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Ilva, produzione dimezzata. Urso: «Ristori per l’indotto»


Nuova crisi per l’ex Ilva, certificata ieri al tavolo al Mimit con le aziende dell’indotto dal ministro delle Imprese e del made in Italy Adolfo Urso. Dopo l’incendio e il sequestro dell’Altiforno 1, «per i prossimi 7-8 mesi – ha spiegato il ministro – avremo una produzione dimezzata a Taranto, da 4 a 2 milioni di tonnellate di acciaio l’anno, con un solo altoforno in funzione e con ripercussioni dirette anche sugli altri stabilimenti». «Ma non tutto l’indotto sarà colpito – ha aggiunto il ministro -. La manutenzione continuerà e garantiranno lavoro e continuità a svariate aziende del territorio. Supereremo poi anche gli ultimi ostacoli con gli appositi ristori».

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Il Mimit istituirà nei prossimi giorni un gruppo tecnico insieme ai commissari di Acciaierie d’Italia, con l’obiettivo di distinguere tra le imprese che hanno subito danni effettivi e quelle che non ne hanno risentito. «Solo così – ha spiegato Urso – potremo garantire ristori adeguati, basati su dati oggettivi, anziché su stime approssimative». Il governo, poi, in un prossimo decreto legge sbloccherà risorse inutilizzate dalla Puglia, che si sommeranno ai 120 milioni messi in campo negli ultimi mesi per l’ex Ilva.

LE RIAPERTURE
Urso guarda all’indotto, come risorsa centrale per le attività manutentive e per il rilancio di Taranto, contribuendo all’esecuzione degli interventi necessari ad abilitare il rialzo dei livelli produttivi e il ripristino degli impianti. Anche se le conseguenze dello stop all’Altiforno 1 sono pesanti: meno produzione, meno occupazione, necessita di più risorse pubbliche e un «grande ostacolo al percorso verso la decarbonizzazione». L’Altoforno 2 tornerà operativo tra 4-5 mesi. Poi sarà la volta dell’Altoforno 4. «Nel frattempo affronteremo l’impatto occupazionale con responsabilità insieme a sindacati e istituzioni locali», ha garantito l’inquilino di Palazzo Piacentini.

IL NEGOZIATO
Nel frattempo il negoziato con gli azeri di Baku Steel è contemporaneamente a un punto critico e cruciale. Il governo azero spinge per una rapida intesa, ma sarebbe anche infastidito dai tempi lunghi e vorrebbe più garanzie pubbliche possibili. Da quanto filtra si sta trattando la vendita dell’ex Ilva con decarbonizzazione sulla base di aiuti pubblici e prestiti garantiti, per un controvalore di circa 5 miliardi, di cui due miliardi di prestiti bancari garantiti dalla Sace e tre di contributi pubblici. L’appello di Urso è a tutte le parti coinvolte, enti locali e sindacati inclusi, a fare la propria parte. Ma secondo Salvatore Toma, presidente di Confindustria Taranto, la trattativa non può chiudere prima della fine dell’anno. Al momento la Regione Puglia ha un confronto in corso anche sull’Autorizzazione integrata ambientale e rispetto allo stazionamento temporaneo di un rigassificatore. «Condizioni preliminari per ogni negoziato», ha ribatito Urso. Il Mimit è poi al lavoro per un accordo di programma con la Regione, il Comune, la Provincia, l’Autorità portuale e gli altri dicasteri per avere nell’impianto di Taranto tre forni elettrici, impianti “Dri”, cattura della CO2 e piena decarbonizzazione del sito siderurgico. La costruzione di un forno elettrico richiede circa quattro anni. «Il nostro piano – ha detto Urso – prevede una transizione graduale, ma strutturata su dodici anni, con la realizzazione di un forno ogni quattro anni che potrà contare, in parallelo, sul preridotto dei Dri a loro volta alimentati a gas».

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