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“Non sono una democrazia”, però facciamo affari con Iran e ci stiamo facendo comprare dai fondi sovrani arabi, strano no?


Ancora una volta, l’altra sera in televisione, abbiamo sentito affermare che in Iran c’è un regime che toglie le libertà e che nei paesi arabi non ci sono democrazie. Per poi elogiare la democrazia israeliana che quindi avrebbe – per salvare se stessa – il diritto di difendersi e pure di attaccare. 

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Addirittura il Cancelliere Merz si è avventurato in un campo che considero rischioso (a maggior ragione quando a sostenerlo è un tedesco…): Israele sta facendo il lavoro sporco in Iran per noi. Una frase sconsiderata e pure un tantino idiota: i lavori sporchi, una volta sdoganati, non si tengono più e si prendono tutti gli spazi possibili. 

Ammesso e non concesso che Israele democraticamente possa pensare di andare a resettare i Cattivi o con le bombe o esortando i ribelli a promuovere un cambio di regime (cosa, quest’ultima, che finora non ha funzionato), vorrei concentrarmi sulla nostra doppia morale rispetto ai paesi arabi: da una parte noi diciamo che in Iran c’è un regime poi esploriamo tutte le aree commerciali per aumentare l’export italiano. Il ministro Adolfo Urso lo sa benissimo visto che, in passato, è stato anche un imprenditore per anni in affari con l’Iran. Prima di cedere le quote al figlio, Urso ha avuto ruoli operativi e la rappresentanza legale della società di consulenza Italy World Service srl.

Gli affari con l’Iran erano il pezzo fortissimo della società (bilanci alla mano), tant’è che quando nel marzo 2018 chiuse la sede di Teheran gli affari passarono dai 425mila euro fatturati nel 2016 a 57 mila nel 2019. Un crollo verticale.

Quindi Urso è stato uno degli imprenditori italiani che non disdegnano fare business in Iran, cioé il regime oppressivo e opprimente. “Nel 2024 – leggiamo nei report ufficiali – l’Italia ha mantenuto un export verso l’Iran stabile intorno ai 600 milioni euro, guidato da macchinari, chimica, farmaceutica e tecnologia. Le sfide geopolitiche ed economiche persistono, ma il Made in Italy continua a trovare canali attivi, soprattutto nei segmenti medico, agroalimentare e lusso. Le opportunità emergenti nell’energia, automotive e edilizia richiedono un approccio flessibile e conforme alle normative locali, per valorizzare la qualità italiana in un contesto complesso ma ricco di potenzialità.

Nel 2024 l’Italia ha mantenuto un forte legame commerciale con l’Iran, segnando un interscambio UE–Iran di circa 3,77 miliardi di euro nei primi 10 mesi, con l’Italia al secondo posto tra i partner europei a 585 milioni di euro di export. Il valore totale delle esportazioni verso l’Iran ha superato i 600 milioni di euro nel 2023 e si è confermato anche nel 2024. Era stato di 552 milioni nel 2022 e 600 milioni (+8,7%) nel 2023. Dato che, appunto, si è confermato nel 2024.

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In poche parole in Iran si fanno buonissimi affari con buona pace degli ayatollah e della democrazia negata. Del resto il business è quel che fa girare il mondo. La pensa esattamente così Donald Trump, il quale aveva aperto un canale sia con l’Iran che con la Siria dell’ex jihadista Al Jolani. Per non dire della mole di affari che Trump ha intercettato nel recente viaggio nel Golfo (al quale ha partecipato pure John Elkann, presidente di Stellantis ed editore di Repubblica e della Stampa). E arriviamo all’altro punto dell’incipit: <Nei Paesi arabi non c’è democrazia>. Sarà che nei paesi arabi non c’è democrazia ma dai Paesi arabi, attraverso i fondi sovrani, parte una montagna di soldi direzione Europa e Italia. Prima di entrare negli investimenti in Italia, giusto per dare un’idea di cosa parliamo fissiamo questo dato calcolato dal centro Global Swf: l’anno scorso i fondi sovrani hanno speso quasi 125 miliardi di dollari in 324 operazioni e portato i loro patrimoni al di sopra degli 11 mila miliardi. Per intendersi, si tratta di una somma equivalente a un decimo del prodotto interno lordo mondiale. A casa mia – la regola non mi sembra così difficile da comprendere – i creditori comandano, gli indebitati obbediscono. Quindi ci rendiamo conto che i nostri nuovi creditori vengono da quei Paesi non democratici di cui in queste ore tanto parliamo? E lo vogliamo capire che le operazioni nel mondo dello sport – dalla Formula Uno al calcio (il Paris Saint-Germain o i contratti faraonici ad allenatori e calciatori per andare in Arabia) – servono per guadagnare simpatia? Esattamente quel che fece Putin con Gazprom.

I fondi sovrani – dicevamo – sono ormai presenti anche in Italia. La Qatar Investment Authority è per esempio proprietaria dei grattacieli di Porta Nuova a Milano e socio di controllo del gruppo immobiliare Coima Res. Nei prossimi anni sono destinati a diventare protagonisti di grandi operazioni sul territorio italiano: basti pensare all’ingresso della Abu Dhabi Investment Authority, già socio di Teamsystem, nella cordata che ha comprato la rete Tim per 18,8 miliardi o al ruolo che i fondi sovrani potrebbero giocare nei 20 miliardi di privatizzazioni pianificati dal governo.

Non saranno democratici ma hanno un sacco di soldi per comprarci. Dopo di che chi ha i soldi sceglie la musica da cantare e soprattutto da ballare.





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