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Coin, i nuovi proprietari con il piano di salvataggio ufficiale. Cosa cambia per dipendenti e fornitori


Dopo anni di difficoltà economiche Coin è oggi al centro di un piano di rilancio che vede coinvolti soggetti privati e istituzioni pubbliche. Si tratta di un intervento per salvaguardare un pezzo di storia del retail italiano, insieme ai posti di lavoro di oltre 1.300 dipendenti e a una rete di fornitori ormai sull’orlo del collasso.

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L’equilibrio tra uso dei fondi pubblici, partecipazione del capitale privato e responsabilità verso i creditori sarà, in questo senso, un banco di prova per valutare l’efficacia di questo tipo di operazioni di salvataggio misto. Facciamo il punto della situazione:


  • La struttura del piano di salvataggio di Coin

  • Quali conseguenze per i fornitori e i dipendenti

La struttura del piano di salvataggio di Coin

Il piano industriale messo a punto dai nuovi vertici aziendali di Coin si fonda su un intervento congiunto di capitale pubblico e privato, per un valore di 50 milioni di euro, destinati a ricapitalizzare la società e avviare un nuovo ciclo di crescita. Lo Stato ha scelto di giocare un ruolo diretto: tramite Invitalia, l’Agenzia nazionale per lo sviluppo di proprietà del Ministero dell’Economia, verranno versati 10 milioni di euro attraverso il Fondo Salvaguardia Imprese. L’ingresso dello Stato nel capitale di Coin, che si tradurrà in una partecipazione del 30,1% senza esercitare il controllo, è un segnale della volontà del Governo di proteggere un asset commerciale simbolo del Made in Italy nel settore della distribuzione.

Accanto a Invitalia si muovono diversi investitori privati, alcuni già presenti nel capitale e altri entrati per sostenere il piano. Tra i protagonisti figura Marco Marchi, patron del noto marchio Liu Jo, che attraverso la sua holding Mia Srl ha messo a disposizione 10 milioni di euro. In parallelo, la Sagitta SGR, società del gruppo Europa Investimenti, ha contribuito con risorse per un valore pari a circa 23 milioni di euro, mentre altri soggetti come Jonathan Kafri (tramite Jorall), Enzo De Gasperi (Hi Dec) e la società Generalfinance, quotata a Piazza Affari, hanno garantito altre risorse. In particolare, Generalfinance ha stanziato 15 milioni di euro sotto forma di credito dedicato a facilitare la gestione della cassa e supportare l’operatività nella fase di rilancio.

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Per consentire la ripartenza, il piano di salvataggio impone una ristrutturazione profonda dei debiti pregressi. Le cifre sono di 60 milioni di euro verso le banche e oltre 180 milioni nei confronti di fornitori, molti dei quali legati da anni a rapporti continuativi con il gruppo. Il piano prevede un taglio secco dell’88% dei crediti vantati, lasciando alle controparti il 12% da recuperare.

Quali conseguenze per i fornitori e i dipendenti

Per le imprese fornitrici, in gran parte piccole e medie aziende italiane del settore moda, casa e design, la richiesta di cancellare oltre 160 milioni di ordini già emessi è un colpo duro. La loro adesione al piano, pur non formalmente obbligatoria, è di fatto necessaria per ottenere l’omologa del Tribunale di Venezia, prevista entro la fine di maggio. Come dichiarato dal nuovo amministratore delegato Matteo Cosmi, a oggi sarebbero già stati siglati 330 accordi con i creditori per circa il 60% dell’esposizione totale.

Il futuro dei 1.390 dipendenti di Coin resta uno dei punti di attenzione. Il ministro delle Imprese e del Made in Italy ha ribadito la volontà del Governo di agire a tutela del capitale umano. Il piano industriale, oltre a prevedere la chiusura di alcuni punti vendita non redditizi ricolloca. La nuova governance punta al pareggio di bilancio entro il 2026 con una combinazione di razionalizzazione della rete commerciale, investimenti in e-commerce e rilancio del marchio, anche in ottica internazionale.

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