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Inutile che le aziende usino l’intelligenza artificiale se poi non sanno leggere i dati


E’ un rischio che vedo sempre più spesso nel mio lavoro di consulente direzionale: molti piccoli imprenditori, già poco abituati a ragionare “fuori dagli schemi”, iniziano ad affidarsi troppo ciecamente ai numeri e alle risposte fornite dai software di intelligenza artificiale. Questi strumenti possono essere utili, certo. Ma se non si mantengono accesi il buon senso e la capacità di guardare oltre quello che dicono i dati, si finisce per prendere decisioni sbagliate. È come guidare guardando solo il navigatore, senza mai alzare gli occhi dalla strada: prima o poi si finisce in un fosso.

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Viviamo in un periodo in cui tutti parlano di “dati”. Ci dicono che più numeri abbiamo, meglio possiamo decidere. E allora le aziende italiane iniziano a raccogliere tutto: quante vendite, quanti clienti, quanto traffico sul sito, quanti click su una pubblicità, quale quota di mercato ha il suo concorrente diretto.

Il problema nasce quando ci si affida ai numeri senza capirli e senza sapere da dove arrivano. Questo accade spesso quando i dati non vengono raccolti e analizzati all’interno dell’azienda – magari perché non si ha un gestionale clienti (CRM), non si fa controllo di gestione, o perché il commercialista consegna i bilanci mesi dopo il periodo di riferimento. In questi casi, ci si appoggia a strumenti di intelligenza artificiale che offrono “dati pronti”, ma generici che non sempre spiegano come sono stati calcolati.

Un esempio pratico: un salone di parrucchieri a Benevento usa una piattaforma che gli suggerisce di fare offerte il lunedì, perché “è il giorno con più ricerche online”. Ma se quel giorno il negozio è sempre vuoto, e la clientela arriva soprattutto il venerdì e il sabato, allora quei dati non servono. Anzi, rischiano di far prendere decisioni sbagliate, solo perché “lo dice l’algoritmo”. I dati vanno capiti, interpretati, messi in relazione con la realtà. Un artigiano del Sud Italia che lavora bene con i clienti e si fa conoscere col passaparola non vedrà mai quei risultati in un foglio Excel. Ma il valore della sua reputazione, della fiducia, delle relazioni… quello non si misura con un algoritmo.

Sempre più spesso le aziende usano software di IA avanzati, che elaborano grandi quantità di dati e ti dicono cosa fare. Il problema? Spesso non si capisce come arrivano a quella risposta. È come quando un consulente ti dice: “Fidati, è così”. E tu, non avendo gli strumenti per capire, ti fidi. Ma se il software ti suggerisce di aumentare i prezzi proprio mentre nel tuo quartiere aprono tre concorrenti più economici, allora il rischio di fare un errore è alto.

In Italia abbiamo già visto come certe decisioni prese solo su base statistica abbiano portato problemi: algoritmi che dovevano assegnare bonus o punteggi (ad esempio nella scuola o nei concorsi pubblici) sono stati spesso contestati, perché non tenevano conto dei veri contesti delle persone.

Un altro punto da tenere presente è che l’intelligenza artificiale oggi rende più semplice raccogliere e analizzare i dati, anche per le piccole imprese. Ci sono strumenti accessibili e a basso costo che possono aiutare un imprenditore di Caserta o di Modena a capire meglio i suoi clienti, i costi o le tendenze di mercato.

Il vero rischio, però, è non sapere come usare quei dati o fidarsi ciecamente delle risposte dei software, senza capirne il funzionamento. Inoltre, i dati più preziosi – quelli generati da milioni di persone sui social, nelle ricerche online o negli acquisti – restano nelle mani di pochi grandi gruppi tecnologici. E quando le grandi piattaforme decidono come presentarci i numeri, lo fanno seguendo i loro interessi, non i nostri. In pratica: gli strumenti ci sono, ma serve testa per usarli. E un pizzico di diffidenza per non prendere per oro colato tutto ciò che viene da “chi ci vede da dentro”, mentre noi vediamo solo la vetrina.

Non bisogna essere contrari alla tecnologia. I dati possono aiutare a migliorare l’organizzazione, a scoprire cosa vogliono davvero i clienti, a capire quali spese sono inutili.

Ma i dati non devono sostituire il pensiero. Devono essere un supporto. Il pizzaiolo che cambia impasto perché sente che i clienti lo vogliono più digeribile non ha bisogno di un grafico a torta per capirlo. Lo capisce guardando la gente in faccia. Un imprenditore agricolo che vede che il raccolto quest’anno è stato scarso non aspetta il bollettino dei dati: lo sa perché vive la terra ogni giorno.

In un mondo che corre verso l’intelligenza artificiale, l’automazione e le analisi digitali, chi lavora con le mani, con l’intuito e con l’esperienza ha ancora un vantaggio: il contatto diretto con la realtà. Usiamo pure i dati, ma continuiamo a pensare. Non lasciamo che siano solo i numeri a dirci dove andare. Perché alla fine, nessun software conosce davvero il cuore di un’impresa come lo conosce chi ci lavora ogni giorno.



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