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Mafia S.p.A vale il 2% del PIL


Nei cantieri, tra le pieghe delle gare pubbliche, nel flusso incessante dei rifiuti, nei bilanci di aziende apparentemente pulite e persino nelle risorse del PNRR: è lì che le mafie si muovono. Non più (soltanto) con la violenza, ma con metodo, discrezione e logica d’impresa. La criminalità organizzata ha (da tempo) cambiato pelle: è una realtà economica sofisticata, capace di inquinare il mercato, drenare risorse pubbliche e soffocare la concorrenza leale.

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Lo racconta, con toni allarmati ma precisi, l’ultima relazione della Direzione Investigativa Antimafia, presentata di recente al Parlamento. Oltre 500 pagine che offrono una fotografia aggiornata – e per certi aspetti inquietante – del potere economico delle mafie in Italia.

Attualita’

24 Febbraio 2025

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Affari, appalti e PNRR: la nuova strategia criminale

I numeri parlano chiaro: nel 2024, la DIA ha sequestrato beni per oltre 93 milioni di euro e disposto confische patrimoniali per quasi 160 milioni. Ma non basta guardare ai capitali sottratti: oggi le organizzazioni mafiose non si limitano ad accumulare denaro. Lo reinvestono, lo muovono, lo fanno “fruttare” sfruttando intercapedini normative, debolezze amministrative e – in alcuni casi – connivenze.

Il settore prediletto resta quello degli appalti. La DIA ha monitorato quasi 2.000 imprese e oltre 22.000 soggetti attivi nei lavori finanziati dallo Stato, spesso con fondi europei e del PNRR. I controlli si sono estesi a 200 cantieri, più di 4.300 lavoratori, oltre 1.150 imprese e 2.300 mezzi. E non mancano i casi concreti: l’operazione “Scialandro”, ad esempio, ha scoperchiato un sistema di nomine pilotate e ristori Covid usati per costruire consenso politico-clientelare.

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I settori più esposti

Il rapporto evidenzia come l’immobiliare sia il comparto più vulnerabile (38% dei casi di infiltrazione), seguito da allevamento e zootecnia (14%), trasporti (10%), ristorazione (9%), consulenze e commercio (7%), rifiuti e servizi ambientali (6%). Particolare attenzione è rivolta alla gestione dei rifiuti speciali e industriali, dove la ‘ndrangheta, soprattutto al Nord, riesce a inserirsi grazie a una rete di aziende di facciata e appalti comunali truccati.

«La mafia non ha più bisogno di conquistare il Nord con la violenza: lo colonizza silenziosamente, adottando strumenti e logiche dell’economia legale», ha affermato un alto dirigente della DIA. Solo nella provincia di Milano, nel 2024, sono state emesse 30 interdittive antimafia, in netto aumento rispetto all’anno precedente.

Il valore dell’economia criminale

Quanto vale oggi l’impresa mafiosa? Le stime variano. Secondo l’Ufficio studi della CGIA di Mestre, il volume d’affari generato dalle mafie italiane si aggira intorno ai 40 miliardi di euro all’anno, pari al 2% del PIL. Eurispes alza l’asticella: fino a 220 miliardi, ovvero l’11% del Prodotto Interno Lordo. Lo studio Transcrime propone una media intermedia di circa 25,7 miliardi, equivalente all’1,7% del PIL.

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A prescindere dalle cifre esatte, il quadro è chiaro: si tratta di una minaccia economica sistemica. Le mafie non si accontentano più del controllo territoriale, ma mirano a orientare flussi finanziari, gare pubbliche e cicli produttivi.

Tecnologia e crimine: la nuova frontiera

L’evoluzione passa anche attraverso l’innovazione. Le mafie usano criptovalute, piattaforme digitali, server cloud, software di crittografia. In Campania, piccoli droni sono stati utilizzati dalla camorra per far entrare droga nelle carceri. In Calabria, la ‘ndrangheta impiega circuiti finanziari decentralizzati per gestire partite di stupefacenti e attività di riciclaggio.

Non a caso, in molti ambienti giudiziari si parla ormai di “Mafia S.p.A.”: un modello fluido, imprenditoriale, capace di adattarsi alle evoluzioni tecnologiche. E le collaborazioni tra clan si fanno più fitte: joint venture criminali tra camorra, ‘ndrangheta e Cosa Nostra operano nel traffico internazionale e nella gestione illecita dei rifiuti.

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17 Marzo 2025

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Il caso Ponte sullo Stretto

Nel mirino della DIA c’è anche una delle grandi opere più discusse degli ultimi decenni: il Ponte sullo Stretto di Messina. Con un costo stimato attorno ai 14 miliardi di euro, il progetto rappresenta una ghiotta occasione per le mafie di infiltrarsi nei lavori pubblici e nei subappalti. La relazione 2024 segnala chiaramente il rischio.

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«La nostra attività di prevenzione sarà massima», ha dichiarato il direttore della DIA, Michele Carbone, confermando l’intenzione di tenere alta l’attenzione. Nel frattempo, sono già stati adottati oltre 200 provvedimenti interdittivi antimafia, più della metà emessi fuori dalla Calabria: segno che il fenomeno è ormai diffuso a livello nazionale. Il governo ha coinvolto anche l’ANAC per garantire trasparenza e digitalizzazione dei cantieri.

Conseguenze sul mercato e sulla società

L’effetto è devastante non solo in termini economici, ma anche sociali. Le imprese regolari non riescono a reggere la concorrenza di operatori illegali che possono contare su manodopera irregolare, finanziamenti occulti e coperture politiche. Il risultato è la desertificazione del mercato sano e la perdita di fiducia nel sistema.

A ciò si somma un impatto culturale profondo. Laddove la mafia entra nell’economia, tende a contaminare anche la politica locale, il welfare, la distribuzione dei servizi. Si crea un potere parallelo che, in alcune zone, finisce per sostituirsi allo Stato.

In conclusione…

Guardare alla criminalità organizzata come a un problema esclusivamente giudiziario è un errore. È una minaccia strutturale, che riguarda lo sviluppo economico, la qualità della democrazia e la tenuta delle istituzioni. Servono risposte coordinate: più prevenzione, più trasparenza, più protezione per le imprese oneste. Perché la lotta alla mafia non è solo una battaglia per la legalità. È, prima di tutto, una battaglia per il futuro del Paese.

(foto ANSA)





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