L’area di libero scambio continentale africana (AfCFTA) ha già compiuto 4 anni. Entrata in vigore nel 2021 ma operativa in parte solo da ottobre 2022 grazie a un progetto pilota, ha visto aderire tutti gli Stati africani tranne l’Eritrea. Prevede la progressiva riduzione del 90% delle tariffe doganali fino all’azzeramento nel 2030 e mira alla creazione di un mercato unico con la libera circolazione di persone, servizi e capitali.
Ma le imprese non sono pienamente consapevoli dei benifici disponibili e la scarsa fiducia tra le amministrazioni doganali rallenta la buona riuscita del progetto, che aumenterebbe il commercio intra-africano del 45% entro il 2045. Ad oggi questo non raggiunge il 20% del totale degli scambi del continente.
Lo scorso marzo la Commissione economica per l’Africa delle Nazioni Unite (UNECA) ha pubblicato l’ultimo Rapporto economico sull’Africa per l’implementazione dell’AfCFTA: se le infrastrutture fisiche sono vitali – si legge – quelle soft sono altrettanto significative, come politiche commerciali e doganali armonizzate e quadri normativi efficacemente condivisi.
Ma in proposito, secondo Danilo Desiderio, consulente della Banca Mondiale in materia di commercio, dogane e trasporti, «c’è una forma di resistenza da parte dei funzionari doganali verso l’attuazione dell’area di libero scambio. Oltre alla perdita di introiti per l’erario, il loro timore principale è la riduzione dei controlli che rischia di facilitare il contrabbando».
Per usufruire del regime tariffario agevolato occorre che la merce sia accompagnata dal certificato di origine preferenziale, che ne attesta la provenienza da uno degli Stati firmatari dell’AfCFTA. Per ottenerlo, gli esportatori sono sottoposti a ispezioni aziendali da parte delle dogane o altre autorità che verificano il rispetto dei criteri di origine, come la produzione in loco o la trasformazione sostanziale della materia commercializzata.
Proprio in occasione di un ciclo di formazione sulle regole di questi certificati, tenutosi nel 2023-24 nella Repubblica democratica del Congo, Desiderio è stato travolto dalle domande sugli scenari di una frontiera senza dazi: «Ho dovuto spiegare ai funzionari locali che non possono adottare alcuna discrezionalità: devono rispettare le regole e il calendario di riduzione tariffaria prestabiliti e che, per essere implementato correttamente, l’accordo di libero scambio richiede una rapporto fiduciario tra le amministrazioni doganali dei Paesi di importazione ed esportazione».
La generale diffidenza tra queste autorità deriva, tra le altre cose, dalla diffusione di fenomeni corruttivi alla frontiera, per cui i doganieri, spesso retribuiti con salari irrisori, «temono di accettare acriticamente i certificati di origine poiché, se in seguito allo svincolo della merce si riscontrassero irregolarità, rischierebbero di essere sanzionati o di perdere il posto di lavoro», prosegue Desiderio.
Talvolta le dogane africane ritengono più credibile la documentazione ricevuta dai Paesi stranieri che dalle dogane di altri Paesi africani, anche se nell’ambito di organizzazioni regionali, come la Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS) o la Comunità dell’Africa Orientale (EAC). In occasione di un evento dell’Organizzazione Mondiale delle Dogane svoltosi nel 2022 ad Abidjan, spiega infatti il consulente, «i funzionari doganali ivoriani spiegarono di accettare più facilmente i certificati di origine EUR1, emessi dagli esportatori dell’Unione Europea, rispetto a quelli presentati dagli operatori di altri Stati del blocco ECOWAS [di cui la Costa D’Avorio fa parte], per via dei controlli poco rigorosi che i loro colleghi effettuano in tali Stati».
Sullo sfondo c’è lo scarso utilizzo dei certificati di origine da parte delle imprese. Con uno studio pubblicato a settembre 2024, il centro di ricerca ODI Global ha analizzato il processo di adesione al regime doganale dell’AfCFTA, prendendo in esame il caso del Ghana, uno dei primi Paesi a commerciare con le tariffe preferenziali. Qui il 70% delle imprese intervistate ha dichiarato di non sapere come conformare i propri processi produttivi per esportare ai sensi dell’Accordo.
La poca consapevolezza vale per l’AfCFTA sulla scia di quanto avviene già nelle comunità economiche regionali. Una ricerca di UNECA del 2021 sull’utilizzo delle aree commerciali preferenziali in Africa ha riscontrato, seppur in modo eterogeneo, che nelle comunità EAC, ECOWAS e altre, le tariffe agevolate non sono sfruttate a sufficienza. In tutti i casi osservati le micro e piccole imprese, quelle rappresentate da giovani e quelle gestite da donne fronteggiano maggiori ostacoli per usufruirne. Lo scarso accesso alle informazioni ne è la causa principale.
«Molti importatori africani non sono abituati a richiedere le esenzioni doganali e anche quando ne conoscono l’esistenza non sanno come avvalersene, o peggio ancora si rivolgono a intermediari non sempre qualificati» spiega Desiderio. E riporta il caso di un produttore di cosmetici keniota che lamentava di pagare circa il 20% di dazi su ogni acquisto di ingredienti dal Ruanda, Paese della comunità EAC come il Kenya. Quando Desiderio gli ha chiarito di poter richiedere l’esonero dei dazi, lui ha subito chiesto spiegazioni al suo agente doganale: «Perché non me lo hai detto?». E per tutta risposta: «Perché tu non me lo hai chiesto».
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