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Il Rapporto sul Decennio Digitale: l’Italia tra progressi e sfide da colmare entro il 2030


A partire dal 2023, la Commissione europea ha introdotto un nuovo strumento per monitorare e guidare la trasformazione digitale degli Stati membri: il Rapporto sullo stato del decennio digitale. Questo documento ha sostituito il precedente indice DESI (Digital Economy and Society Index) e rappresenta oggi il principale mezzo attraverso cui l’Unione valuta annualmente i progressi verso gli ambiziosi obiettivi fissati per il 2030 nell’ambito della strategia europea per il decennio digitale. Rispetto al DESI, il nuovo rapporto ha una funzione non solo descrittiva, ma anche strategica: è progettato per orientare le scelte dei governi nazionali, valutare l’efficacia delle politiche digitali e garantire un impiego coerente e mirato dei fondi europei, come quelli del PNRR e del programma Europa Digitale.

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Il rapporto si articola su quattro pilastri fondamentali: le competenze digitali, le infrastrutture digitali, la digitalizzazione delle imprese e quella della pubblica amministrazione. L’Unione Europea ha fissato traguardi precisi da raggiungere entro il 2030: almeno l’80% della popolazione adulta dovrà possedere competenze digitali di base; la connettività ad altissima capacità e le reti 5G dovranno essere disponibili ovunque; il 75% delle imprese dovrà adottare tecnologie digitali avanzate come cloud, big data e intelligenza artificiale; infine, tutti i principali servizi pubblici dovranno essere accessibili online tramite un’identità digitale sicura, come si legge su giovannibonati.it.

Un articolo pubblicato su The Sandwicher analizza l’ultima edizione del Rapporto con un focus particolare sull’Italia, evidenziando progressi e criticità. Sul fronte delle competenze digitali, il Paese mostra ancora ritardi significativi: soltanto circa il 46% della popolazione tra i 16 e i 74 anni possiede competenze digitali di base, un dato inferiore alla media europea e lontano dall’obiettivo fissato. Tale carenza costituisce un ostacolo concreto alla piena partecipazione alla vita digitale, sia in ambito lavorativo che sociale.

Per quanto riguarda le infrastrutture, l’Italia ha compiuto importanti passi avanti, in particolare nella diffusione della fibra ottica e del 5G. Tuttavia, permane un forte divario territoriale tra le aree più sviluppate e quelle interne o meridionali, che penalizza l’accesso equo alla connettività e limita le opportunità di sviluppo digitale nelle zone meno servite.

La situazione è altrettanto complessa sul fronte della digitalizzazione delle imprese. Nonostante la crescente diffusione dell’e-commerce e la disponibilità di incentivi pubblici, molte piccole e medie imprese italiane non hanno ancora adottato tecnologie avanzate come l’intelligenza artificiale o il cloud computing. Le cause principali sono riconducibili a ostacoli culturali, scarsa formazione manageriale e limitata consapevolezza delle opportunità offerte dalla trasformazione digitale.

Anche la pubblica amministrazione ha fatto registrare progressi negli ultimi anni, grazie all’introduzione di strumenti come SPID, la CIE e l’app IO. Tuttavia, restano evidenti criticità in termini di qualità e accessibilità dei servizi digitali, con una forte disomogeneità tra i diversi territori e una carenza di interoperabilità tra le piattaforme dei vari enti. La digitalizzazione della PA richiede non solo infrastrutture e tecnologie, ma anche una profonda riorganizzazione dei processi interni e un investimento sistemico nelle competenze del personale.

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Il Rapporto sullo stato del decennio digitale non rappresenta semplicemente una raccolta di dati, ma costituisce un importante strumento di governance e coordinamento europeo. Le raccomandazioni che ne derivano sono pensate per aiutare gli Stati membri a migliorare l’efficacia delle proprie politiche, facilitando un approccio condiviso alla trasformazione digitale. Per l’Italia, ciò significa affrontare non solo sfide tecnologiche, ma anche culturali, amministrative e sociali.

In un contesto in cui la digitalizzazione è sempre più cruciale per la competitività economica, la coesione sociale e la resilienza democratica, colmare i ritardi accumulati diventa un obiettivo strategico. Non basta investire in tecnologia: è essenziale investire in capitale umano, in formazione continua e in istituzioni capaci di guidare in modo consapevole e inclusivo questa transizione.



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