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La provincia di Frosinone registra una leggera contrazione imprenditoriale con 756 nuove imprese e 840 chiusure. Risente della crisi di Stellantis e della predominanza di piccole imprese vulnerabili. Servono investimenti ma più ancora infrastrutture: si fa prima ad arrivare al porto di Salerno che a quello di Gaeta. E soprattutto una cabina di regia come quella proposta in questi giorni. Ma più ancora uno snellimento delle procedure: come ha fatto il Governo con Novo Nordisk ad Anagni

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C’è un’Italia che arranca, un’Italia che innova e un’Italia che resiste. Frosinone, nel primo trimestre del 2025, si colloca con discreta dignità nella terza categoria. La fotografia scattata da Unioncamere – InfoCamere sul saldo tra nuove imprese e chiusure nella provincia ci restituisce un territorio che tiene, ma non sfonda. In tre mesi sono nate 756 imprese e ne sono scomparse 840, per un saldo negativo di 84 unità. Il tasso di crescita? -0,18%. Non un crollo, certo, ma neppure il segno di una ripartenza impetuosa.

Nel Lazio, la provincia ciociara si conferma come anello debole di una catena comunque robusta: la regione è l’unica nell’intero Centro Italia a chiudere il trimestre con un saldo positivo (+1.657 imprese, +0,28%), trainata da Roma che da sola segna un boom di +1.767 aziende. Latina, poi, cresce di 94 unità. Frosinone, invece, rallenta. E la domanda è inevitabile: che cosa sta frenando il motore imprenditoriale della provincia?

Il capitalismo molecolare resta dominante

L’ingresso operai dello stabilimento Stellantis Cassino Plant

Incide la crisi Stellantis. E non tanto per la sua stretta situazione industriale nel sito di Cassino Plant, dove sono uscite dal listino molte delle Alfa Romeo Giulia e Stelvio ed ormai non ci sono quasi produzioni da svolgere: ad affievolirsi è il motore di sviluppo che è connesso alla casa automobilistica. Significa innovazione, ricerca, start-up, servizi, logistica: una galassia che ruota attorno all’attività principale. Rallentando la locomotiva ne risente l’intero convoglio.

C’è poi un altro aspetto. La composizione del tessuto imprenditoriale continua a essere dominata da piccole imprese individuali, spesso a conduzione familiare, che risultano le più vulnerabili alle oscillazioni economiche e burocratiche. A livello nazionale, sono proprio le imprese individuali a segnare la peggior performance nel trimestre: -11.597 unità. Un destino che tocca anche Frosinone, dove la fragilità dell’impresa solitaria resta strutturale.

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Il punto è che in Ciociaria il passaggio dal capitalismo molecolare a quello organizzato – con filiere, reti e managerializzazione – non è mai davvero decollato. Le società di capitale, che a livello nazionale registrano l’unico saldo positivo (+13.358 unità), sono ancora in netta minoranza nel nostro territorio, dove le partite Iva solitarie restano la regola. Il risultato? Una debole propensione all’investimento e una maggiore esposizione alle crisi.

Chi scende e chi sale

I settori tradizionali continuano a perdere terreno: agricoltura, commercio e manifattura segnano il passo. È una dinamica nazionale, ma a Frosinone pesa doppio, perché proprio questi comparti rappresentano la spina dorsale dell’economia locale. A livello nazionale, il commercio ha perso oltre 7.600 imprese, la manifattura 2.747, l’agricoltura quasi 6.000. E se Roma può rifugiarsi nella new economy e nei servizi avanzati, la Ciociaria è ancora legata a modelli produttivi più lenti a innovarsi.

C’è però anche qualche segnale in controtendenza. I servizi professionali, scientifici e tecnici sono il settore che cresce di più a livello nazionale (+2.795 imprese, +1,10%), seguiti da attività legate all’istruzione, alla sanità, al noleggio e all’informazione. È qui che si gioca la vera sfida per Frosinone: accompagnare l’evoluzione del proprio ecosistema economico verso attività ad alto valore aggiunto.

Il nodo delle infrastrutture

L’altra sfida è quella infrastrutturale. Le strade sono rimaste ferme agli Anni 70 e non sono più adatte per le necessità di un polo produttivo. Tanto per fare un esempio: Gaeta ha delle enormi potenzialità nel settore della portualità merci ma portare un container da Cassino al nuovo porto commerciale di Gaeta richiede mediamente un’ora e 20 minuti: si fa prima a raggiungere il porto di Salerno in Campania.

Servono nuove strade e servono in fretta: non con i tempi della politica ma con quelli dell’industria. Non è un caso che il Governo abbia deciso di nominare ad Anagni un suo Commissario esattamente come fece per la costruzione del nuovo ponte di Genova al posto del Morandi venuto giù. Le opere si possono realizzare anche in Italia, bene ed in fretta, se non c’è l’ostacolo della burocrazia.

In questo caso, il Governo ha nominato il presidente della regione Lazio Francesco Rocca: sarà lui a sovrintendere alle opere necessarie allo stabilimento Novo Nordisk di Anagni dove la multinazionale del farmaco investirà oltre 2 miliardi di euro per espandere il suo stabilimento nel periodo 2025-2029 per realizzare il ‘miracoloso’ farmaco per il trattamento di diabete e obesità.

Ma quante altre imprese, più piccole di Novo Nordisk, vogliono investire cifre inferiori a 2 miliardi e però devono fare i conti con la burocrazia che rallenta tutto all’inverosimile? Basti pensare a Saxa Gres che ha impiegato 7 anni per avere tutte le autorizzazioni, perdendo enormi opportunità di mercato. Per loro un commissario non c’è, una corsia snella con cui creare posti di lavoro non esiste.

Un’opportunità chiamata transizione

Roberta Angelilli

Ciò che è mancato finora, semmai, è una regia. Nelle settimane scorse a proporsi è stata la Regione Lazio: la vice presidente Roberta Angelilli ha lanciato con Unindustria il primo Piano Industriale del Lazio. Contiene una visione industriale, una prospettiva, i capitali necessari per realizzarli.

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È una prospettiva che punta a favorire la transizione da un’economia basata sul “fare” a una fondata sul “pensare e connettere”. Se la transizione digitale e quella green sono le parole d’ordine delle agende europee e nazionali, a Frosinone occorre tradurle in concrete politiche di accompagnamento: formazione, attrazione di investimenti, semplificazione burocratica. E forse, anche un cambio culturale: investire in capitale umano, in managerialità, in reti di impresa.

Un dato che è emerso giovedì scorso a Ceprano durante l’assemblea delle territoriali di Unindustria Frosinone e Cassino, alla presenza proprio dell’assessore Roberta Angelilli.

I numeri del primo trimestre 2025 dicono che Frosinone non è andata male. Ma nemmeno bene. Ha galleggiato. E nel capitalismo contemporaneo, galleggiare troppo a lungo significa finire dietro. L’economia ciociara ha bisogno di una spinta: dalla politica, dalle istituzioni, ma anche da se stessa. Perché la resilienza va bene, ma a un certo punto bisogna tornare a crescere. E possibilmente, meglio degli altri.

(Foto di copertina © DepositPhotos.com)



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