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Africa “contesa”: la nuova gara di influenza tra Cina, Russia ed Europa e il ruolo chiave dell’Italia con il Piano Mattei



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L’Africa, per troppo tempo percepita dall’Occidente come un continente di emergenze e risorse da sfruttare, è oggi teatro di una rinnovata competizione geopolitica ed economica. Mentre Pechino consolida la propria presenza con progetti infrastrutturali di grande portata – dalle “smart city” come Konza City in Kenya ai corridoi ferroviari ad alta velocità che attraversano il Corno d’Africa – e Mosca ripropone il proprio soft power attraverso accordi militari e forniture energetiche ai governi di Niamey, Bangui e Khartum, l’Europa si trova di fronte a un bivio decisivo. È infatti in corso da Bruxelles un ambizioso tentativo, incarnato dalla strategia Global Gateway, di mobilitare 300 miliardi di investimenti entro il 2027 per creare connessioni sostenibili lungo vie marittime, vie digitali e reti energetiche. Tuttavia, il timore che il Vecchio Continente si limiti a ricopiare modelli già sperimentati – vedi l’eredità ambivalente della moneta francese e dei rapporti post-coloniali legati al franco CFA – impone di ripensare la cooperazione al di là di un approccio puramente finanziario.

In questo contesto l’Italia prova a ritagliarsi uno spazio originale attraverso il Piano Mattei, varato nel 2021 con l’intento di moltiplicare le intese economiche, energetiche e culturali tra Roma e i paesi africani. Le undici intese firmate finora toccano settori strategici che vanno dall’agroindustria all’idrogeno verde, dai porti al digitale, e hanno raccolto l’attenzione di giovani startup locali grazie all’apertura di un hub per l’intelligenza artificiale nella capitale. Pur limitato nei volumi rispetto ai giganti asiatici, il piano italiano sembra però puntare su un’alleanza paritaria: dai programmi di formazione congiunta universitaria ai progetti di cofinanziamento infrastrutturale in Etiopia e Senegal, l’obiettivo è costruire valore nei territori, anziché esportare tecnologie e materie prime.

La sfida di Pechino, d’altra parte, è sotto gli occhi di tutti: nel solo quinquennio 2016‑2021 la Cina ha erogato finanziamenti diretti per oltre 75 miliardi di dollari, spingendo una narrazione di “sviluppo condiviso” che tuttavia spesso lascia dietro di sé un indebitamento crescente e un controllo dei flussi commerciali. È in Etiopia, per esempio, che la ferrovia Addis Abeba–Gibuti interamente finanziata da Pechino rappresenta il simbolo di un nuovo modello di interdipendenza: infrastrutture moderne in cambio di materie prime e vantaggi logistici per le imprese cinesi. Mosca, dopo aver recuperato posizioni strategiche in Libia e Mali attraverso contratti di sicurezza e forniture di armi, mira a consolidare la propria influenza energetica attraverso investimenti nella raffinazione del petrolio e nella realizzazione di rigassificatori in Mozambico.

L’Unione Europea, pur consapevole della necessità di contrastare un’influenza estesa e spesso unilaterale, rischia di frammentarsi dietro l’egemonia francese negli Stati dell’Africa occidentale e le resistenze tedesche sull’ambito finanziario. La riforma del CFA, discussa a più riprese, ha mostrato come difficilmente le ex potenze coloniali possano rinunciare a strumenti di controllo valutario, mentre la rinascita del partenariato euro‑africano richiederebbe un ripensamento delle garanzie politiche e della governance condivisa. In tale cornice, il Global Gateway non dovrebbe limitarsi a erogare prestiti agevolati, ma incentivare la creazione di reti associative di imprenditori, di centri di ricerca congiunti e di strutture sanitarie integrate, in modo da bilanciare i rapporti di forza e promuovere una crescita realmente inclusiva.

L’esperienza italiana del Piano Mattei, pur a tratti timida negli stanziamenti rispetto ai programmi cinesi, si distingue per la natura degli accordi industriali e per l’attenzione verso le piccole e medie imprese locali, autentico motore di sviluppo endogeno. Progetti in Marocco sul riciclo delle acque reflue, interventi in Tanzania per la produzione di biocarburanti da colture locali, partnership in Ghana per l’estrazione responsabile di materie prime critiche mostrano un modello collaborativo in cui la tecnologia italiana accompagna la formazione professionale africana. Anche la scelta di Roma di ospitare un centro di eccellenza per l’intelligenza artificiale – con Microsoft, Amazon e Engineering tra i partner – sottolinea il tentativo di trasferire competenze piuttosto che soltanto capitali.

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Benché le cifre in gioco siano ancora lontane dai pacchetti da decine di miliardi proposti da Cina e Russia, l’Italia potrebbe giocare la carta della stabilità politica e dell’adesione ai valori europei di trasparenza e diritti umani. Gli investimenti in energie rinnovabili – dal sole del Sahara ai parchi eolici in Senegal – rappresentano un’opportunità per legare insieme sicurezza energetica, decarbonizzazione e sviluppo locale. L’auspicio è che l’Unione Europea, aprendosi a un partenariato paritetico, sostenga il Piano Mattei di fronte alle sfide di bilancio e alle resistenze interne, evitando che la cooperazione si riduca a un mero spettro di compensazioni commerciali.

Le sfide sociali, demografiche e ambientali dell’Africa impongono infatti una visione a lungo termine, che vada oltre il solo ritorno economico immediato. Solo in questo modo si potrà costruire un’alternativa credibile alle “strade della seta” cinesi e alle relazioni di potere russe, fondando un dialogo reale tra continenti. Il futuro dell’Africa non sarà scritto unicamente sulle cartine geografiche degli investimenti, ma sulla capacità di promuovere innovazione, formazione e cooperazione istituzionale. Se Europa e Italia sapranno coniugare pragmatismo economico e visione etica, l’Africa non sarà più piano di rincorsa, ma partner strategico per una crescita globale sostenibile.

(V. G.)


 



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