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L’appello dell’Europa: Teheran si fermi, l’unica via è negoziare


di
Luigi Ippolito, Stefano Montefiori

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I leader di Francia, Germania e Regno Unito invitano l’Iran a «non intraprendere ulteriori azioni che potrebbero destabilizzare la regione». Kallas: tutti facciano un passo indietro, tornare al tavolo

DAI NOSTRI CORRISPONDENTI 
I leader di Francia, Germania e Regno Unito hanno invitato ieri l’Iran a «non intraprendere ulteriori azioni che potrebbero destabilizzare la regione» in risposta all’attacco americano, si legge nella nota congiunta dei tre Paesi. Venerdì a Ginevra i ministri degli Esteri dei tre Paesi avevano partecipato, assieme all’Alta rappresentante europea Kallas, al poco fruttuoso colloquio con il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghtchi. «All’Iran non deve essere consentito di sviluppare un’arma nucleare, perché questo rappresenterebbe una minaccia per la sicurezza — ha ribadito ieri Kaja Kallas —. Esorto tutte le parti a fare un passo indietro, a tornare al tavolo delle trattative e a impedire un’ulteriore escalation».

Appelli a tornare al negoziato anche dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e da Antonio Costa, presidente del Consiglio europeo, che si è detto «profondamente allarmato» e ha chiesto «il rispetto del diritto internazionale». Israele però ha sferrato il primo attacco tre giorni prima dei colloqui Usa-Iran già previsti in Oman, e domenica notte gli Stati Uniti sono intervenuti nella guerra poche ore dopo il primo incontro tra il ministro Araghtchi e gli europei.




















































Mentre si attende con preoccupazione la possibile risposta dell’Iran, ogni Paese invoca la «de-escalation» declinandola secondo le proprie sensibilità. Il Regno unito per esempio sottolinea che non ha avuto alcun coinvolgimento diretto nelle operazioni militari, ma il governo britannico è stato attento a non smarcarsi dall’attacco americano: «Il programma nucleare iraniano è una grave minaccia alla sicurezza internazionale — è stata la prima reazione del premier Keir Starmer —: l’Iran non può essere autorizzato a sviluppare un’arma nucleare e gli Stati Unti hanno intrapreso un’azione per alleviare quella minaccia».

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Eppure Starmer avrebbe preferito non ritrovarsi in questo frangente: e infatti ha poi voluto rassicurare l’opinione pubblica britannica che «stiamo facendo il possibile per stabilizzare la situazione» e riportare la crisi all’interno dei canali diplomatici. Il governo di Londra temeva che da Washington arrivasse una richiesta di supporto diretto, e cioè quanto meno mettere a disposizione la base di Diego Garcia nell’Oceano Indiano: cosa che a quanto pare non si è verificata, così che Starmer ha potuto confermare che «non siamo coinvolti nell’attacco».

Il procuratore generale, Lord Hermer, aveva messo in guardia che affiancare gli Usa poteva essere illegale, ma inoltre il governo laburista teme sempre più di alienarsi il voto musulmano, un bacino elettorale chiave. Così Starmer, che finora aveva goduto di buona stampa sul piano internazionale, grazie all’incrollabile sostegno all’Ucraina e al fruttuoso rapporto con l’Amministrazione Trump, rischia ora di ritrovarsi invischiato in una crisi piena di incognite non solo sul piano esterno ma anche su quello interno. Il cancelliere tedesco Merz, che nei giorni scorsi si era distaccato dal tono generale europeo valutando che Israele in Iran «fa il lavoro sporco per tutti noi», ieri è tornato nei ranghi chiedendo «colloqui immediati tra Iran, Israele e Stati Uniti» per trovare una soluzione diplomatica.

Il presidente francese Emmanuel Macron ha parlato al telefono con il capo di Stato iraniano Masoud Pezeshkian, e ieri sera ha convocato un Consiglio di difesa e sicurezza all’Eliseo. Aprendo la riunione, Macron ha sottolineato che «nessun risposta strettamente militare può produrre gli effetti desiderati», ovvero «impedire all’Iran di dotarsi dell’arma nucleare». Resta l’ambiguità di fondo sugli obiettivi della guerra: gli europei condividono la necessità di fermare il programma nucleare iraniano, ma da giorni il premier israeliano Benjamin Netanyahu sembra perseguire lo scopo più ampio di eliminare per sempre la minaccia di Teheran grazie alla caduta del regime degli ayatollah. E qui Macron e gli altri marcano la differenza con Israele e gli Usa.


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22 giugno 2025

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