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Confindustria accessori moda, il primo trimestre 2025 chiude con ricavi in flessione (-6,4%)



Giovanna Ceolini (courtesy Confindustria accessori moda)

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Primo trimestre 2025 offuscato per il settore dell’accessorio made in Italy. Nel periodo il comparto ha registrato una contrazione del 6,4% del fatturato e un calo del 6,5% dell’export nei primi due mesi dell’anno, segnando una prosecuzione delle criticità che hanno interessato tutto il 2024. L’indagine congiunturale diffusa da Confindustria accessori moda, che rappresenta circa 10 mila imprese attive in settori strategici come pelletteria, calzatura, concia e pellicceria, evidenzia una frenata marcata dell’industria, confermata anche dal dato Istat sulla produzione industriale di un -16,4% nel periodo gennaio-aprile rispetto allo stesso quadrimestre del 2024.

Le difficoltà si riflettono anche sull’occupazione, con le ore di cassa integrazione autorizzate nei primi tre mesi dell’anno che sfiorano i 13 milioni, in incremento del 66% su base annua. «Il settore sta dimostrando resilienza, ma senza misure concrete si rischia il collasso. Chiediamo l’istituzione urgente di un tavolo tra produttori e brand per garantire la sopravvivenza della filiera del Made in Italy», è l’appello lanciato dalla presidente Giovanna Ceolini. «Servono credito d’imposta, sostegno all’internazionalizzazione, proroghe degli strumenti anticrisi e una nuova politica industriale orientata a innovazione e competitività. Il tempo è una variabile chiave. Ogni mese senza risposte è un passo indietro per il sistema moda italiano».

Il saldo commerciale rimane positivo per 2,2 miliardi di euro, ma la contrazione del 16,7% rispetto al 2024 solleva interrogativi sul posizionamento del prezzo dei prodotti made in Italy, oggi spesso percepiti come troppo onerosi rispetto alla capacità di spesa delle famiglie italiane. L’export segna una dinamica eterogenea. Stabile l’Ue (-0,3%), debolezza negli Usa (-1,2%) anche per effetto dei nuovi dazi, più marcata la frenata in Cina (-30,5%) e Hong Kong (-20,4%), mentre si registrano incrementi a doppia cifra in mercati emergenti come Turchia, Emirati Arabi e Kazakistan. Le aspettative per il secondo trimestre restano improntate alla cautela. Il 52% delle aziende prevede una situazione stazionaria ma insoddisfacente, con una su due che teme un’ulteriore contrazione dei ricavi, sul fronte occupazionale, il 70% prevede stabilità, il 28% riduzioni e solo il 10% un incremento. Il 39% prevede un nuovo ricorso alla Cig.

Alla base della stagnazione vi è la debolezza della domanda globale, indicata da 8 aziende su 10, seguita dalle tensioni geopolitiche (28%) e dalla crisi dei grandi marchi internazionali e dei dazi Usa (40%). Nonostante il quadro critico, le imprese cercano di mantenere il proprio capitale umano e mostrano un interesse crescente verso la sostenibilità, per il 56% delle aziende del comparto è una priorità, ma la mancanza di strumenti di supporto rischia di trasformarla in un obiettivo difficile da raggiungere. (riproduzione riservata)


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