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Bialetti, la «promessa» di Nuo: per il rilancio focus su Usa, Cina e identità di marca


di
Andrea Bonafede

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La holding italiana di partecipazioni ha rilevato il gruppo della moka. Le strategie di Tommaso Paoli, che con tre family office (delle famiglie Agnelli-Elkann, Pao-Cheng e Guerrand) ha già scommesso su Bending Spoons, Venchi, Scarpa, Andriani

Una nuova vita per la Moka di Bialetti. Una fase che, nelle strategie del gruppo, sarà in continuità con quanto fatto negli ultimi anni: la novità, semmai, è rappresentata dal cambio di proprietà. La holding di partecipazioni Nuo, fondata e guidata da Tommaso Paoli, ha acquisito — tramite il veicolo Octagon BidCo — il 78,56% del capitale sociale di Bialetti Industrie, lanciando un’Opa totalitaria sulle restanti azioni finalizzata al delisting della società da Piazza Affari. L’obiettivo è chiaro: rilanciare un brand che per decenni ha rappresentato un’eccellenza made in Italy nel mondo, ma che soprattutto nel nuovo millennio ha vissuto anni burrascosi. Come? Seguendo tre direttrici: il rafforzamento dell’identità di marca a livello internazionale, facendo leva sul suo tratto iconico (elementi che da un paio di decenni si erano un po’ persi); l’espansione selettiva, ovvero in geografie selezionate, del caffè; lo sviluppo internazionale della presenza commerciale della moka in tutto il mondo, incluso un focus su America e Cina. «La Moka Bialetti è un po’ come la Vespa e la 500: è conosciuta in tutto il mondo, ma allo stesso tempo questa avventura è una scelta più complessa rispetto ad altre aziende in cui abbiamo investito — racconta Tommaso Paoli —. Per noi è un brand con una “heritage” fortissima, che ha ottime opportunità di sviluppo: è il prodotto giusto nel momento giusto, anche per un tema di sostenibilità. E può avere ancora ampi margini di crescita, soprattutto in mercati come Stati Uniti e Cina».

Tra continuità e novità

Un segnale di continuità con il recente passato, che ha permesso a Bialetti di riprendere parzialmente la rotta: negli ultimi tre anni il gruppo ha visto una stabilizzazione dei propri ricavi (149,5 milioni nel 2024) e una riduzione delle perdite nette (1,1 milioni). In seguito al perfezionamento dell’operazione — che ha comportato un investimento di circa 80 milioni di euro, di cui oltre la metà utilizzati per ripianare il debito di Bialetti, passato da 98,6 milioni di euro a 44,1 — non ci sono stati infatti grandi sconvolgimenti nel management: il Cda ha visto l’uscita di tre consiglieri, tra cui il presidente Francesco Ranzoni, la cui carica è stata assunta da Giuseppe Morici, in passato manager in multinazionali come Procter & Gamble, Barilla e Bolton, oltre che operating partner di Nuo. Amministratore delegato è rimasto Egidio Cozzi. L’espansione sui mercati globali è uno dei tratti distintivi dell’operato di Nuo, società di partecipazioni italiana nata nel 2016 a Milano che investe nel made in Italy, in particolare in aziende del settore dei beni di consumo. La sua fondazione proviene dall’iniziativa di Tommaso Paoli e Stephen Cheng, erede della World Wide Investments, uno dei più antichi family office cinesi (creato dal nonno, Yue-Kong Pao), a cui si sono unite altre due importanti famiglie: i Guerrand (Hermès) e gli Agnelli-Elkann.




















































Il modello

Nuo, dunque, non opera come i private equity tradizionali, che raccolgono capitali da investitori istituzionali, ma investe unicamente capitali privati di pochissime famiglie imprenditoriali. «Attraverso questo approccio, ci differenziamo dai fondi tradizionali sotto diversi punti di vista: il primo è che non ci poniamo limiti di tempo per la crescita delle aziende, invitandole quindi a investire sul lungo periodo — spiega Paoli —. Crediamo inoltre che il nostro metodo sia più adatto al tipo di aziende su cui decidiamo di investire: si tratta di imprese del mondo consumer, dall’agroalimentare alla moda, che stiano in una fascia di fatturato compresa tra i 50 e i 150 milioni di euro». È Nuo a segnalare se si prefigurano opportunità di investimento e i soci, analizzando caso per caso, decidono se e quanti capitali impegnare: finora le tre famiglie hanno investito in totale circa mezzo miliardo di euro. La gestione dell’investimento, le strategie e l’apporto di competenze rimangono in capo a Tommaso Paoli, al suo team e ai management delle varie imprese. Con Bialetti — su cui hanno investito le famiglie Pao-Cheng e Guerrand — il numero delle operazioni (tra quote di minoranza e di maggioranza) sale a 15, molte delle quali ancora attive e diventate nel tempo dei «business case». Tra questi ci sono Bending Spoons, oggi realtà da oltre 700 milioni di fatturato, Ludovico Martelli (Proraso e Marvis), Subdued, Scarpa, Venchi, Andriani, Montura, Sacs Tecnorib, Slowear.

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Obiettivo rilancio

Imprese che negli anni si sono aperte ai mercati internazionali, creando veri e propri brand. «Nel portafoglio attuale, escluso Bialetti, le nostre aziende hanno raddoppiato il fatturato, l’Ebitda è più che triplicato, la forza lavoro è aumentata del 35% — illustra il ceo di Nuo —. Noi vogliamo che le aziende investano sulla crescita di lungo periodo. Ad esempio, Andriani a luglio aprirà uno stabilimento a Toronto: un investimento da 40 milioni, che la renderà l’unica azienda di pasta secca italiana, oltre a Barilla, ad avere un sito produttivo in Nord America». È ragionevole pensare che anche per Bialetti il copione sarà simile, seppur rispettando le peculiarità del marchio e del prodotto. Anche se la sfida appare differente: finora Nuo ha puntato su aziende già in crescita, mentre adesso scommette sul rilancio di una società che negli anni ha perso quota. «Queste aziende, in periodi di forti incertezze e cambiamenti come quello attuale, possono avere più vantaggi competitivi rispetto ai colossi stranieri: la loro agilità può aiutarle a conquistare spazio in mercati lontani», dice Paoli. Con questa operazione, il fondatore e ceo di Nuo è conscio di essere entrato in una nuova dimensione per la sua holding e si pone un obiettivo importante: «Vogliamo continuare ad attrarre capitali, per i prossimi investimenti stiamo cercando di coinvolgere altre due o tre famiglie: vogliamo che almeno una sia italiana e una, possibilmente, americana. Lo schema resterà lo stesso: far crescere le aziende, specialmente sui mercati internazionali, dare loro orizzonti di lungo periodo, lasciarle indipendenti, autonome e italiane», conclude Paoli.

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16 giugno 2025

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