L’OCSE, Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, ha pubblicato un report sull’adozione dell’Intelligenza Artificiale da parte delle imprese del G7. Sono 840 le aziende prese in esame tra Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e USA, dividendo i dati tra organizzazioni manifatturiere e ICT. Sotto la lente di ingrandimento ci sono imprese medie (da 50 a 249 dipendenti) e grandi (dai 250 dipendenti in su).
L’indagine è stata effettuata tra il 2022 e il 2023 e considera diversi ambiti dell’integrazione IA-aziende, spaziando dalle competenze alle qualifiche della forza lavoro, passando per gli ostacoli della transizione e la collaborazione con enti o università.
Un settore in crescita
I primi numeri che ci si presentano sono quelli sull’importanza data alle soluzioni IA. Più del 53% del settore ritiene che l’adozione di tali strumenti sia cruciale, mentre il 39% gli attribuisce soltanto un’importanza media.
Poi si passa ai dati sulla quantità di soluzioni IA adottate a livello aziendale, divise in 11 campi di applicazione dal product design al miglioramento delle attività di ricerca e sviluppo. L’Italia ottiene soltanto il penultimo posto, con un valore medio di 5,2. Importante notare che le ultime della classifica sono le aziende americane con una media di 4,9 e le prime quelle francesi con 6,4. È andando a scavare nei grafici che, però, si vede come in Italia il 28% del campione usi l’IA in 5 applicazioni, il dato più alto su questa fascia.
Anche la qualità dei dati e la loro rispettiva disponibilità incidono sull’andamento del trend, tanto che il 78% delle imprese nel manifatturiero e il 77% dell’ICT acquisiscono dati da processi e attività interne. Il settore pubblico in questo campo pecca ancora, attestandosi al 51% e 52%. Tali numeri però non sono altro che una media, perché c’è squilibrio anche tra i diversi Paesi del G7. Ad esempio, le aziende giapponesi si basano all’86% sui processi interni, mentre quelle inglesi superano il 60% guardando al settore pubblico.
Competenze e investimenti
Le competenze sono un altro fattore chiave per la transizione. È fondamentale poter usufruire di professionisti qualificati per sviluppare soluzioni affidabili e sicure. OCSE ha chiesto alle imprese quante difficoltà hanno trovato nel comprendere quali fossero le competenze necessarie per i ruoli IA, e il 40% delle aziende italiane ammette di essere stata in crisi nel processo di assunzione di nuove figure. Capolista il Giappone, che forse paga il pegno di una società storicamente chiusa e si attesta al 60%.
L’ostacolo principale resta comunque l’ROI, il Return on Investment o ritorno dell’investimento, che il 62% delle aziende manifatturiere percepiscono come incerto. La tendenza, seppur minore, si nota anche nel comparto ICT che si ferma al 56%. Altri aspetti dell’indagine vanno a considerare le preoccupazioni per la privacy e la sicurezza (ICT 57% e manifatturiero 55%), la mancanza di chiarezza sulla responsabilità legale (46%/40%) e la riluttanza del personale interno, in cui il manifatturiero trova un valore medio (45%) di 11 punti più alto rispetto all’ICT.
L’IA come leva strategica
Il report dell’OCSE restituisce un’immagine complessa e sfaccettata di un mondo in transizione. Il tessuto produttivo di tutti i 7 Paesi, seppur diverso sotto diversi aspetti, trova un punto di accordo nel considerare l’IA non solo come un aiuto importante all’efficienza delle singole aziende, ma anche uno strumento di potere in grado di migliorare la competitività e il guadagno.
Di contro, in tutti i Paesi si incontrano ancora troppi ostacoli, che vanno dall’esigenza di uno snellimento normativo alla formazione di figure in grado di guidare un progresso sempre più rapido.
Articolo di L.C.
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