Karen Hao è una delle giornaliste più attente alle dinamiche di potere insite nel settore dell’AI e al suo impatto sulla società. Attualmente a The Atlantic, ha lavorato in precedenza per il Wall Street Journal, la MIT Technology Review e il Pulitzer Center. Hao è stata una delle prime giornaliste a interessarsi a OpenAI, e ad averci accesso, quando quest’ultima era ancora era un’azienda molto chiacchierata ma poco nota, quando ChatGPT e l’AI generativa nel complesso erano ancora solo un’idea e non ancora a disposizione del pubblico. Empire of AI: Dreams and Nightmares in Sam Altman’s OpenAI è il suo primo libro e racconta la genesi e le ambizioni di OpenAI e del suo cofondatore Sam Altman con l’obiettivo di far luce su come si sta costruendo l’AI oggi e a partire da quali presupposti culturali e politici. E, soprattutto, chi ne sta pagando il prezzo più caro in termini di impatto sociale.
Basato su 300 interviste e anni di reporting, il libro di Hao è basato sulle testimonianze di oltre 150 executive di OpenAI presenti e passati, dipendenti di Microsoft, Anthropic, Meta, Google DeepMind e altri maggiori attori del settore al fine di capire come un’idea scientifica com quella dell’intelligenza artificiale sia progressivamente diventata quasi una religione, spinta sulla base di argomentazioni che si reggono su rischi esistenziali, visioni estatiche e paure apocalittiche e miliardi di investimenti. In questa ottica, il libro racconta certamente come OpenAI sia arrivata alla testa della corsa di questo settore e molti dei suoi retroscena, a cominciare dal drama dell’estromissione di Sam Altman e il suo ritorno – messiatico – dopo quattro giorni, ma allo stesso tempo esce dai confini dell’azienda di San Francisco. Nel farlo, Empire of AI inquadra il settore dell’AI nel complesso, illuminandone i tratti più controversi e di sfruttamento parlando, non a caso, di impero e colonialismo in un momento in cui il settore si muove in direzioni sempre più ampie e sempre più a braccetto con la politica, specialmente a Washington. Abbiamo raggiunto Karen Hao durante il tour di presentazione del suo libro nel Regno Unito.
La nozione di “impero” che applichi a OpenAI e all’intelligenza artificiale in generale sin dal titolo del tuo libro sta diventando una chiave di lettura centrale della critica all’AI e alla sua economia politica. Perché le nozioni di di impero e di colonialismo si applicano così bene a come l’AI viene sviluppata oggi?
“Per me, è avvenuto grazie alle interviste con le comunità maggiormente influenzate dalla catena di approvvigionamento dell’AI. Sono state queste persone a sottolineare come queste dinamiche siano, di fatto, un’estensione della loro storia. Quando ho intervistato i lavoratori del Kenya, per esempio, loro hanno parlato espressamente di una nuova forma di schiavitù. Quando ho parlato con gli attivisti cileni, hanno detto che era una nuova modalità di ‘estrattivismo’, qualcosa con cui l’America Latina ha avuto a che fare per secoli. È, insomma, una prospettiva molto chiara da parte delle persone sul campo che sono state già toccate dagli imperi precedenti. Semplicemente, per loro questa è una nuova forma di impero”.
“La ragione per cui uso il termine ‘impero’ è legata al fatto che ci sono quattro parallelismi chiave tra gli imperi dell’AI di oggi e gli imperi storici. Il primo è che gli imperi rivendicano risorse che non sono le proprie, ma interpretano le regole in modo da giustificare queste rivendicazioni. Per esempio, quando i dati vengono estratti da internet, le aziende dicono che sono di dominio pubblico. Quando consumano proprietà intellettuale, la chiamano ‘fair use’, anche se le persone i cui dati vengono presi sono fortemente in disaccordo. Gli imperi sfruttano anche il lavoro. Nel contesto dell’IA, questo si riferisce a come l’industria si affida al lavoro del Sud globale e a quello delle comunità vulnerabili, come avviene in Kenya, per produrre la tecnologia. Ma si riferisce anche al fatto che la tecnologia stessa è intrinsecamente automatizzante per il lavoro. La definizione di artificial general intelligence (AGI) di OpenAI, per esempio, è ‘sistemi altamente autonomi che superano gli esseri umani nella maggior parte dei lavori economicamente preziosi’, il che significa che stanno cercando di automatizzare compiti che normalmente le persone vengono pagate per fare. Questo, a sua volta, sopprime il mercato del lavoro e mina i diritti dei lavoratori”.
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