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Nuovo genere di PA per nuovo genere di futuro


Nel 2025 ricorre il trentennale della Dichiarazione di Pechino, una pietra angolare posta dalla comunità internazionale, che si è riunita per stabilire un impegno comune per l’uguaglianza di genere e ha redatto un documento cardine completo di piattaforma d’azione con ambiziosi obiettivi, che allora sembrava realistico poter raggiungere nel quinquennio successivo e che invece, ancora oggi, non sono stati affatto raggiunti. In questo contesto, l’incontro “Un nuovo genere di PA per un nuovo genere di futuro”, promosso dal Comitato strategico per le politiche di generedi FPA, ha voluto rappresentare un momento aperto per discutere i nodi più significativi che frenano il cammino verso la parità, sia all’interno della PA che nella società civile, guardando alle opportunità e agli ostacoli principali che impattano sulle tre dimensioni – Persone, Tecnologie e Relazioni – al centro di FORUM PA 2025.

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È difficile avere un pubblico numeroso sulla tematica di genere se l’argomento viene proposto in termini così diretti come si è scelto di fare per verificare, con un ennesimo banco di prova, quanto la tematica sia vissuta come priorità nella PA. Chi ha seguito ha assistito ad un dibattito che ha evidenziato alcuni temi da considerarsi strategici in un confronto fra rappresentanti del Comitato, che hanno presentato le priorità messe a punto nel corso dei due anni di attività, Francesco Frieri,  DG Risorse umane e organizzazione della regione Emilia-Romagna che ha evidenziato la resistenza ai cambiamenti nelle organizzazioni riguardo all’attuazione delle politiche di genere pure ricche di regole comportamentali stringenti, e Francesca De Chiara, vice presidente di Monithon – un osservatorio di monitoraggio delle politiche pubbliche – che ci ha restituito il punto di vista della società civile.

È ora possibile rivedere la registrazione dell’evento.

Politiche di genere: priorità e criticità

Queste le priorità strategiche e le criticità più importanti emerse dal dibattito:

  • trarre benefici dalla diffusione dell’intelligenza artificiale anche in termini di parità di genere sarà possibile solo se sarà decuplicato l’impegno nelle politiche di orientamento giovanile allo studio delle STEM, per poter generare tecnologie ripulite da stereotipi duri ad essere sconfitti; 
  • è necessaria un’applicazione della Certificazione di genere non strumentale, che porti la PA a conoscere realmente in che condizioni opera sotto questo profilo e ad applicare un metodo che ne accresce la reputazione e consente consistenti e concreti passi avanti; 
  • vanno superate le forti resistenze al cambiamento nelle organizzazioni visto che l’equilibrio di genere e fra vita e lavoro è favorito nelle regole, ma non è facile applicarlo e farlo sedimentare nelle organizzazioni; 
  • la mancanza di obbligo a livello UE nella raccolta di dati su questo tema impedisce confronti e valutazioni precise sull’avanzamento della parità in Italia e in Europa, ed è ancora difficile reperire dati disaggregati per genere che permettano di conoscere a fondo, in tutte le sue sfaccettature, la situazione attuale;
  • è necessario che il bilancio di genere statale e degli enti non sia una fotografia statica, ma serva ad azioni correttive delle lacune che emergono nell’ottica di far funzionare gli strumenti già a disposizione dei decisori politici;
  • lo scenario internazionale su cui Linda Laura Sabbadini ha aperto uno squarcio è abbastanza sconfortante, a 30 anni dalla piattaforma di Pechino non sono stati fatti passi avanti tali da potersi ritenere soddisfatte ed è necessario mantenere alta l’attenzione sul tema, contribuendo in tutti i luoghi possibile a lanciare momenti di riflessione e azione comune valorizzando ogni possibile sinergia.   

Brevemente entriamo nel merito di questi punti.

Diffusione dell’intelligenza artificiale e parità di genere

L’obiettivo di colmare il divario di genere dando potere alle donne e aumentando la consapevolezza della diversità di genere nell’IA è ambizioso e finora le misure adottate non hanno dato risultati significativi. L’IA non è solo una tecnologia, ma una forza trasformativa che sta riscrivendo le regole del gioco in molti settori: le donne occupano una frazione delle posizioni di ricerca e dei ruoli di sviluppo nel settore del l’IA e la loro presenza diminuisce ulteriormente nella scala aziendale mano a mano che si sale verso le posizioni apicali e decisionali. Questo squilibrio si ripercuote sulla tecnologia stessa: i sistemi di IA ereditano la loro visione del mondo dai dati introdotti, i dataset utilizzati per addestrare questi sistemi spesso contengono bias preesistenti, che a loro volta riflettono le prospettive e le priorità dei loro architetti. Quando la leadership manca di diversità, la tecnologia che ne deriva rischia inevitabilmente di perpetuare i pregiudizi esistenti piuttosto che abbatterli, pregiudizi ancora più difficili da individuare e combattere.

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L’intelligenza artificiale ha il potenziale per far progredire l’uguaglianza di genere, riconoscendo e affrontando le disparità di trattamento e amplificando la voce delle donne nel processo decisionale. Sviluppata e utilizzata in modo responsabile, l’IA può svolgere un ruolo fondamentale nel rompere il ciclo della violenza di genere e anche per posizionare le donne nelle traiettorie più promettenti del futuro professionale.

Anche per affrontare le disuguaglianze di genere legate all’uso dell’intelligenza artificiale, l’Unione Europea ha introdotto il Regolamento sull’IA (AI Act), una delle prime normative globali volte a disciplinare i sistemi di intelligenza artificiale. Questo regolamento mira a garantire trasparenza e responsabilità nell’uso di tali tecnologie e pone l’IA in subordine alla Carta dei diritti fondamentali della UE, che afferma che la parità di genere deve sempre essere assicurata.

Una delle innovazioni più significative dell’AI Act è l’introduzione di un quadro dinamico, che consente alla Commissione Europea di aggiornare le regole tramite allegati modificabili senza dover ricorrere alla procedura legislativa ordinaria. Il valore di una cornice legislativa che si fa carico delle criticità sopradescritte è da diffondere e rendere realmente efficace ed operante. L’IA è come uno specchio che riflette la società che la crea. Se vogliamo che rifletta una società paritaria, dobbiamo costruire sistemi che non solo evitino di perpetuare le disuguaglianze, ma che le contrastino attivamente e questo richiede non solo tecnologie migliori, ma anche una visione etica e un impegno sociale condiviso con un monitoraggio costante dell’efficacia delle misure messe in campo e la capacità di modificarle in vista di un obiettivo ineludibile.

Il futuro dell’IA non è scritto negli algoritmi, ma nelle decisioni che prendiamo oggi, una delle quali deve essere la volontà di aumentare la platea di ingresso delle donne nelle discipline STEM avvicinando molto precocemente, prima che si incardinino gli stereotipi, le piccolissime e i piccolissimi a questi studi. Un’azione concreta in questo senso sarebbe un grande risultato. Occorre prendere sul serio la necessità che sia garantita la diversità nella popolazione degli studenti che si appassiona a questi studi: saranno queste decisioni a determinare non solo l’efficacia della tecnologia, ma anche, e soprattutto, il tipo di società che vogliamo costruire.

La Certificazione di genere introdotta dalla PdR 125

Guardando alla Certificazione di genere introdotta dalla PdR 125 si deve sottolineare come la stessa non sia nata solo per le imprese, come sempre si legge, ma abbia stabilito un metodo attraverso il quale tutte le organizzazioni misurano attraverso diversi indicatori a che punto si trovano sul percorso della effettiva parità. Attuare la parità di genere nella PA ha dato sicuramente risultati importanti sotto un profilo di regole e di strumenti, ma la Certificazione può far fare davvero passi avanti significativi.  

Certificarsi significa misurarsi e migliorarsi correggendo via via nel percorso biennale i gap esistenti e migliorare di pari passo anche il clima interno di lavoro. È un’azione che rafforza la trasparenza e che la PA può usare per migliorare la propria immagine e avere vantaggi reputazionali che aiutano ad attrarre i talenti e le giovani generazioni. Rappresenterebbe anche un modo per ispirarsi al tema della parità internalizzandone i principi e puntando a stabilire, come ha fatto il PNRR, questo obiettivo come trasversale in tutte le politiche pubbliche e in tutte le PA che le mettono in atto. I CUG in questo senso potrebbero incoraggiare la Certificazione e diffonderne la cultura.

Un esempio di PA virtuosa viene dall’Emilia-Romagna dove la Regione nel suo complesso, quindi sia l’ente locale che le agenzie regionali e le emanazioni amministrative, ma anche le nomine di Comitati scientifici o gestionali, osservano un rigido protocollo di parità che impone anche regole di comportamento emanate con soft low. La flessibilità che tiene conto nelle convocazioni di riunioni collettive di lavoro anche dei diversi carichi di cura che investono non tutte le donne, ma alcune persone più impegnate sul fronte familiare, e il favorire lo smart working disegnano un ambiente di lavoro sensibile a queste tematiche efficacemente capace di contrastare le diseguaglianze e condurre verso una piena parità.

Dunque si può fare varando un quadro composito di regole, azioni e misure ma anche di infrastrutture e veicolando con attenzione e costanza contenuti e formazione che consentano l’interiorizzazione di questi principi. La nostra cultura si fonda non solo su ciò che è tecnico, ma misurare quanto avviene all’interno di un PA e delle politiche di cui è competente è essenziale e, a questo proposito, sarebbe utile rendere obbligatorio introdurre tali misurazioni attraverso cinque indicatori sulle proprie risorse umane – ci si accorgerebbe di quanto la Certificazione di genere gioverebbe all’ente – e cinque indicatori sulle politiche di competenza.

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Dati e monitoraggio civico

Questo ultimo argomento introduce il quarto punto, quello relativo ai dati e al monitoraggio civico. Attualmente gli indicatori sull’empowerment femminile sono totalmente assenti, se non per questioni che vengono sempre indicate come attinenti al “genere” ma che, in realtà, sono a vantaggio dell’intera popolazione se leggessimo correttamente il contesto – vedi la politica sugli asili nido – mentre se analizzassimo tutti i contesti con lenti di genere tali dati potrebbero diventare un asset sociale.

È evidente come il problema dello squilibrio di potere e le diseguaglianze esistenti nella società rispetto al genere si riflettano anche nella scienza dei dati. Bisogna assolutamente prendere in considerazione tutte le sfaccettature del problema, essendo i modelli di analisi disegnati da un ristretto gruppo di persone con esperienze simili e quindi inevitabilmente pieni di quella serie di pregiudizi intrinseci che ci portiamo dietro da molto tempo. È necessario connettere i dati di contesto per capire e poter adottare misure utili ad accelerare il percorso di parità. 

La politica del dialogo con gli enti centrali di statistica sensibili è fortemente voluta da chi fa monitoraggio civico ma, pur in presenza di aperture, non si riesce facilmente ad ottenere un diverso orientamento nelle statistiche e nella raccolta dei dati. Dialogano gli Osservatori della società civile per convincere chi decide le statistiche, ma fino ad oggi la percentuale di risposte è minima. Per sostenere un reale cambiamento e consentire una attività strutturata che raccolga e segnali i fabbisogni territoriali occorre introdurre l’obbligatorietà degli indicatori di genere in tutti gli investimenti e le politiche.

Il bilancio di genere

Uno degli strumenti che la PA ha istituito e utilizzato per misurare il grado di parità nelle politiche all’interno delle organizzazioni è il bilancio di genere. L’analisi del bilancio secondo una prospettiva di genere si configura come uno strumento complesso volto, da un lato, a una individuazione delle risorse stanziate ed erogate in favore delle pari opportunità di genere (dentro e fuori dall’amministrazione) e, dall’altro, alla verifica degli impatti degli interventi su uomini e donne.

Oltre a evidenziare lo sforzo delle politiche di bilancio relativamente alle questioni di genere, questa metodologia favorisce una maggiore considerazione delle caratteristiche della popolazione di riferimento nel disegno degli interventi e nella loro implementazione, anche quando essi non siano destinati soltanto al genere femminile[1].

La debolezza di questo strumento, pur potenzialmente forte, è rappresentata dal fatto che il legislatore non ha imposto obbligatoriamente di provvedere con azioni e misure per correggere quanto emerge dal Bilancio di genere, facendone uno strumento di conoscenza statico e non dinamico, il che fa perdere molti dei vantaggi che ne potrebbero scaturire se fosse obbligatorio provvedere a sanare gli squilibri che evidenzia.

Gli ultimi dati sono quelli riferiti al 2023 e ci mostrano criticità importanti e non affrontate. Il bilancio di genere relativo al Rendiconto 2023 ricorre a una ricca batteria di indicatori, pari a 183 rispetto ai 39 del primo bilancio 2016, attraverso i quali è possibile evidenziare le diverse caratteristiche e comportamenti di uomini e donne negli ambiti di interesse delle politiche pubbliche. In tutti i domini l’Italia è sotto la media europea, tranne che per la salute.

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In ambito professionale rimane forte il divario di genere tra le competenze digitali elevate e nella partecipazione a percorsi di studio e lavorativi in settori legati alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, con le donne ancora poco presenti rispetto agli uomini. Il tasso di occupazione femminile è al 52,5 per cento nel 2023 inferiore alla media UE attestata al 65,7 per cento, con un divario rispetto al tasso di occupazione maschile di 17,9 punti percentuali rispetto a quello europeo fermo di 9,4 punti percentuali.

Il part-time involontario, insieme alla maggiore incidenza di lavori con bassa paga contribuiscono a peggiorare i livelli retributivi delle donne, così come la sovra istruzione delle occupate rispetto all’impiego, anch’essa in aumento, e la persistente segregazione orizzontale del mercato del lavoro. Su quest’ultimo versante si conferma, infatti, che le donne sono impiegate principalmente nel commercio, nella sanità e nell’istruzione, mentre sono meno presenti tra le libere professioni rispetto agli uomini.

Per quanto riguarda la conciliazione – si usa ancora questo termine e non il più appropriato “equilibrio”-  tra vita privata e vita professionale, nonostante in Italia i giorni di congedo di paternità obbligatoria siano aumentati da 1 a 10 tra il 2015 e il 2023, la propensione dei padri ad usufruire dei congedi parentali rimane ancora scarsa: l’incidenza dei beneficiari uomini sul totale dei fruitori dei congedi parentali entro i 12 anni del bambino è infatti cresciuta nel corso degli anni, ma il numero di padri che fruiscono di tali congedi rimane inferiore a quello delle madri. Le donne italiane ricevono, in media, una pensione del 28,1 per cento, inferiore rispetto a quella degli uomini. Per la partecipazione ai processi decisionali economici, politici e amministrativi, continua a crescere, anche grazie al sostegno della relativa normativa delle quote rosa, la presenza femminile negli organi di amministrazione e controllo delle società quotate e delle società a controllo pubblico non quotate. Nel 2023 quasi tutte le società quotate in Italia sono infatti a dirigenza mista, con le donne che rappresentano il 43,4 per cento dei componenti dei consigli di amministrazione ma nel settore IT il ruolo decisionale delle donne rimane ancora molto marginale.

All’interno delle Amministrazioni centrali dello Stato la quota di lavoratrici è aumentata dal 53,4 per cento al 57,8 per cento tra il 2008 e il 2022, con l’89,0 per cento di queste impiegato nel comparto della Scuola. Le donne rappresentano la maggioranza dei dipendenti nelle scuole d’infanzia, primarie e secondarie, mentre costituiscono una minoranza nelle Università. La presenza femminile è poi prevalente nella carriera penitenziaria, prefettizia e nella magistratura. Nelle Forze Armate, nei Corpi di Polizia e nei Vigili del Fuoco si rileva ancora una forte prevalenza maschile, così come avviene per la Carriera Diplomatica e negli Istituti di Alta Formazione Artistico Musicale.

Relativamente ai ministeriali e ai dipendenti della Presidenza del Consiglio dei ministri, nel 2022 le donne rappresentano il 53,9 per cento del personale, con quote molto alte in alcuni ministeri, come quelli del Lavoro e delle politiche sociali, della Giustizia, dell’Interno. Gli uomini sono, invece, più della metà dei dipendenti nei ministeri della Difesa, delle Infrastrutture e dei trasporti, delle Politiche agricole, alimentari e forestali e dello Sviluppo economico (oggi MIMIT). Tra il personale dirigenziale la presenza maschile appare più marcata e aumenta procedendo verso le posizioni apicali e dal 2013 al 2022, gli uomini hanno guadagnato mediamente di più in termini di retribuzione straordinaria rispetto alle donne, che invece tendono ad adottare maggiormente una modalità lavorativa part-time e ad assentarsi dal lavoro soprattutto per esigenze familiari di cura.

Rispetto a queste molteplici criticità quali misure strutturali sono state adottate o si pensa di adottare? In realtà è una domanda che non viene posta e un dibattito che non riveste priorità, visto che lo strumento del Bilancio di Genere si limita a fotografare la situazione che molto lentamente migliora, visti gli interventi legislativi emanati, interventi che però, con ogni evidenza, non danno risposte soddisfacenti.

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Il quadro internazionale

Infine, il quadro internazionale. I lavori del gruppo Women twenty a Città del Capo si sono focalizzati su lavoro, formazione, medicina di genere e violenza di genere, temi centrali nell’agenda in una fase critica a livello internazionale quando i diritti sessuali e retributivi rischiano di arretrare e non è passata per l’opposizione degli USA, che hanno modificato la loro visione, una dichiarazione strategica su questi punti. Siamo in una fase diversa e rischiamo di tornare indietro rispetto ad obiettivi programmatici della piattaforma di Pechino che ora ci appare avanzatissima. Le donne sono cresciute ma con grande fatica e con un’aria che cresce e spira contro i principali obiettivi che le donne si sono date in questo nuovo millennio. Occorre mettere da parte le differenze che dividono e essere concentrate su ciò  che unisce.

Conclusioni

Costruire un nuovo genere di futuro è possibile ma solo se le politiche, quelle tracciate dal Legislatore e  attuate dalla PA, saranno capaci di una visione che va oltre le dichiarazioni di intenti e sappia sfruttare opportunità come quelle offerte dalla IA nel quadro del Regolamento UE, dal Bilancio di genere o dalla Certificazione di genere senza depotenziamenti e marginalizzazioni, aprendo la strada affinché le Tecnologie, sempre più decisive nella vita quotidiana, siano libere da stereotipi e garantiscano la partecipazione delle donne, le Relazioni siano rafforzate dalla consapevolezza che l’innovazione e il superamento delle resistenza al cambiamento passano dall’inclusione e dalla diversità e che avere a disposizione dati per misurare la realtà è l’unico modo per conoscere a fondo gli orientamenti e i fabbisogni delle Persone.


[1] Bilancio di genere 2023



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