Ortindoor fa parte di una rete sempre più ricca di esperienze visionarie, che disegnano un paesaggio agricolo diverso, più vicino alle persone, più intelligente e sostenibile.
C’è, per esempio, Agricooltur®, la startup torinese che ha progettato l’impianto Ortindoor e che da anni installa serre su terrazzi, mercati, ristoranti e alberghi, trasformando i tetti delle città in orti sospesi. A Milano, il progetto Skyland, sviluppato con ENEA, è una vera e propria fattoria verticale a km 0, che punta a zero emissioni e zero rifiuti. In Calabria, la serra di Aeroponica Perrotta, con i suoi 6.000 metri quadri di produzione industriale, rappresenta uno degli impianti più estesi d’Europa. E poi ci sono realtà come HydroInvent e Biotek Engineering, che forniscono soluzioni su misura a chiunque voglia costruire un’agricoltura più consapevole.
Ma Ortindoor conserva una sua unicità. È nata a Ivrea. Dentro un ex capannone Olivetti. Dentro un pezzo di storia del lavoro e dell’innovazione italiana. E a guidarla sono due donne, Barbara e Luisa Gallo, che hanno avuto il coraggio di sognare un futuro nuovo, senza voltare le spalle alla memoria del luogo. Hanno riportato dignità in uno spazio abbandonato. Hanno acceso una luce dove c’era silenzio. Hanno riempito di vita scaffalature che prima ospitavano macchinari industriali.
Ortindoor non è solo un progetto agricolo. È un manifesto. Un atto di fiducia nella possibilità che l’economia, l’ambiente e l’etica possano finalmente camminare insieme. È la prova che anche da un capannone industriale può sbocciare la vita. Che il cibo può essere buono, pulito, giusto. E che per coltivare davvero il domani, a volte, bisogna cominciare dall’aria.
Un tempo si piantava nella terra. Oggi si può piantare nell’aria.
È difficile accettarlo, per chi è cresciuto con l’odore delle zolle appena rivoltate, con il ritmo delle stagioni nel cuore e il fango sotto le unghie. Ma è la verità: nel 2025, l’agricoltura si sta lentamente sollevando da terra. Letteralmente. E non per capriccio tecnologico o per moda green, ma per necessità. Perché la terra – la nostra terra – non ce la fa più.
Ecco allora che, tra le mura di una ex fabbrica Olivetti, in via Jervis a Ivrea, due sorelle hanno avuto l’ardire di riscrivere il senso stesso della parola “orto”. Non più orti a schiena piegata, ma Ortindoor. Non più campi da seminare, ma scaffali da illuminare. Non più acqua a fiumi, ma nebbie sottili che bagnano radici sospese. E da lì, da quell’aria nutrita di tecnologia e rispetto, nasce la vita. Vera. Verde. Comestibile. Straordinariamente buona.
Barbara e Luisa Gallo non sono visionarie per vocazione. Lo sono per pragmatismo. Perché hanno capito una cosa semplice e spiazzante: se vogliamo ancora mangiare, dobbiamo cambiare. E hanno cominciato da Ivrea, da 200 metri quadrati che valgono quanto tre ettari di campo coltivato, da 7 litri d’acqua per ogni chilo di insalata (anziché 300), da un’idea di agricoltura che non è più schiava del meteo, dei parassiti, delle logistiche infernali.
Non si tratta di sostituire la terra. Si tratta di proteggerla. Di integrarla. Di darle una tregua. L’agricoltura tradizionale ha bisogno di aiuto, non di nostalgia. E se vogliamo davvero nutrire dieci miliardi di persone, garantendo qualità, equità, sostenibilità, dobbiamo guardarci negli occhi e smettere di raccontarci favole contadine. Perché il romanticismo non irriga i campi. E non li salva. (e già mi vedo Bruno Mecca Cici di Coldiretti che s’incazza…)!
La verità è che Ortindoor non è un progetto agricolo. È una visione politica. È la dimostrazione che il futuro può nascere da un capannone industriale abbandonato, che due donne possono accendere una scintilla dove c’era silenzio, che un pezzo di città ferma può tornare a muoversi, respirare, generare. Non con l’industria pesante, ma con l’agricoltura leggera. Non con i profitti immediati, ma con la cura lenta.
E non sono sole. Esperienze come Agricooltur® a Torino, Skyland a Milano, la serra Perrotta in Calabria, dimostrano che sta nascendo una rete. Una costellazione di luoghi dove si coltiva un altro modo di stare al mondo. Dove non si rincorre solo il profitto, ma si costruisce un’economia nuova, che sa unire cibo, ambiente, città, dignità.
Ma c’è qualcosa che rende Ortindoor unica. Non è solo la tecnologia. È la storia. Il contesto. Il fatto che tutto questo avvenga a Ivrea, dove Adriano Olivetti immaginava una fabbrica che fosse anche cultura, comunità, poesia. È come se quel sogno, oggi, tornasse a germogliare. Non più in una macchina da scrivere, ma in una foglia di basilico.
E allora sì, possiamo dirlo: il futuro dell’alimentazione non sarà fatto solo di terra. Sarà fatto di etica. Di estetica. Di rigenerazione. Sarà fatto di donne che resistono e innovano. Di capannoni che non fanno più rumore, ma danno ancora vita.
Perché, alla fine, coltivare il domani significa smettere di avere paura di cambiare. E se serve coltivare nell’aria per salvare la terra, che sia. Le sorelle Gallo ci stanno già riuscendo.
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