In un mondo già alle prese con conflitti irrisolti e focolai di crisi, l’innesco di nuove tensioni minaccia di divampare lungo una faglia geopolitica chiave. Per questo, il lancio dell’Operazione Sindoor, con cui l’India ha colpito diverse località in Pakistan e nel Kashmir, la notte scorsa è stato accolto da costernazione globale e appelli alla de-escalation. Il governo indiano ha dichiarato di aver ordinato il bombardamento di nove siti in Pakistan e sul lato pakistano della regione contesa del Kashmir in quella che ha descritto come una rappresaglia per l’attacco terroristico che due settimane fa aveva ucciso 26 turisti a Pahalgam, nel Kashmir amministrato dall’India. Nuova Delhi sospetta che sia l’intelligence pakistana a offrire protezione al gruppo terroristico responsabile del massacro. Da parte sua, Islamabad ha smentito ogni coinvolgimento, definito gli attacchi di Nuova Delhi “un atto di guerra” e risposto colpendo le posizioni dell’esercito indiano. Funzionari del governo pakistano affermano di aver abbattuto diversi aerei da guerra, infliggendo gravi perdite all’aviazione indiana. Lo scontro tra le due potenze nucleari avrebbe provocato finora almeno 38 morti mentre a livello internazionale si moltiplicano gli appelli alla de-escalation immediata.
India e Pakistan, una lunga storia di tensioni?
Le tensioni tra India e Pakistan affondano le radici nella nascita stessa dei due Paesi, nel 1947. Da allora, le due potenze nucleari hanno combattuto tre guerre e numerosi scontri a fuoco, soprattutto lungo il confine del Kashmir, regione a maggioranza musulmana reclamata da entrambi fin dall’indipendenza dall’Impero britannico. Il conflitto inizia con il “piano di partizione” dell’Indian Independence Act, che permetteva agli stati principeschi di scegliere a quale nazione aderire. Il mahraja del Kashmir — nonostante la popolazione fosse in gran parte musulmana — optò per l’India, scatenando la prima guerra indo-pakistana. Ne seguirono una seconda guerra nel 1965 e una terza nel 1971, che portò alla nascita del Bangladesh con il sostegno militare di Nuova Dehli al Pakistan orientale. Dopo diversi scontri negli anni Novanta, nel 2003 fu siglato un cessate il fuoco tuttora in vigore ma le ostilità sono periodicamente riprese. Nel 2016, a seguito dell’uccisione di 19 soldati indiani nell’attacco di Uri, l’India intraprese attacchi chirurgici lungo la Linea di Controllo. Nel 2019, l’attentato di Pulwama, che costò la vita a 40 paramilitari indiani, scatenò raid aerei nel profondo di Balakot, la prima azione del genere all’interno del Pakistan dal 1971, dando il via a incursioni di rappresaglia e intensi combattimenti aerei. Oggi, gli osservatori affermano che la rappresaglia per l’attacco di Pahalgam si distingue per la sua portata più ampia, poiché prende di mira simultaneamente le infrastrutture di tre importanti gruppi militanti con sede in Pakistan.
Chi c’è dietro l’attacco di Pahalgam?
Negli ultimi anni la crescente diffidenza di New Delhi per le spinte separatiste ha portato a una stretta securitaria: episodi di coprifuoco, arresti mirati, blackout digitali e censura da parte del governo indiano hanno alimentato le frustrazioni della popolazione locale, tra le più povere del subcontinente. Nel mentre, l’instabilità cronica ha creato terreno fertile per il proliferare di spinte centrifughe, che hanno avvantaggiato sia i movimenti separatisti che, in alcuni casi, i gruppi di ispirazione islamista. Se questo è il contesto, non è chiaro però chi sia responsabile dell’attacco di Pahalgam: l’India afferma di avere prove evidenti che collegano terroristi basati in Pakistan all’accaduto, mentre Islamabad sottolinea che Nuova Delhi non abbia fornito alcuna dimostrazione a sostegno delle accuse. Un gruppo militante relativamente nuovo, chiamato Kashmir Resistance, noto anche come The Resistance Front (TRF), aveva inizialmente rivendicato la responsabilità sui social media, ma avrebbe successivamente ritrattato. L’India ha classificato il TRF come “organizzazione terroristica” e lo ha collegato al gruppo islamista fuorilegge Lashkar-e-Tayyiba (LeT), responsabile della più sanguinosa serie di attentati che ha colpito l’India negli ultimi decenni e in particolare degli attentati del novembre 2008 a Mumbai in cui persero la vita 166 persone.
La risposta del Pakistan è inevitabile?
Dopo l’attacco di Pahalgam, i rapporti tra India e Pakistan si sono fortemente inaspriti: Nuova Delhi ha sospeso un trattato in base al quale condivide l’acqua con Islamabad nel bacino del fiume Indo e i due paesi hanno interrotto gli scambi commerciali e chiuso i loro confini terrestri. Il Pakistan ha anche chiuso il suo spazio aereo e le scuole nella parte del Kashmir sotto la sua amministrazione, nella capitale Islamabad e in tutto il Punjab. Gli scontri hanno spinto numerose compagnie aeree a modificare le rotte e cancellare i voli che avrebbero dovuto atterrare o sorvolare la regione. Intanto, la maggior parte degli esperti concorda sul fatto che una rappresaglia da parte del Pakistan sia inevitabile. Data la retorica mediatica dell’esercito pakistano e la dichiarata determinazione a “regolare i conti”, nei prossimi giorni molti dicono di aspettarsi un’azione di ritorsione, forse sotto forma di attacchi mirati oltre confine. Il rischio è che simili attacchi possano degenerare in una guerra convenzionale limitata. “La risposta del Pakistan arriverà sicuramente. La sfida sarà gestire il prossimo livello di escalation” afferma Ajay Bisaria, ex alto commissario indiano in Pakistan alla Bbc: “È qui che la diplomazia di crisi sarà decisiva”.
Il commento
Di Nicola Missaglia, Head of Communications and Publications, Research Fellow – India Desk
“In pochi giorni la tensione tra India e Pakistan ha raggiunto un picco che non toccava da anni, e il rischio è che ora la situazione possa sfuggire di mano. Diversamente dagli scontri che avevano opposto i due paesi nel 2019 e negli anni precedenti, questa volta le soglie psicologiche superate sono molte: dal terribile attentato contro civili indiani, laddove negli ultimi anni gli attentati avevano preso di mira soprattutto i militari (ammesso che nell’episodio sia effettivamente convolto il Pakistan), alla ritorsione indiana che seppur mirata ha colpito un numero elevato di obiettivi, anche nell’entroterra pakistano. La speranza è che le due parti mantengano aperti i canali di dialogo che avevano avviato negli ultimi mesi e affrontino questa situazione delicatissima con responsabilità. Anche perché, come ha ricordato il Segretario generale dell’ONU Guterres, in questo momento il mondo già travolto dai conflitti non è in grado di affrontare anche una guerra tra due potenze nucleari. A farne le spese sarebbero ancora una volta i più fragili, come gli abitanti del Kashmir già martoriato da più di mezzo secolo di violenze”.
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