(a cura di Marco Carlomagno, segretario generale FLP)
«Non sono tollerabili né indifferenza né rassegnazione». Con queste parole si è pronunciato il presidente della Repubblica Mattarella in occasione della Giornata internazionale della Sicurezza, di fronte ai dati allarmanti sulle morti sul lavoro dei primi tre mesi del 2025, che vedono un aumento di circa il 9% (dati Inail) rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Centinaia di vittime e centinaia di famiglie «consegnate alla disperazione», per citare ancora Mattarella, numeri che impongono, senza ulteriori indugi, di rafforzare concretamente il sistema di sicurezza sul lavoro in Italia.
È con queste premesse che si è avviato il Tavolo di confronto con le parti sociali, convocato dal governo a Palazzo Chigi lo scorso 8 maggio – a cui hanno partecipato tra gli altri anche la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il Vice premier Antonio Tajani e la Ministra del lavoro Marina Calderone – dove sono emerse le cifre degli investimenti pubblici messi a disposizione dal governo che, pur ancora decisamente insufficienti e basati su parte degli avanzi di gestione dell’Inail, sembrano rappresentare quantomeno un primo passo per passare dalle parole ai fatti, adottando misure strutturali, innovative e orientate alla prevenzione. Una concretezza che finora è stata assente: se ogni giorno in Italia, in media, muoiono tre persone sul posto di lavoro (Inail) non è certo per fatalità, bensì per carenze strutturali, disorganizzazione, superficialità e scelte criminali da parte di chi mette il profitto prima della vita umana, che rimangono troppo spesso impunite.
La questione della responsabilità in materia di sicurezza sul lavoro è anche al centro del quarto quesito del Referendum dell’8 e 9 giugno. I cittadini sono chiamati a votare sul principio di “responsabilità solidale”: si vota per abrogare la norma che limita la responsabilità del committente rispetto ai “rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici”, un’espressione piuttosto ambigua, che finisce per lasciare i lavoratori che hanno subito il danno senza tutela e senza giustizia, perse nei meandri del sistema di appalti e subappalti. Una questione fondamentale, che ci auguriamo vada anche oltre il momento del Referendum (che, come sappiamo, non è detto raggiunga il quorum): speriamo infatti che anche il Governo, come preannunciato dalla presidente del Consiglio, si faccia carico di questo tema e come Flp stiamo lavorando in tal senso.
Le norme, come sappiamo, ci sono, eppure la situazione non cambia. Com’è possibile? Vale la pena ricordare i tre pilastri fondamentali della sicurezza sul lavoro: l’impianto normativo, il sistema dei controlli e la diffusione e incentivazione della cultura sul tema. Pilastri sui quali si sono basate le proposte di Cse/Flp al momento del confronto con il governo.
Le norme, dunque. L’attuale impianto normativo prevede l’intervento di una serie di figure nell’ambito della sicurezza aziendale, tra cui proprio il datore di lavoro e anche il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, il medico competente, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, tutte figure che comunque a quel datore di lavoro – spesso principale responsabile delle violazioni della normativa – sono subordinate. Insomma, chi dovrebbe vigilare e denunciare le irregolarità si trova in una posizione piuttosto difficile. Di fronte a questo scenario una delle proposte che abbiamo avanzato come Cse/Flp va nella direzione di garantire l’effettiva protezione dell’anonimato e l’immunità da ritorsioni per coloro che denunciano: una piattaforma digitale unica, collegata direttamente agli enti ispettivi e di vigilanza, attraverso cui i lavoratori possano segnalare situazioni di pericolo o violazioni della normativa.
Ancora sul primo pilastro abbiamo suggerito delle migliorie per la cosiddetta patente a punti che lascia attualmente molte scappatoie, proponendo invece un sistema di penalizzazione per le imprese sanzionate, che preveda, per un determinato periodo, la loro esclusione da agevolazioni o esenzioni fiscali, o una limitazione alla partecipazione ad appalti pubblici i cui importi siano superiori a una determinata soglia.
Infine, abbiamo proposto di incentivare gli investimenti per la sicurezza con significative detrazioni fiscali per quelle imprese che investono nei settori dell’innovazione, della sicurezza e della prevenzione, con iniziative che vanno al di là delle previsioni strettamente obbligatorie.
Per quanto riguarda il secondo pilastro, ci sembra assolutamente necessario incrementare il numero degli ispettori di tutti gli enti preposti al controllo per aumentare quantitativamente il numero dei controlli, ma anche affrontare la questione del mancato adeguamento di tutta la struttura preposta, dal 2021 tornata in capo all’Ispettorato Nazionale del Lavoro, dopo circa 40 anni. Gli ispettorati territoriali si son ritrovati oberati da gravami amministrativi, che poco si conciliano con la natura dell’organo di vigilanza, rallentando proprio coloro che dovrebbero operare attività di vigilanza continua e ininterrotta alla ricerca di lavoro irregolare – perché dove c’è lavoro irregolare, c’è lavoro insicuro.
Passando al terzo pilastro non si può prescindere da un maggiore investimento in comunicazione istituzionale e campagne di sensibilizzazione: la sicurezza sul lavoro è un valore collettivo, e come tale è bene che venga compreso.
Solo così, investendo su tutti e tre i pilastri con una visione sistemica e orientata alla prevenzione, si potranno salvare le vite e costruire un nuovo patto sociale tra istituzioni, parti sociali, imprese e lavoratori, perché le storie di Luana D’Orazio, Peter Isiwele, Antonino Micali hanno bisogno di risposte serie, responsabili e immediate.
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