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Investire in opere d’arte: «Il quadro giusto? È quello che non vuoi più vendere». L’alchimia matematica delle nuove gallerie


di
Redazione Economia

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Parla Deodato Salafia, fondatore dell’unica galleria d’arte quotata a Piazza Affari: «Il dipinto che ami è quello che si apprezza di più. Se non vuoi rivenderlo aumenta il suo valore. L’indisponibilità aiuta». E poi il superfluo

Partiamo dalla premessa di chi investe in opere d’arte. Non conta solo la diversificazione, la ripartizione del rischio, il rendimento sul lungo termine, oppure la mera volontà di speculazione: tipico approccio di chi vuole solo guadagnarci. L’arte è un’altra storia, denota un’eccezione culturale, ha un forte contenuto sociale e relazionale che la rende non confrontabile a nessun altro investimento. «Chi ci mette i suoi soldi, dice Deodato Salafia, lo fa per ricavarne un dividendo emotivo». «Quando ne traggo un piacere, un godimento, poi difficilmente vorrò vendere quell’opera anche se vale molto di più rispetto al prezzo d’acquisto», spiega il fondatore della Deodato.Gallery SpA, l’unica galleria d’arte quotata in borsa

Il profilo

Deodato Salafia, 55 anni, è un unicum nel panorama artistico nazionale. Nato da papà ferroviere e mamma bidella, si distingue nel panorama dell’arte contemporanea come una figura eclettica e innovativa. Ha una formazione totalmente atipica, che include una laurea in Informatica e una doppia laurea in Teologia. Il suo ingresso nel settore è avvenuto in maniera assolutamente casuale dopo aver venduto la sua prima società. L’acquisto della sua prima abitazione, con pareti segnate da numerosi chiodi, lo portò a interrogare il venditore sulle imperfezioni. La risposta: «Ma tu non compri quadri?», fu un’epifania che gli rivelò il potere trasformativo dell’arte, intesa non solo come decorazione, ma come «finestra verso il mondo».




















































La democratizzazione dell’arte

Deodato ha sviluppato un modello che integra la visione artistica con un approccio imprenditoriale all’avanguardia. Con dieci gallerie fisiche in Italia e Svizzera e un ecommerce proprietario, circa 7 mila clienti, Deodato.Gallery SpA si è quotata in Borsa a Milano attraendo piccoli risparmiatori retail interessati, che controllano il 18% del capitale. Ingolositi dalla sua filosofia che si fonda sulla democratizzazione dell’arte. Ha eliminato l’opacità dei prezzi, rendendoli visibili sia online che nelle gallerie, ha implementato l’uso di chatbot per un’interazione immediata con i collezionisti e, da informatico, ha sviluppato algoritmi per ottimizzare la gestione delle collezioni. La sua missione è rendere l’arte contemporanea, con opere di artisti come Banksy, Hirst, Andy Warhol e Shepard Fairey, accessibile a un pubblico sempre più ampio. È autore di due libri divulgativi «le tue prime cinque opere d’arte contemporanea» e «NFT per Spiaggiati», e curatore di una rubrica sul magazine proprietario Artuu, dove condivide attivamente e settimanalmente le sue riflessioni su umanesimo, filosofia, arte e IA.

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L’investimento giusto? «Il quadro che non vuoi (più vendere)». L’alchimia matematica dell’arte

L’investimento giusto è quello che non vuoi vendere

«Se un dipinto, una scultura, mi travasa un dividendo emotivo nel momento in cui succede difficilmente la vorrò vendere. L’opera giusta ti conferisce un’alchimia: se può darti un rendimento del 25% tu farai comunque di tutto per non venderlo. Perché ti pavoneggi con gli amici, ti piace mostrarla, diventa illiquida e dunque il suo valore cresce, aumenta proporzionalmente alla sua indisponibilità. D’altronde nessuno venderebbe il proprio partner: le opere d’arte hanno un contenuto sentimentale, ti trasmettono passione», spiega Deodato.

L’investimento giusto? «Il quadro che non vuoi (più vendere)». L’alchimia matematica dell’arte

La rivalutazione

«Noi operatori facciamo un lavoro per far sì che l’artista venga promosso, sia divulgato, introspezionato. Al tempo stesso l’artista deve fare ricerca e sviluppo, fare avanguardia, mentre noi abbiamo il compito di renderlo visibile, ma il vero potere negoziale lo ha il collezionista, che si appassiona e può rendere quell’opera non cedibile. L’investimento giusto è il dipinto che non vuoi vendere, possibilmente che possa piacere ai tuoi figli -spiega Deodato -. Ovviamente anche all’arte si applicano le leggi economiche e le curve tra domanda ed offerta, dato che parliamo di beni non fungibili. Ma il gallerista deve individuare il il momento giusto, il compratore giusto, che mi faccia da volano, bisogna dunque scegliere il collezionista, può essere anche un brand che ti spinge l’artista. Ci sono degli algoritmi che ti aiutano nel posizionamento del prezzo».

L’arte è superflua

Interessante annotare che per Deodato l’arte è superflua, un bene voluttuoso: «Di norma arriva alla fine, dopo che ti sei concesso tutto il resto: la macchina sportiva, la casa in città e la villa al mare. Ma l’arte parla della tua essenza, diventa il tuo storytelling, diventa la tua storia. Non puoi farne a meno. In competizione forse può esserci soltanto l’arredamento di alto livello, semmai la contrapposizione si gioca infatti con il design, con una lampada di pregevole fattura». 

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Gli investimenti dei brand

L’altro grande filone rappresenta gli investimenti dei grandi marchi che puntano sull’arte anche per migliorare il loro posizionamento. Qui Deodato spiega la sua filosofia in un contenuto appena pubblicato sulla rivista Artuu che edita: «Da semplice mecenatismo a sofisticata leva di marketing, l’arte contemporanea è diventata un asset fondamentale nella cassetta degli attrezzi dei brand più influenti. Le recenti, e ormai iconiche, collaborazioni tra Louis Vuitton e artisti come Yayoi Kusama o Jeff Koons, le “Art Car” di BMW che da decenni vedono la luce grazie a geni creativi come Alexander Calder e Jenny Holzer, o le tazzine d’autore di Illycaffè. Questi non sono episodi isolati, ma la punta di un iceberg che rivela una delle strategie di branding più affascinanti e complesse del nostro tempo: la fusione tra mondo aziendale e arte contemporanea. Se in passato il rapporto si limitava a un mecenatismo più o meno disinteressato, oggi si è evoluto in una simbiosi strategica che agisce su leve psicologiche profonde, costruendo valore, identità e una connessione emotiva con il consumatore». Da qui anche la ricerca di un socio industriale che voglia condividere con lui il futuro della Deodato.Gallery. Non nasconde infatti l’ipotesi di apertura del capitale a patto che ci siano le condizioni di un’alleanza, inedita forse.

L’arte digitale ha perso valore?

Deodato è anche un grande fustigatore dell’arte digitale. Non ha mai creduto nel boom degli Nft. Possono essere utilizzati per progetti di co-branding con le aziende, ma di per sé non hanno una grande prospettiva di rendimento se acquistati con il solo scopo di rivendita. «Come ho ampiamente spiegato in un breviario ironico che divulgai nel marzo del 2021 (Nft per spiaggiati, ndr.), gli Nft codificano un contratto relativo ad un asset, ma non sono l’asset. Non è vero che dureranno per sempre e anche se gli NFT durassero a lungo, quasi certamente un qualche server che contiene l’opera (o immagine o asset che dir si voglia) prima o poi si spegnerà. Ci sono delle piccole eccezioni (opere on-chain), ma sono relative a progetti più concettuali che opere vere e proprie».

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