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Casaluci (Pirelli): «Futuro a rischio, serve una soluzione urgente sulla governance»


di
Federico De Rosa

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Il ceo di Pirelli, Andrea Casaluci: «Lo stallo con Sinochem (nato dopo la dichiarazione di decadenza del controllo della società cinese su Pirelli, ndr) può frenare lo sviluppo, non solo negli Usa»

I rapporti tra il management Pirelli e Sinochem sono ai minimi. Il bilancio 2024 e la trimestrale sono stati bocciati dai rappresentanti dell’azionista cinese, portando a uno stallo in consiglio che «sta mettendo a rischio lo sviluppo futuro del gruppo» avverte l’amministratore delegato Andrea Casaluci. Lo stallo nasce in seguito alla dichiarazione di decadenza del controllo di Sinochem su Pirelli, deliberata dal cda e indicata nel bilancio 2024. I consiglieri cinesi hanno votato contro ritenendo di avere ancora questa prerogativa, facendo così naufragare anche l’accordo in discussione per superare i problemi legati allo sviluppo del business negli Usa. Casaluci è fiducioso sulla possibilità di arrivare a una soluzione, ma anche preoccupato per il perdurare dello stallo.

Cosa sta succedendo in Pirelli?
«Partirei da una premessa: quello del 2024 è il bilancio migliore della storia del gruppo e anche la trimestrale appena esaminata presenta conti record. Malgrado il contesto esterno del mondo dell’automotive oggi sia particolarmente complesso, Pirelli emerge come una delle poche realtà che sta continuando a crescere, che ha una redditività superiore a quella dell’industria in cui opera. Anche i piani di sostenibilità stanno dando i risultati che ci eravamo posti. Ci stiamo posizionando come una delle società più innovative in assoluto nell’automotive».
Sinochem sembra però più interessato alla governance che ai risultati. L’anno scorso il Golden power gli ha sottratto potere sulle materie strategiche per Pirelli e adesso c’è il problema del bando americano sulle componenti cinesi per i veicoli connessi, che mette di nuovo in discussione il loro ruolo nel gruppo.




















































Inquadriamo prima la situazione. Oggi da un punto di vista geopolitico c’è un conflitto ormai consolidato tra Stati Uniti e Cina. Era cominciato con la prima amministrazione Trump e proseguito con Biden. In questo contesto avere un socio di maggioranza relativa controllato direttamente dal governo della Repubblica popolare cinese ci sta creando molte difficoltà nello sviluppo del business negli Stati Uniti. Chiariamo, non c’è un tema Cina per Pirelli, abbiamo un rapporto straordinario con il Paese in cui siamo con presenza industriale da 20 anni. Quindi il tema non è di rapporto con la Cina, ma la presenza nella struttura azionaria e nella governance di Pirelli di un socio cinese controllato dal governo e con una quota rilevante».

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La bocciatura dei conti, nata a seguito della contesa sull’esistenza o meno del controllo su Pirelli, ha aperto una spaccatura, confermata dal no alla proposta per superare il problema Usa. Cosa prevedeva?
«Abbiamo proposto a Sinochem una soluzione, nell’interesse di tutti gli azionisti, per consentire a Pirelli di rispettare le normative negli Stati Uniti, perché gli impatti ci sono già su un mercato che vale il 40% del segmento High-Value.
Purtroppo, come Pirelli ha già comunicato, Sinochem ha rifiutato la proposta e ci ha invece informato di averne presentata una propria direttamente al Golden power, senza coinvolgere la società, neanche successivamente su nostra sollecitazione, e che ancora oggi non conosciamo».
Sinochem ha dichiarato che la vostra era una proposta nell’interesse di Camfin.
«La soluzione era pensata nell’interesse di tutti gli azionisti, perché non avremmo mai fatto un’operazione che non fosse equa e simmetrica per tutti. Va comunque ricordato che Camfin, da quasi 40 anni, è a fianco di Pirelli a supporto del suo sviluppo industriale ed è sempre stata a disposizione per valutare soluzioni nel migliore interesse di Pirelli».

Adesso la situazione è in stallo. Aspettate che sia il Comitato per il Golden power a dare un’indicazione?
«Pirelli è un asset considerato strategico per il Paese e abbiamo delle tecnologie tutelate sulle quali vigila il Comitato Golden power. Quest’ultimo, che già nel 2023 era intervenuto per ripristinare lo spirito originario dei patti parasociali, farà le valutazioni che riterrà più opportune. Dal canto nostro, l’obiettivo è trovare soluzioni che possano garantire a Pirelli di operare in tutti i mercati del mondo, in particolare quello Usa, senza vincoli e restrizioni, pensando solo allo sviluppo industriale della società. In assenza di una soluzione, lo sviluppo delle tecnologie rilevanti di Pirelli sarebbe compromesso e di conseguenza anche la crescita futura sarebbe fortemente a rischio, in tutti i mercati e soprattutto in Italia».

Perché in Italia?
«È qui il cuore della nostra tecnologia: la Ricerca e Sviluppo di Milano, il Digital Solutions Center di Bari, il polo tecnologico di Settimo Torinese e la fabbrica di Bollate, dedicata a pneumatici bici di altissima gamma. Stiamo inoltre studiando da tempo un nuovo centro di innovazione e sperimentazione per la mobilità connessa e sostenibile del futuro che collegherà tutte queste realtà coinvolgendo in una grande rete anche i nostri partner industriali. Per questo centro abbiamo già individuato siti industriali o militari in disuso da riqualificare. Questo percorso di sviluppo, che potrà avere un impatto occupazionale potenziale fino a mille persone altamente qualificate, rischia di naufragare in assenza di una soluzione in tempi rapidi. È questa la nostra preoccupazione, ma siamo fiduciosi di trovare una soluzione».

La normativa sui connected vehicles colpisce le componenti software e hardware a partire dal 2027. È così urgente affrontarla adesso?
«Sì, perché le case automobilistiche stanno già oggi sviluppando i veicoli che verranno commercializzati nel 2027 tenendo conto delle nuove normative. Di qui l’urgenza.
La tematica relativa alle restrizioni alla componentistica per i veicoli connessi è quella che più ci preoccupa, perché precludere lo sviluppo per gli Stati Uniti significa incidere sul futuro del Cyber Tyre: nessuna casa auto svilupperebbe un veicolo con una tecnologia che in Usa è bandita per le sue caratteristiche tecniche e per la governance della società che la produce. Il Cyber Tyre è un sistema hardware e software che consente di raccogliere dati unici dai sensori nel pneumatico ed elaborarli, grazie ai nostri algoritmi proprietari, in informazioni utili a migliorare la sicurezza e la performance di guida. La tecnologia Cyber Tyre non è un’applicazione limitata solo alle auto, ma la stiamo sviluppando in Italia anche per il monitoraggio e la manutenzione della rete stradale con importanti partner, come Movyon, Autostrade per l’Italia e Anas».

Avete già avuto riscontro che l’attuale assetto di governance crea problemi per Pirelli negli Usa?
«Sì, abbiamo avuto riscontri dalle autorità Usa sulle tematiche sollevate e siamo costantemente in contatto per trovare un percorso. Abbiamo aggiornato il consiglio sulle evidenze emerse e sui rischi prospettici, che non si limitano ai veicoli connessi, ma anche ai dazi e agli investimenti industriali necessari per espandere la capacità produttiva. Dobbiamo poter sviluppare le strategie e per questo serve una soluzione rapida e definitiva per continuare a crescere e a creare occupazione in tutti i Paesi in cui operiamo, mantenendo il cuore dell’innovazione in Italia. Pirelli è un’eccellenza che porta il Made in Italy nel mondo. Continuare a crescere è la cosa più importante per il futuro dell’azienda».

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